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I diversi requisiti per l’accesso al beneficio nel processo civile e penale

3. Il Patrocinio a spese dello Stato

3.2. I diversi requisiti per l’accesso al beneficio nel processo civile e penale

Occorre poi sottolineare che l’accesso al beneficio in parola è accordato, nel processo penale, al «cittadino non abbiente»; mentre, nel processo civile, amministrativo, contabile, tributario e negli affari di volontaria giurisdizione, al «cittadino non abbiente quando le sue ragioni risultino non manifestamente infondate» (210).

Perciò l’istanza per l’ammissione al patrocinio nel processo civile, amministrativo, contabile e tributario deve contenere, «a pena d’inammissibilità, le enunciazioni in fatto ed in diritto utili a valutare la non manifesta infondatezza della pretesa che si intende far valere, con la specifica indicazione delle prove di cui si intende chiedere l'ammissione» (211).

Orbene, una siffatta differenziazione è senz’altro giustificata nell’ipotesi in cui sia la parte non abbiente a dare inizio al processo civile (o a quello amministrativo, contabile, tributario): con ciò si vuole infatti evitare la proliferazione di procedimenti del tutto pretestuosi (212). Diversamente, «se anche nel processo civile si tratta solo di difendersi, porre una distinzione in punto di “non manifesta infondatezza” delle difese da esercitare nei processi

«Ancora oggi — e non solo per la crisi del Welfare State — siamo ben lontani dall'avere un efficiente sistema di assistenza legale per i ceti meno privilegiati; un sistema attento a circoscrivere lo stato di abbienza in relazione ai costi del processo e capace di affrontare, con un sistema di consulenza e assistenza prima e al di fuori del processo, anche i condizionamenti di carattere culturale che ostacolano l'accesso dei cittadini alla giustizia» [Id., Processo e Costituzione nell’opera di Mauro Cappelletti civilprocessualista (elementi di una moderna «teoria» del processo), cit.].

(210) Art. 74 d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115. (211) Art. 122 d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115.

(212) Dacché il sistema «mette gratuitamente a disposizione del non abbiente il servizio sociale della giustizia per sopperire alle sue autentiche necessità, e non per favorirne lo spirito di avventura» [E. Gallo, voce Assistenza giudiziaria ai non abbienti (Diritto costituzionale), in Enc. giur., vol. III, Roma 1991, 3], «va da sé che nessun processo che sia manifestamente infondato può essere promosso con i denari della collettività» (G. Scarselli, Il nuovo patrocinio a spese dello Stato nei processi civili ed amministrativi, Padova 2003, 177).

civili rispetto a quelli penali potrebbe far sorgere dubbi di legittimità costituzionale» (213).

Considerazioni affatto analoghe potrebbero poi farsi circa i differenti presupposti per l’ottenimento del patrocinio in ragione dell’alternativa tra la costituzione di parte civile nel processo penale, [dacché è sufficiente lo stato di indigenza della parte (214)] e l’esercizio dell’azione civile per il risarcimento dei danni e le restituzioni derivanti da reato [giacché allo stato di indigenza si somma la non manifesta infondatezza delle ragioni di parte (215)], nonostante in entrambi i casi la pretesa fatta valere dalla stessa parte avrebbe ad oggetto i medesimi fatti e sarebbe finalizzata ad ottenere risultati analoghi.

Ulteriori dubbi di legittimità costituzionale potrebbero emergere dalla esegesi del combinato disposto degli artt. 76 e 92 d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115.

Difatti, posto che per l’art. 76, comma 1°, il beneficio è accordato – sia nel processo civile, amministrativo, contabile e tributario sia in quello penale – al «titolare di un reddito imponibile ai fini dell'imposta personale sul reddito, risultante dall'ultima dichiarazione, non superiore a euro 11.528,41», per l’art. 92 «se l'interessato all'ammissione al patrocinio (nel processo penale, n.d.r.) convive con il coniuge o con altri familiari (…), i limiti di reddito indicati dall'articolo 76, comma 1°, sono elevati di euro 1.032,91 per ognuno dei familiari conviventi».

Ora, se si ritiene [come autorevole dottrina ha da tempo segnalato (216)] che non vi siano più ragioni per giustificare una siffatta diversa disciplina tra processo civile (e amministrativo, contabile, tributario) e penale, l’art. 92 ben potrebbe essere considerato in contrasto col combinato disposto degli artt. 3 e 24 Cost.

E invero, proprio la ritenuta assenza di ragioni giustificative della diversità di disciplina in commento ha indotto taluna giurisprudenza di merito a sollevare, con riguardo agli artt. 3, 24 e 113 Cost., questione di legittimità costituzionale del

(213) G. Scarselli, op. ult. cit., 12.

(214) Ex art. 74, comma 1°, d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115. (215) Ex art. 74, comma 2°, d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115. (216) G. Scarselli, op. ult. cit., 13.

combinato disposto degli artt. 76, comma 2° e 92 d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115 (217).

A giudizio del remittente, infatti, il combinato disposto degli artt. 76 e 92, comportando l’introduzione di «due diverse soglie reddituali, in relazione al tipo di processo», «contraddice (…) l'equilibrio tra i diversi processi che la disciplina costituzionale e quella di principio, ex art. 74 cit., hanno definito»: tale differenziazione, tuttavia, «non ha alcuna ragionevole giustificazione», dal momento che la «condizione di non abbienza è un dato economico oggettivo» e rappresenta, quindi, «un parametro che non ha alcuna logica relazione con un determinato tipo di processo o con una determinata categoria di situazioni giuridiche soggettive»; essa si pone, perciò, in contrasto con «l'art. 24, comma 3°, Cost., che si riferisce a una generica condizione di non abbienza, senza distinguere i diversi tipi di giudizio», e con «l'art. 3 Cost., poiché il rito processuale diverso non giustifica un diverso trattamento, essendo lo stesso affatto irrilevante rispetto alla generale finalità di tutela giudiziale (ex art. 24, comma 1°, Cost.) che la disciplina sul patrocinio (…) è destinata a realizzare e che viene così frustrata, con violazione anche dello stesso art. 24, comma 1°».

La Corte, dal canto suo, dopo avere sottolineato come «il legislatore (abbia) (…) sin dall’inizio differenziato il trattamento del patrocinio dei non abbienti, mostrando di privilegiare le esigenze di tutela connesse all’esercizio della giurisdizione penale» – a tal proposito richiamando l’ulteriore requisito, per l’accesso al beneficio nei processi non penali, della «non manifesta infondatezza» delle ragioni di parte non abbiente e il diverso regime di liquidazione dei compensi degli avvocati, ridotti della metà nel caso di controversie non penali –, afferma che, nonostante la «diversità fra “gli interessi civili” e le “situazioni tutelate che sorgono per effetto dell’esercizio dell’azione penale” (non) implica (…) la determinazione di una improbabile gerarchia di valori fra gli uni e le altre», potrebbe «apparire sostanzialmente incoerente un sistema che – a risorse economiche limitate – assegni lo stesso tipo di protezione, sul piano economico, all’imputato di un processo penale, che vede chiamato in causa il bene della

(217) V. Trib. reg. giust. amm. Trento 6 novembre 2014, n. 257, in www.gazzettaufficiale.it.

libertà personale, rispetto alle parti di una controversia che coinvolga, o possa coinvolgere, beni o interessi di non equiparabile valore» (218).

Ora, a parte le considerazioni critiche svolte supra con riguardo al requisito della «non manifesta infondatezza», ciò che non ci convince nel ragionamento della Corte è l’idea che alla luce del dettato costituzionale in punto di garanzia del diritto di «agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione» (art. 24, comma 3°, Cost.) possa ritenersi «coerente che il legislatore, proprio in considerazione delle particolari esigenze di difesa di chi “subisce” l’azione penale, abbia reputato necessario approntare un (diverso e tipico del solo processo penale, n.d.r.) sistema di garanzie che ne assicurasse al meglio la effettività, anche sotto il profilo dei limiti di reddito per poter fruire del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti» (corsivo aggiunto).

Tale ultima affermazione della Corte, unitamente a quelle precedenti, lascerebbe allora pensare che, nonostante le solenni affermazioni di principio circa «improbabili gerarchie di valori fra gli interessi civili e le situazioni tutelate sorte per effetto dell’esercizio della azione penale» (corsivo aggiunto), sotto l’egida del dettato costituzionale possano esservi situazioni giuridiche soggettive parimenti coinvolgenti diritti fondamentali le quali, a seconda del tipo di processo in cui entrano in gioco, diverrebbero di «non equiparabile valore» e, di conseguenza, necessiterebbero di una maggiore (o migliore, per usare le parole della Consulta) effettività della tutela richiesta anche sotto il profilo dei limiti di reddito per accedere al patrocinio: detto altrimenti – anzi, detto con le parole della Corte – non meriterebbero «lo stesso tipo di protezione» di tutte le altre.

Se così fosse, la domanda sorgerebbe spontanea: come fa la Corte ad affermare – pur indirettamente – che tutti gli «interessi civili» siano di valore «non equiparabile» alle «situazioni tutelate sorte per effetto dell’esercizio dell’azione penale»?! Ha messo in conto che, per un verso, «solo (anche statisticamente) pochissimi processi penali mettono concretamente a repentaglio la libertà personale» (219) e, per l’altro, che tante controversie «civili» hanno ad oggetto non (o non soltanto) diritti patrimoniali ma diritti

(218) Corte cost. 19 novembre 2015, n. 237, in www.cortecostituzionale.it. (219) G. Scarselli, op. ult. cit., 177.

fondamentali della persona?! È, invero, oltremodo significativo che nel caso di specie la controversia che ha occasionato il giudizio di legittimità costituzionale concernesse il diritto all’assegnazione di un alloggio popolare. Tale diritto ha per la Corte un «valore non equiparabile» a quello alla libertà personale?! La risposta, a nostro sommesso avviso, è scontata e vorremo darla citando la stessa Consulta: simili gerarchie di valori sono «improbabili»!

Nonostante – come accennato – tutte le imperfezioni che la disciplina sul patrocinio a spese dello Stato presenta e le questioni che essa lascia ancora aperte, chi, comunque, versa in uno stato di indigenza è sollevato dei costi necessari all’azione o alla difesa giurisdizionale. Il problema permane, invece, come già agli inizi del secolo scorso aveva intuito Giovanni Vignali, per le classi medie, dacché l’impossibilità del ricorso all’istituto in commento e la mera aspettativa di un ricupero in conseguenza dell’avversaria soccombenza concorrono ad ostacolare il ricorso alla giustizia civile (220). Tale intuizione è oggi suffragata dall’analisi economica del processo, la quale ha dimostrato che «le spese giudiziali (tra le quali rientrano gli oneri fiscali, n.d.r.) fanno diminuire il valore atteso per l’attore, riducendo l’incentivo all’avvio dell’azione (…), e fanno diminuire il valore del giudizio (ovvero ne aumentano i costi) (…)» (221).

4. L’attuale sistema di imposizione fiscale sul processo civile: il