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I. INTRODUZIONE

1. EDWARD ABBEY: IL GUARDIANO ANARCHICO DELL’OVEST

1.4 Produzione scritta e tematiche ricorrenti

L’estrema complessità di Abbey, sia come uomo che come scrittore, certamente si riflette nella sua produzione scritta. Nonostante la maggior parte dei suoi libri trattino tematiche ambientali sin dai primi volumi, definire Abbey come solamente uno scrittore ambientalista sarebbe alquanto riduttivo. Infatti, come si potrà osservare qui di seguito nell’analisi delle sue opere principali, Abbey sembra costantemente portare avanti una feroce critica alla cultura che lo circondava. La sua opera di denuncia viene offerta al pubblico di lettori in forma di romanzi e saggi, tutti caratterizzati da uno stile diretto e, talvolta, offensivo.

Addentrandoci nell’analisi dei testi di finzione, il primo libro pubblicato da Abbey fu

Jonathan Troy nel 1954. James M. Cahalan nella sua famosa biografia sull’autore, Edward Abbey: A Life del 2001, sottolinea con decisione come per molto tempo Abbey non considerò

riuscita questa sua prima opera, in quanto era convinto di dover ancora maturare e crescere prima di acquisire la pazienza e l’abilità necessarie ad un buon scrittore.

A dispetto dell’opinione negativa dell’autore, il libro rappresenta un punto di partenza importante nella carriera di Abbey, poiché al suo interno è possibile ritrovare le radici del pensiero improntato all’anarchia. Infatti, il protagonista è un giovane di 19 anni, la cui aspirazione più grande è lasciarsi alle spalle la piccola cittadine di origine per vivere nel deserto. Caratterizzato da un atteggiamento piuttosto scontroso verso tutti, in particolare nei confronti del padre, membro degli Industrial Workers of the World, Jonathan Troy presenta quell’ arroganza tipicamente giovanile che contraddistinse lo stesso Abbey. Anche se il libro è dichiaratamente non autobiografico, i tratti in comune tra il protagonista e il suo autore sono molto marcati.

Nel 1956, a distanza di due anni dal primo libro, Abbey pubblica The Brave Cowboy, romanzo che tratta la storia di Jack Burns, un cowboy vecchio stampo, che offre saltuariamente i propri servizi nei ranch e che ripudia fermamente qualsiasi forma di tecnologia. Egli manifesta il proprio rifiuto ad entrare nella società moderna tagliando ogni recinto che incontra, stracciando ogni documento identificativo esistente e non iscrivendosi al registro per la leva militare.

Cahalan sostiene che il personaggio di Jack Burns assomigli per molti aspetti ad uno dei protagonisti di The Monkey Wrench Gang, George Washington Hayduke, l’ex berretto verde

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che rappresenta la forza bruta in azione nel romanzo del 1975. Burns compirà altre comparsate misteriose in libri successivi, ad esempio in Hayduke lives!, vale a dire il seguito di The Monkey

Wrench Gang pubblicato postumo nel 1990, e nel romanzo fantascientifico Good News del

1980. Quest’ultimo, in particolare, si potrebbe considerare il sequel di The Brave Cowboy, visto che tra i protagonisti ritroviamo lo stesso Jack Burns, intento a difendere la propria libertà dai soprusi di un governo militare, che ha instaurato una feroce dittatura in una futuristica città di Phoenix, in Arizona. Nel libro Abbey compie un’aspra critica alla società industriale americana, accusandola di portare l’umanità al collasso nel caso continuasse a sfruttare le risorse naturali senza alcuna misura e considerazione.

Ritornando a The Brave Cowboy, è bene precisare che il romanzo nel 1962 fu tradotto in versione cinematografica per volontà di Kirk Douglas con il titolo Lonely Are the Brave. Il film, diretto da David Miller su una sceneggiatura di Dalton Trumbo, fu prodotto per la Universal Pictures e fu girato nella zona attorno ad Albuquerque, Nuovo Messico. Film dai toni malinconici rappresenta forse il tramonto sia dell'epopea western sia del mito dell'eroe sempre vincente. Lo sceneggiatore, Dalton Trumbo, vi ha trasferito tutta la propria amarezza per essere stato condannato, alcuni anni prima all'epoca del maccartismo, ad 11 mesi di carcere per le sue idee politiche. Egli, infatti, si era rifiutato di testimoniare davanti alla Commissione per le attività antiamericane nel 1947 sulla sua adesione al comunismo. Come conseguenza di questa mancata collaborazione con il Congresso, Trumbo venne inserito nella lista nera dell’industria del cinema di Hollywood insieme ad altri numerosi colleghi e, successivamente, fu costretto a continuare la propria attività in maniera clandestina, usando diversi pseudonimi.

In effetti, il maccartismo negli Stati Uniti è stato un fenomeno che sin dai primi anni 50 del XX secolo ha contribuito a diffondere un clima di caccia alle streghe, più precisamente ai comunisti e a qualsiasi loro possibile attività. È stato così che ha avuto origine la cosiddetta “Red Scare” (Paura Rossa). Il termine “maccartismo” deriva dal nome del senatore repubblicano del Wisconsin, Joseph McCarthy, il quale guidò buona parte delle investigazioni e degli interrogatori al fine di scovare chiunque fosse legato al comunismo e potesse in qualche modo promuoverne l’ideologia. Fu particolarmente famosa la sua azione di controllo ad Hollywood: numerosi nomi celebri, come quelli di Charlie Chaplin o Walt Disney, vennero accusati ed indagati. Si tratta dello stesso periodo durante il quale l’FBI apre per la prima volta nel 1956 il fascicolo su Edward Abbey per un sospetto suo coinvolgimento in attività definite comuniste.

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Anche il terzo romanzo di Abbey otterrà un adattamento televisivo. Mi riferisco a Fire

on the Mountain del 1962. Il libro fornirà ispirazione per un film con lo stesso identico titolo,

che vide tra gli attori protagonisti persino il famoso Ron Howard. Nell’opera Abbey critica le politiche di sovra espansione del governo degli Stati Uniti ai danni delle piccole realtà, uomini in grado di vivere dei frutti della terra senza avere un impatto nocivo sull’ambiente. Ciò che l’autore promuove è un’ideale di vita semplice, lontana da malate ed inutili necessità di crescita senza limiti.

Il tema dell’esproprio della proprietà privata si presenta in tutta la sua ingiustizia nella vicenda del protagonista, John Vogelin, un allevatore del Nuovo Messico che viene minacciato dalla United States Air Force di dover abbandonare la propria terra per trasformarla in una zona di test per bombardamenti aerei. La sua è una storia di resistenza all’ingiustizia e all’imposizione che, sfortunatamente, non avrà un esito positivo.

Tuttavia, è molto interessante osservare come ancora una volta Abbey sia riuscito a raffigurare l’impossibile compatibilità tra l’ideale di un’esistenza in comunicazione diretta con la natura e i ritmi e le avidità del XXI secolo. Il lettore assiste nel libro ad un duello tra natura e tecnologia, tematica molto cara all’autore.

Per il successivo romanzo di finzione gli affezionati lettori di Abbey dovettero aspettare il 1971 con Black Sun. Indicato da Cahalan come uno dei libri più amati da Abbey, Black Sun rappresenta un’opera originale ed unica nella produzione di Abbey, poiché all’amore sconfinato per la natura si affianca un amore carnale e concreto per una donna. Infatti, nel romanzo viene raccontata una complessa storia d’amore tra una donna e un ranger forestale. Neanche in questo caso la conclusione sarà felice, poiché all’improvviso colei che era la fonte dell’amore dell’uomo per la natura incontaminata scompare, abbandonandolo nella più totale desolazione. Il libro alterna episodi inventati, frutto della fantasia dell’autore, ad eventi reali, quasi autobiografici. Più precisamente, il romanzo è stato pubblicato in seguito alla morte della terza moglie di Abbey per leucemia. La perdita fu così traumatica per l’autore, che lo porterà a dedicare a lei il libro, trasformandola nella voce della foresta che dialoga con il ranger e che discute con lui sulla profondità dei sentimenti umani, sia delle immense gioie dell’amore, sia delle intense angosce derivanti da una perdita.

È interessante notare come quasi nessuno dei romanzi di Abbey elencati fino ad ora tratti vicende con esiti positivi. Il protagonista, di solito un antieroe che si ribella, difficilmente riesce nel suo nobile intento di preservare la natura che difende. Che non sia per caso un

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avvertimento di Abbey? Può darsi che lo scrittore stesse mettendo in guardia i suoi attenti lettori sul futuro che attende l’umanità, nel caso questa continui a sfruttare il mondo naturale e le sue risorse senza preoccuparsi del domani. Secondo Abbey, il progresso e la crescita senza regole finiranno per condannare l’uomo e la natura.

Il 1975 vede Abbey ritornare sui suoi passi, trattando nuovamente tematiche legate all’eccessiva industrializzazione dell’Ovest, alla critica della società dei consumi e al voto alla disubbidienza, con The Monkey Wrench Gang, vale a dire uno strambo gruppo di eco-terroristi che adotta tecniche di guerriglia e sabotaggio per difendere la natura dello Utah, dell’Arizona e del Nuovo Messico dall’avanzata del capitalismo. Le loro avventurose incursioni nel paesaggio desertico di questi luoghi le tratterò con maggior cura nel secondo capitolo della tesi, il quale è interamente dedicato all’analisi del romanzo.

Hayduke Lives!, pubblicato postumo nel 1990, è considerato il sequel di The Monkey Wrench Gang. Privo di un’ultima revisione dell’autore dovuta alla morte di questo, il libro

riprende la figura di Hayduke da dove era stata lasciata nel romanzo precedente, sempre intento a proteggere il deserto del sud-ovest americano da uno sviluppo sregolato.

Poco prima della sua morte Abbey pubblica nel 1988 The Fool’s Progress, un’opera che inizialmente si sarebbe dovuta intitolare Adventures of the Barbarian e che raccoglie il lavoro di ben 30 anni di scrittura. Proprio come Abbey, il protagonista è un misantropo anarchico, che rifiuta di sottomettersi ad una società troppo succube del commercio e dei suoi consumi e, per liberarsi da tutto ciò, intraprende un viaggio attraverso l’America accompagnato solo dal suo fedele cane. Ritorna nuovamente il tema del viaggio e del vagabondare, tanto caro a tutti gli scrittori che hanno influenzato maggiormente Abbey: la mente vola subito a Muir, a Leopold e agli artisti della Beat Generation, le cui lunghe peregrinazioni nella natura hanno ispirato profonde riflessioni sul rapporto tra questa e l’essere umano.

Edward Abbey è stato uno scrittore degno di nota non solo per la sua produzione di romanzi di finzione, ma anche e soprattutto per i suoi saggi. Esempio chiave è rappresentato da

Desert Solitaire del 1968, un’opera in cui l’autore esprime tutto l’amore e l’apprezzamento

profondo per la wilderness selvaggia dell’Ovest americano, patrimonio unico che deve essere difeso a tutti i costi dal nocivo impatto che tecnologia e industrializzazione hanno sull’habitat naturale. Abbey basa le proprie argomentazioni sulla sua esperienza di lavoro come ranger al parco Arches National Monument nel corso di due stagioni. Il libro alterna una serie di narrazioni di episodi di vita e lavoro nel parco a riflessioni sulla maestosità della natura

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circostante. Queste emozioni ed immagini vengono trascritte sulla carta come se fossero parte di un flusso di coscienza, un getto spontaneo di pensieri e considerazioni. Tali ragionamenti, che si ricollegano immediatamente alle idee dei movimenti ambientalisti, riscossero un enorme successo presso il pubblico, tanto che Cahalan nella sua biografia su Abbey afferma che lo scrittore non si riusciva a spiegare come potesse essere così semplice scrivere un libro e, inoltre, sostiene che la popolarità di Desert Solitaire raggiunse picchi tali da portare Abbey a vietare la ristampa del libro per tre anni di seguito, poiché non voleva essere ricondotto solamente a questa opera, avendo alle spalle una produzione ricca di libri altrettanto ben riusciti.

Nel libro la natura viene presentata con un doppio volto: da un lato la wilderness si mostra serena e calma, offrendosi in tutta la sua bellezza all’osservatore Abbey, ma dall’altro essa può anche essere molto violenta e incapace di perdonare, come quando Abbey racconta di una improvvisa alluvione che distrusse tutto quanto al suo passaggio, o di quando lo scrittore fu coinvolto nella ricerca di un turista che si era perso nel parco. Lo ritroveranno senza vita sotto ad un albero. Nonostante Abbey fosse dispiaciuto per la tragica fine dell’uomo, non poté trattenersi dal pensare che se l’uomo non avesse allontanato da sé del tutto la natura, forse sarebbe ancora capace di conviverci insieme senza rischiare di perdere la vita.

Addentrandoci nella produzione saggistica di Abbey, attirano l’attenzione 4 opere in particolare: sto parlando di Appalachian Wilderness (1970), Slickrock (1971), The Hidden

Canyon (1977) e Desert Images (1979). Questi libri presentano la stessa volontà di

celebrazione della natura: ad esempio, in Appalachian Wilderness lo scrittore non si sofferma soltanto sulla descrizione delle montagne velate di nebbia, dei torrenti che scorrono veloci in alta quota e delle ampie radure di fiori selvatici, perché allo stesso tempo narra con quello stile eccentrico, che lo caratterizza, la storia dell’uomo in questa regione, soffermandosi anche sulle popolazioni native come i Cherokee.

Lo stesso umorismo sottile e tagliente lo si ritrova in Slickrock quando descrive le bellezze naturali dell’altopiano del Colorado (Colorado Plateau). Gli intricati sentieri dei canyon di questa regione come, allo stesso modo, la vista imponente del fiume Colorado sono spettacoli che mozzano il fiato e che Abbey riporta con tale maestria da riuscire a trasmettere al lettore quella sensazione di piccolezza che si prova normalmente davanti a vedute simili. La mente non riesce a capacitarsi di tanta bellezza e, quindi, semplicemente lascia l’uomo senza pensieri e parole.

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Tuttavia, i 4 libri sopra citati hanno anche in comune il fatto che, a distanza di qualche anno dalla loro prima pubblicazione, essi siano stati ristampati in nuove versioni, dove al fianco delle parole di Abbey è possibile trovare le immagini fotografiche dei luoghi raccontati dallo scrittore. Ebbene, si tratta di foto scattate da fotografi di fama internazionale, tra i quali ritroviamo: Eliot Porter per Appalachian Wilderness, Philip Hyde per Slickrock, John Blaustein per The Hidden Canyon e David Muech per Desert Images.

I saggi prodotti da Abbey sono veramente numerosi: alcuni sono semplici riflessioni e descrizioni dei suoi viaggi attraverso l’America, come in Cactus Country (1973) o Abbey’s

Road (1979), mentre altri si inseriscono nella scia di Desert Solitaire, portando avanti critiche

ben più complesse.

È il caso di The Journey Home del 1977. All’interno del volume si ritrova la severa voce di Abbey che, proprio come in Desert Solitaire, offre al suo lettore un’immagine dell’Ovest americano che resterà impressa nella memoria. La wilderness qui descritta non solo lascia un senso di profonda ammirazione, ma si propone come rifugio per tutti coloro che vogliono rovesciare una qualsiasi forma di governo non democratico. Più precisamente, The Journey

Home apre la strada ad una serie molto lunga di saggi simili, tra cui i più noti sono: Down the River (1982), In praise of Mountain Lions (1984), One Life at Time, Please (1988), A Voice Crying in the Wilderness: Notes from a Secret Journal (1989) e Confessions of a Barbarian

(1994). Di quest’ultimo, in particolare, è bene precisare che consiste in una raccolta di riflessioni e considerazioni tratte direttamente dai diari personali di Abbey che lo scrittore porto con sé per tutta la vita, a partire dal 1951 fino al 1989. Leggendo le sue parole, è come se Abbey in persona tornasse in vita con tutta la sua rabbia ed eccentricità.

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