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Il nuovo art 111 Cost e il «giusto processo»

Come noto – e come si è già anticipato (80) – la nozione di «giusto processo» trae origine non già dalla modifica dell’art. 111 Cost. (81) – operata

(78) Così L. P. Comoglio, op. ult. cit., 482.

(79) C. Giust. UE 13 giugno 2012, causa C-156/12, GREP. (80) Supra, al par. 1.

con l. cost. 23 novembre 1999, n. 2 – bensì dall’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale, mercé la quale essa ha fatto ingresso già diverso tempo addietro nel nostro ordinamento costituzionale.

Difatti, già negli anni immediatamente successivi all’entrata in vigore della Costituzione, la dottrina sottolineò l’esigenza di porre a fondamento del processo l’osservanza di sostanziali principi di civiltà giuridica – quali l’imparzialità e la terzietà del giudice, il contraddittorio e l’effettiva parità delle parti, la motivazione delle decisioni (82); evocò la formula anglosassone del due

process of law, reputandola connaturata allo spirito di ogni Costituzione (83);

edificò sul principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) quello di parità delle parti nel processo (84).

Sulla scia di queste riflessioni e sulla scorta dello studio della giurisprudenza costituzionale essa asserì più tardi che la Costituzione, nel testo precedente alla riforma dell’art. 111, contemplava già – pur, com’è ovvio, implicitamente – il principio del «giusto processo»; e affermò che il legislatore costituzionale aveva correttamente evitato di porre «discipline dettagliate che sono incapaci di esaurire le valenze delle norme espressive di principi e sono, invece, idonee a limitarle nell’immediato e a comprimerle nel medio-lungo periodo» (85).

(81) Per una rassegna critica delle questioni sollevate dalla riforma dell’art. 111 Cost. v. G. Vignera, op. loc. cit.

(82) V., per tutti, P. Calamandrei, Processo e democrazia, Padova 1954, spec. 46 ss., 121 ss., 145 ss.; Id., Processo e giustizia, in Dir. pen. e processo 1950, I, 282.

(83) V. M. Cappelletti, Diritto di azione e di difesa e funzione concretizzatrice della giurisprudenza costituzionale (Art. 24 Costituzione e «due process of law clause»), in Giur. cost. 1961, 1284 ss.; V. Andrioli, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo e il processo giusto, in Temi rom. 1964, I, spec. 455 ss.

(84) V. P. Barile (Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, Bologna 1984, 287 s.) e dottrina ivi richiamata.

(85) G. Ferrara, Garanzie processuali dei diritti costituzionali e «giusto processo», in Rass. parl. 1999, 539 ss.

Dalla metà degli anni ottanta la giurisprudenza costituzionale (86), ponendo in relazione gli artt. 6 conv. eur. dir. uomo, 14 Patto internazionale sui diritti civili e politici e 24 Cost., richiama il principio del «giusto processo» – inteso sia dal punto di vista oggettivo delle guarentigie concernenti la posizione e le funzioni del giudice sia dal punto di vista soggettivo delle guarentigie concernenti la posizione e i diritti delle parti – quale parametro di legittimità costituzionale della legge processuale (87).

La giurisprudenza successiva ne dà poi una più circostanziata definizione – evidenziando il valore sistematico del «giusto processo», che sintetizza tutte le garanzie relative all’esercizio della funzione giurisdizionale –, sottolineando la rilevanza della distinzione tra indipendenza istituzionale del giudice e sua effettiva terzietà nel singolo processo (88).

Per tali ragioni parte della dottrina sostiene che sia la nozione generale di giusto processo sia i suoi diversi corollari erano compresi tra i principi costituzionali già prima del 1999: mercé la novella si sarebbe quindi reso «esplicito e incontrovertibile quel che già costituiva il presupposto implicito, ma non per questo oscuro, del nostro sistema giudiziario» (89); qualsiasi tentativo di

(86) Per una esaustiva rassegna della giurisprudenza costituzionale antecedente alla riforma del 1999 v. M. Cecchetti, voce Giusto processo (diritto costituzionale), in Enc. dir., app., vol. V, Milano 2001, parr. 1, 2.

(87) Tra le tante: Corte cost. 13 febbraio 1985, n. 41; Id. 26 marzo 1986, n. 66; Id. 25 marzo 1992, n. 124; Id. 15 settembre 1995, n. 432; Id. 18 luglio 1998, n. 290; Id. 17 giugno 1999, n. 241; tutte consultabili in www.giurcost.org.

(88) V., per tutte, Corte cost. 15 ottobre 1999, n. 387 (in www.giurcost.org), secondo cui il «giusto processo» è «espressione necessaria del diritto ad una tutela giurisdizionale mediante azione (art. 24 Cost.) avanti ad un giudice con le garanzie proprie della giurisdizione, cioè con la connaturale imparzialità, senza la quale non avrebbe significato né la soggezione dei giudici solo alla legge (art. 101 Cost.) né la stessa autonomia ed indipendenza della magistratura (art. 104, comma 1°, Cost.)».

In dottrina cfr. A. Giarda, Imparzialità del giudice e difficoltà operative derivanti dall’incompatibilità, in Aa. Vv., Il giusto processo, Milano 1998, 35.

(89) G. Monteleone, Il processo civile alla luce dell’art. 111 Cost. Linee generali di una necessaria e possibile riforma del processo civile, in Giust. civ. 2001, II, 523. V. anche S. Chiarloni, op. cit., 1010; A. Didone, La Corte costituzionale, la ragionevole durata del processo e l'art. 696 c.p.c., in Giur. it. 2000, 1128 s., che tra i sostenitori di siffatta tesi menziona anche F. P. Luiso,

ricostruire l’attuale significato normativo dell’art. 111, comma 1°, Cost. potrebbe dunque essere operato, per questa dottrina, soltanto alla luce delle suddette deduzioni di carattere storico-sistematico.

Per altra parte della dottrina, invece, la riforma andrebbe considerata foriera di «nuovi princìpi costituzionali» concretanti un nuovo «modello processuale» (quello del «giusto processo»), contrapposto alle preesistenti «garanzie procedimentali minime costituzionalmente dovute» (90).

Per parte nostra riteniamo che, nonostante la nozione di giusto processo avesse già piena cittadinanza nel nostro sistema costituzionale, l’art. 111, comma 1° Cost. è disposizione dalle indubbie potenzialità espansive: potenzialità tuttavia intimamente connesse alla ricostruzione di quella nozione quale formula aperta.

Sul punto la dottrina ha formulato un triplice ordine di ipotesi ricostruttive, asserendo che essa: a) potrebbe essere interpretata come formula sostanzialmente vuota (91) ovvero di mera sintesi dei principi sanzionati nei commi successivi; b) in chiave giusnaturalistica, richiamerebbe una concezione ideale di giustizia connessa ai diritti inviolabili delle parti processuali, riconosciuti (per tramite dell’art. 2 Cost.) dallo Stato (92); c) potrebbe essere interpretata, in chiave giuspositivistica, come formula aperta, che contiene in sé – sintetizzandole – tutte le singole guarentigie sancite nell’art. 111 ma non si esaurisce in esse (93).

Come già lasciato intendere, riterremmo quest’ultima ipotesi ricostruttiva preferibile alle altre, purché si rammenti che sia le garanzie singolarmente individuate nell’art. 111, comma 2°, Cost. sia il principio quale loro sintesi erano Relazione svolta al convegno «Il nuovo art. 111 cost. e il "giusto processo" in materia civile», Campobasso 26 febbraio 2000; I. Andolina, G. Vignera, op. cit., 186 s.; Id., Il modello costituzionale del processo civile italiano, Torino 1990, 167 s.

(90) V., esemplificativamente, G. Costantino, Il giusto processo di fallimento, in Aa. Vv., La tutela dei crediti nel giusto processo di fallimento, a cura di A. Didone, P. Filippi, Milano 2002, 8 s. (91) Cfr. P. Ferrua, Il «giusto processo» in Costituzione. Rischio contraddizione sul neo- contraddittorio, in Dir. e giustizia 2000, 1, 5.

(92) Cfr. G. Spangher, Il «giusto processo» penale, in Studium 2000, 256.

(93) Cfr. M. Cecchetti, Il principio del «giusto processo» nel nuovo art. 111 della Costituzione. Origini e contenuti normativi generali, in Aa. Vv., Giusto processo, a cura di P. Tonini, Padova 2001, 73 ss.

già sostanzialmente contemplati dall’art. 24 Cost. (94): la novella rappresenterebbe dunque «la loro cristallizzazione per tabulas, in una sorta di interpretazione autentica (che) consente di identificare in modo chiaro ed esplicito i canoni ai quali dichiaratamente intende ispirarsi il nostro ordinamento» (95), «evitando per il futuro che il loro riconoscimento venga a dipendere esclusivamente ed estemporaneamente dall'ispirazione di qualche illuminato giurista o dalla saggezza dell'occasionale estensore di qualche sentenza della Consulta» (96).