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I. INTRODUZIONE

1. EDWARD ABBEY: IL GUARDIANO ANARCHICO DELL’OVEST

1.3 L’attivismo di Abbey e i suoi legami con Earth First!

1.3 L’attivismo di Abbey e i suoi legami con Earth First!

Come già affermato nella sezione biografica, Abbey ereditò buona parte dei propri pensieri anarchici e anticonformistici dai genitori, Paul e Mildred Abbey. In effetti, essi erano considerati persone dalle vedute alquanto liberali per essere un uomo e una donna di inizio 900, e, inoltre, erano caratterizzati da una forte propensione al socialismo. Non è di certo un caso che il padre di Abbey appartenesse al movimento dei “wobblies”, o Industrial Workers of the World, cioè uno delle prime organizzazioni di inizio XX secolo, che perseguiva l’emancipazione delle classi lavoratrici e la creazione di una nuova struttura economica della società. Quest’ultimo insegnò al figlio a non accettare le imposizioni del potere, ma, al contrario, ad usare la propria intelligenza e coscienza per decidere della sua vita in maniera assolutamente autonoma. Ciò non spettava a nessun’altro. Soltanto così sarebbe stato libero dalle influenze negative del potere e del governo, che, secondo Abbey, tenterebbe di celare dietro ad un’apparenza di democrazia un piano di controllo della popolazione, riducendo gli individui a membri ubbidienti e sottomessi della società capitalistica.

In un’intervista rilasciata nel dicembre del 1982 ad Eric Temple, quando quest’ultimo aveva appena ottenuto un incarico come reporter ambientalista presso l’emittente televisiva KAET a Phoenix, Abbey in persona ammette di essere anarchico e, poche righe dopo, afferma anche di essere un accanito sostenitore della democrazia diretta. Secondo l’autore tra democrazia partecipativa (diretta) ed anarchismo esisteva un legame così stretto, da assicurare al popolo il diritto di esprimersi individualmente su ogni problematica di interesse comune, senza passare attraverso la mediazione di figure terze:

I’m an anarchist. My father was a wobblie. I.W.W. We should all take charge. We should all be leaders, neither followers nor rulers, make our own decisions. I’m a really democrat, small “d”, I really believe in democracy. Direct democracy, I think every issue of any importance should be decided by popular referendum.

Nonostante i genitori avessero lasciato nel giovane Abbey una prima impronta di stampo anarchico, sarà all’università che lo scrittore rafforzerà le proprie convinzioni politiche e ideologiche. Infatti, durante gli studi all’Università del Nuovo Messico nei primi anni 50, Abbey diventa per un breve periodo redattore e responsabile del giornalino universitario, “The

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numero particolare della rivista, il quale suscitò un grande scalpore all’interno sia del corpo studentesco sia di quello docente.

Scendendo maggiormente nel dettaglio, in occasione di una conferenza a tematiche religiose tenutasi presso il proprio ateneo, Abbey fa pubblicare un numero del giornalino, raffigurando in copertina un uccello rapace che allunga le proprie grinfie su di un fiore, mentre all’interno della rivista inserisce un suo articolo intitolato Some Implications of Anarchy. Inoltre, subito sotto l’immagine di copertina riporta una frase di Diderot, che lui scherzosamente attribuisce a Louisa May Alcott. Così recita la citazione riportata: “Men will never be free until the last king is strangled with the entrail of the last priest”. Possiamo solo provare ad immaginare lo scandalo che la scelta di questa frase provocò in tutta l’università, andando ad attaccare i principali simboli di potere ed influenza sull’uomo, vale a dire la religione e la politica. In effetti, nella citazione è implicito un invito alla liberazione dalle costrizioni imposte da queste due forme di potere. Lo scandalo travolse Abbey, il quale fu immediatamente licenziato ed allontanato dalla redazione del giornalino, e ciò è perfettamente comprensibile se si considera il periodo storico in cui tale affermazione viene fatta. In altre parole, all’interno di un’istituzione importante come un’università americana del primo dopoguerra, circolo elitario al quale solo ristrette minoranze della popolazione avevano accesso con diritto allo studio, queste parole, che incitavano la classe studentessa alla rivolta nei confronti dell’ordine e del potere stabilito, risultavano inaccettabili.

Effettivamente, la società americana degli anni 50 era caratterizzata da una forte volontà di rinascita a seguito dell’esperienza devastante del secondo conflitto mondiale. Gli Stati Uniti erano riusciti a trasformare la propria macchina da guerra in un paese nuovo, caratterizzato da una vivace cultura consumistica. Tuttavia, la crescita esponenziale dei consumi e l’economia fiorente di quegli anni non si estendevano in maniera uniforme a tutte le fasce della popolazione. Molte minoranze continuarono a soffrire forme di discriminazione su base politica, economica e sociale, generando tensioni che sarebbero poi sfociate in disordini pubblici prontamente repressi. A questi tumulti interni è necessario sommare anche preoccupazioni di livello internazionale, derivanti dalla paura della possibile guerra nucleare con la superpotenza sovietica.

Tale scenario permette di comprendere come l’ideologia conservatrice della classe media americana del tempo, costituita nell’immaginario comune da famiglie che vivono in

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casette ordinate nelle aree suburbane, non ammettesse repliche o incitamenti alla protesta da parte di individui come Abbey.

Non è ben chiaro come mai Abbey abbia provocatoriamente deciso di attribuire la frase di Diderot a Louisa May Alcott. I dubbi sul perché Abbey abbia scelto proprio una donna affollano la mia testa, visto e considerato che lo scrittore in vita fu anche accusato di misoginia per via della rappresentazione di alcuni dei personaggi femminili nelle sue opere. Forse la motivazione di tale scelta non va ricercata solamente nella filosofia o nelle idee che caratterizzarono la famosa scrittrice di Little Women, quanto piuttosto in ciò che la scrittrice simboleggiava idealmente per Abbey. Essa fu una donna forte ed indipendente, che intraprese la carriera da scrittrice in un’epoca in cui le donne che volevano scrivere erano costrette molto spesso a ricorrere a pseudonimi e nomi maschili per poterlo fare. Ciò nonostante, mossa dal desiderio di fare sentire la propria voce, Louisa May Alcott ebbe il coraggio di esporsi su tematiche che non erano considerate tipicamente femminili, come, ad esempio, l’abolizionismo e il diritto al suffragio per le donne, dimostrando così che anch’esse fossero individui dotati di una coscienza e di un’opinione politica non meno rilevante di quella maschile. È possibile che Abbey abbia rivisto in lei sé stesso nel tentativo di distinguersi dalla massa per denunciare verità scomode alle autorità a lui contemporanee.

Ritornando alla carriera universitaria di Abbey, egli trascorse un anno, dal 1951 al 1952, ad Edimburgo come studente partecipante ad uno scambio culturale tra diverse università. Al termine dell’esperienza consegue una borsa di studio, discutendo una tesi di ricerca intitolata “A General Theory of Anarchism”. Ritornato successivamente negli Stati Uniti, nel 1956 termina il percorso di studi universitari con la tesi “Anarchy and the Morality of Violence”. Appare da subito evidente come i due elaborati prodotti dal giovane studente Edward Abbey fossero strettamente collegati tra di loro, come se ci fosse un filo rosso ad unirli per quanto riguarda le tematiche trattate.

L’insistenza di Abbey su determinate argomentazioni così complesse, che vengono riproposte a distanza di anni in scritti diversi, stupisce ancora di più se ci si sofferma un attimo a riflettere sul fatto che al tempo Abbey fosse semplicemente un giovane studente universitario, un ragazzo sulla ventina con davanti a sé ancora tutta una vita per poter sviluppare posizioni ideologiche così ferme e risolute. Inoltre, colpisce anche la serietà e la profondità con cui Abbey analizza il tema dell’anarchia nelle sue tesi. Più precisamente, sostiene che il desiderio di ribellione alle imposizioni di una qualsiasi forma di governo, sentimento che nasce in un primo

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momento come un moto dell’animo, non ha valore se non è seguito da una precisa volontà di azione e di messa in pratica. Esiste un dovere morale all’azione e alla protesta verso ciò che viene imposto all’uomo.

È bene, tuttavia, prestare attenzione a non commettere l’errore di credere che Abbey nei suoi scritti stia incitando alla violenza. Infatti, nella tesi di laurea egli non giustifica l’uso deliberato della violenza come strumento di rimostranza, quanto piuttosto afferma che la si potesse considerare una forma di opposizione a quella che lui definiva “the organized violence of the state” (Brinkley, 2006: xviii).

La gravità delle affermazioni di Abbey negli scritti universitari, insieme allo scandaloso articolo pubblicato sul giornalino studentesco e i primi discorsi o letture pubbliche, in cui denunciava con zelo le devastazioni compiute nell’Ovest dal Federal Bureau of Land Management, attirarono su di lui l’attenzione dell’FBI, che incominciò ad indagare Abbey per sospetto coinvolgimento in possibili attività comuniste e promozione dell’ideologia comunista. In effetti, il clima sociale e politico americano, che si respirò durante entrambi i mandati presidenziali di Harry S. Truman (1945-1953) e di Dwight D. Eisenhower (1953-1961), fu caratterizzato dalla paura e dall’ossessione di combattere il comunismo ed evitare che questo dilagasse nel resto del mondo libero. Nonostante la Guerra Fredda non sia mai sfociata in un conflitto aperto come, al contrario, le precedenti due guerre mondiali, si diffuse il timore che spie sovietiche si potessero infiltrare tra la popolazione. Ciò determinò controlli da parte delle autorità statunitensi su individui dai toni polemici e provocatori come Abbey, che avrebbero potuto disturbare l’ordine pubblico.

Il fascicolo dell’FBI su Abbey rimase aperto per i successivi 37 anni, arrivando, infine, a concludere che egli non fosse in nessun modo collegato a gruppi comunisti, ma che, al contrario, fosse semplicemente una specie di pacifista particolarmente testardo ed accanito. Basti pensare che Brinkley nell’introduzione di The Monkey Wrench Gang afferma che la polizia federale e il famoso Sierra Club, cioè la più antica e grande organizzazione ambientalista degli Stati Uniti fondata da John Muir, lo avevano addirittura deriso, soprannominandolo “Desert Anarchist”.

Gli anni successivi all’università vedono Abbey gradualmente passare all’azione, intraprendendo piccoli atti di sabotaggio insieme ad un gruppo di amici fidati: il pittore John DePuy e il naturalista Doug Peacock. Nel documentario Edward Abbey: A Voice in the

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“Monkey Wrench Gang”, a cui Abbey si ispirò più tardi per il suo capolavoro letterario del 1975.

A partire dalla fine degli anni 50 Abbey alterna l’attività di scrittore a quella di attivista ambientalista. Senza mai una vera confessione o ammissione di colpa, a lui vengono attribuiti incendi dolosi di cartelloni pubblicitari autostradali o di discariche di pneumatici fuori uso, danni a stazioni per il rifornimento di carburante e sabotaggio di mezzi meccanici di grosse dimensioni come bulldozers. Abbey non fu mai arrestato per questi atti, anche se la sua estraneità ai seguenti reati perde credibilità in seguito alla lettura di The Monkey Wrench Gang, nel quale ritroviamo esattamente le stesse azioni di sabotaggio compiute dai 4 protagonisti. Tali operazioni clandestine vengono descritte con una cura e una minuziosità tale da portare a pensare che soltanto una persona che abbia direttamente preso parte a tutto ciò sia, in realtà, in grado di narrarle così.

Ebbene, lo scrittore si descrive come un patriota che protegge la sua terra da un governo corrotto dall’avidità del capitalismo. Difendere i territori del Nuovo Messico, dello Utah e dell’Arizona equivaleva a difendere la sua vera casa e, pertanto, la sua lotta non era dettata da un diritto a dimostrare il proprio dissenso, quanto piuttosto era determinata da un dovere di contestazione. Tale dovere giustificava l’utilizzo di qualsiasi mezzo o strategia per raggiungere i propri scopi di tutela dell’ambiente, incluso il sabotaggio. In effetti, secondo Abbey esiste una chiara distinzione morale tra sabotaggio e terrorismo ambientalista. Il primo indica un qualsiasi atto di violenza contro macchinari, proprietà e beni inanimati, la cui vita non viene messa in pericolo. Mentre il terrorismo implica l’uso di violenza nei confronti di persone o esseri viventi in generale.

Il coinvolgimento nella lotta a difesa della wilderness assunse una rilevanza notevole quando Abbey strinse profondi legami con Earth First!. Si tratta di un movimento ecologista di stampo radicale nato agli inizi degli anni 80 negli Stati Uniti e che, successivamente, si diffuse nel resto del mondo, riscuotendo un certo successo ed appoggio in oltre 19 paesi. Il movimento si inserisce in un dibattito più ampio di critica ambientalista, che fa risalire simbolicamente le proprie origini a libri come Silent Spring (1962) di Rachel Carson, considerato una specie di manifesto antesignano dei movimenti per l’ambiente, e soprattutto, a The Monkey Wrench Gang (1975) di Abbey, che diventò una vera e propria Bibbia per i seguaci del movimento. Non è di certo un caso che il simbolo dell’organizzazione sia rappresentato da una mazza e una chiave inglese incrociate, come, allo stesso tempo, non è una coincidenza che all’interno del sito

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Internet di Earth First! i suoi utenti vengano chiamati “monkeywrenchers”. Tra i principali fondatori incontriamo Mike Roselle e Dave Foreman. In particolare, quest’ultimo diventò talmente amico dello scrittore, che fu tra i pochi prescelti ad occuparsi della sepoltura di Abbey e a conoscerne l’esatta ubicazione nel deserto dell’Arizona.

Il gruppo si proponeva l’obiettivo di richiamare l’attenzione pubblica sull’impatto che le comunità umane hanno sull’ecosistema naturale, in modo da poter rinnovare totalmente la tipologia di relazioni che legano l’uomo all’ambiente in cui vive. Inoltre, è possibile riconoscere tra le loro idee la stessa critica severa di Abbey alle speculazioni della società capitalistica, alla crescita incontrollata della popolazione e all’eccessiva dipendenza dalla tecnologia.

Visto lo scontento generale di molti gruppi ecologisti dei primi anni 80, che si erano sentiti traditi da quelle istituzioni che li avrebbero dovuti rappresentare, come il Sierra Club, il movimento riuscì ad ottenere molto sostegno, poiché unì alla funzione di denuncia l’urgenza di un’azione diretta contro lo sfruttamento delle risorse naturali e della wilderness. Al contrario, il Sierra Club perse supporto perché era stato accusato di avere un approccio troppo blando alle politiche di tutela della natura e, molto più grave, di aver segretamente stretto accordi sul futuro del Glen Canyon con l’U.S. Bureau of Reclamation, cioè uno dei settori del dipartimento degli Interni per la gestione delle risorse idriche, durante la presidenza di John F. Kennedy. In effetti, un accordo venne stretto realmente: il dipartimento accettò di cancellare il proprio progetto di un’enorme diga nel parco Dinosaur National Monument, tra Utah e Colorado, in cambio delle concessioni per la costruzione di una diga nel Glen Canyon. Fu così che venne costruita la famosa Glen Canyon Dam.

Eretta nel 1962 a nord del Grand Canyon per rifornire di energia idro-elettrica a basso costo le città di Los Angeles, Las Vegas e Phoenix, essa rappresenta una mostruosità di cemento armato che è costato ai contribuenti americani ben $750 milioni per la sua costruzione. La diga ha notevolmente modificato la portata del fiume Colorado, generando catastrofiche conseguenze sul delicato ecosistema fluviale. Abbey era, infatti, solito compiere lunghi viaggi di navigazione sul fiume e poté testimoniare in prima persona l’irreversibile devastazione compiuta: interi boschi di pioppi, cespugli, tane di lupi e nidi di aquile furono improvvisamente sommersi dalle acque del fiume, che vennero raccolte nel bacino artificiale del Lake Powell, chiamato da Abbey nel suo libro “the blue death” (Brinkley, 2006: xxiii).

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La realizzazione di tale struttura, che non aveva nulla di umano, provocherà in Abbey una rabbia tale, che nel documentario di Eric Temple del 1993 a lui dedicato, lo scrittore paragonerà la diga ad un’invasione aliena: “It is like an invasion from Mars”.

Abbey non vede nessun tipo di buon guadagno nel cercare di sfruttare le acque del Colorado per permettere che città, come Phoenix e Tucson, crescano oltre ogni misura. Così si esprime al riguardo in una famosa intervista:

It might work and it might not, and even if it does work, I think it does more harm than good. I can’t see that anything is gained for the people who now live in Phoenix by trying to make Phoenix another L.A. And I think we in Tucson have much more to lose than to gain by trying to catch up with Phoenix. And Flagstaff wants to be another Tucson, and so on. And I think it’s ridiculous. It’s insane in the long run (Temple: 1982)

Come già affermato, Abbey divenne un guru per Earth First!, tanto che nel 1981 in occasione di una manifestazione pubblica del gruppo contro le autorità locali, che vedevano nella diga un segno di progresso, Abbey non solo lesse un accesso discorso, ma, addirittura, sostenne gli attivisti del movimento, i quali srotolarono lungo la parete verticale della diga un enorme striscione raffigurante una crepa. Il gesto, inserito come primo episodio di sabotaggio in The Monkey Wrench Gang, ottenne una grande attenzione da parte dei media americani, che espressero opinioni contrastanti al riguardo: alcuni definirono i membri dell’organizzazione terroristi violenti, altri, invece, li chiamarono salvatori.

Nonostante Abbey non abbia mai ammesso di fare parte del gruppo, continuerà fino alla fine dei suoi giorni a scrivere lettere e discorsi per Earth First!. La sua ultima apparizione in pubblico, guarda caso, sarà nel 1989 proprio in occasione di un incontro del movimento a Tucson.

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