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I. INTRODUZIONE

3. ECOCRITICISM: LA NUOVA ECOLOGIA LETTERARIA E LA CRISI

3.4 Shallow e Deep Ecology a confronto

Un altro punto che deve essere chiarito nella trattazione degli sviluppi storici e teorici dell’ecocriticism riguarda la differenza tra shallow e deep ecology. La prima espressione viene usata per riferirsi ad una posizione politica e filosofica nel rapporto tra uomo e natura che promuove e ritiene conveniente la difesa e la conservazione di quest’ultima nella misura in cui queste politiche di protezione garantiscano un qualche vantaggio per l’uomo. Pertanto, si riesce facilmente a comprendere come la shallow ecology proponga un modello di tutela dell’ambiente fortemente antropocentrico e votato al benessere esclusivo della specie umana. Infatti, secondo questo movimento soltanto gli esseri umani sono dotati di un valore intrinseco che li eleva sulle altre forme di vita e che li autorizza a sfruttarle per il proprio tornaconto e vantaggio. Poiché la shallow ecology non riconosce lo stesso valore e la stessa importanza alle altre forme di vita, siano esse animali o vegetali, non si interverrà in loro difesa a meno che la loro scomparsa non vada a danneggiare considerevolmente la salute della specie umana e del suo stile di vita. Le basi su cui appoggia questo orientamento antropocentrico ed utilitaristico sono il consumismo e il materialismo, i quali sostengono che la soluzione più adeguata ai principali problemi di tipo ambientale sia il ricorso ad un uso maggiore di tecnologia e scienza, piuttosto che un cambiamento radicale dei comportamenti e delle abitudini umane. In altre parole, la shallow ecology suggerisce un approccio molto più pragmatico e meno spirituale all’attuale crisi ambientale e al rapporto tra uomo e natura in vista di un futuro migliore per le prossime generazioni.

Al contrario, la deep ecology, sviluppatasi a partire dagli anni 80 del XX secolo, invocava una rivoluzionaria e radicale rivalutazione della relazione tra gli esseri umani e la

wilderness, rifiutando con forza la visione antropocentrica ed utilitaristica promossa

dall’ideologia dominante della shallow ecology. Affermatasi come un movimento dalle idee estremiste, la deep ecology accusava i valori materiali ed effimeri della cultura industrializzata dell’Europa e del Nord America di essere la vera causa della crisi ambientale attuale, dato che le due mentalità consumistiche avevano contribuito a sminuire l’importanza e il valore intrinseco della natura, vale a dire fattori che si dovrebbero considerare indipendenti dai bisogni e dai desideri umani:

The well-being and flourishing of human and non- human Life on Earth have value in themselves. These values are independent of the usefulness of the non-human world for human purposes. (Nӕss, 2015: 49)

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Secondo David R. Keller nel suo articolo Deep Ecology, l’originalità delle idee di questo movimento è stata in grado di attirare l’attenzione e, conseguentemente, di ottenere il supporto non solo di attivisti ambientalisti, ma anche di accademici e letterati di alto profilo. Essi, infatti, sono riusciti ad individuare punti in comune tra le nozioni principali della deep ecology e una grande varietà di ambiti: tra questi si incontrano scienze ecologiste, varie religioni come il cristianesimo e il buddismo, la spiritualità New Age e, persino, idee proprie di gruppi ecoterroristi, che sollecitano l’intervento diretto e il sabotaggio ambientalista in difesa della natura. Più precisamente, l’espressione “deep ecology” indica una filosofia ambientalista basata su principi come l’olismo metafisico e l’uguaglianza tra tutte le forme di vita della terra, attribuendo ad esse pari importanza e riconoscendo l’esistenza di una connessione tra tutti gli organismi cha fanno parte del “biota”, cioè dello stesso ecosistema. La natura e le varie entità che la formano non dovrebbero essere suddivise in scale gerarchiche in base al grado di coscienza e di sensibilità, poiché questa suddivisione favorirebbe la ingiusta rivendicazione di una superiorità morale da parte di quelle specie dotate di maggior consapevolezza, come nel caso dell’essere umano. In effetti, i seguaci della deep ecology sostengono che sia stata proprio questa mentalità ad incoraggiare uno sfruttamento smodato della natura e delle sue risorse. L’olismo, al contrario, considera i confini tra gli esseri viventi come puramente illusori, promuovendo una solidarietà globale tra le varie forme di vita e una comunione di tutte queste in un unico ecosistema. L’essere umano è soltanto una parte del Tutto:

Through this awakening, the ontological boundaries of the self-extend outward, incorporating more and more of the lifeworld into the self. This insight discloses that there is in reality only one big Self, the lifeworld. (Keller: 207)

Il termine “Deep Ecology” è stato coniato dal filosofo norvegese Arne Nӕss in un famoso articolo del 1973 intitolato “The Shallow and the Deep, Long-Range Ecology Movement: A Summary”, nel quale lo stravagante filosofo ed alpinista norvegese ha chiarito e teorizzato le differenze tra le due tipologie di ecologia analizzate. Nel saggio di Nӕss, “The deep ecological movement: some philosophical aspects”, contenuto nel volume di Ken Hiltner,

Ecocriticism: The Essential Reader, l’autore precisa che esistono addirittura sei diverse

denominazioni valide per questo nuovo movimento:

There are at least six other designations which cover most of the same issues: “Ecological Resistance”, used by John Rodman in important discussions; “ The new Natural Philosophy” coined by Joseph Meeker; “Eco-philosophy”, used by

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Sigmund Kvaloy and others to emphasize a highly critical assessment of industrial growth societies from a general ecological point of view and the ecology of the human species; “Green Philosophy and Politics”, while the term “green” is often used in Europe, in the United States “green” has a misleading association with the rather “blue” Green Revolution; “Sustainable Earth Ethics”, as used by G. Tyler Miller; and “Eco-sophy”, eco-wisdom, which is my own favourite term.

(Nӕss, 2015: 52)

Nӕss precisa che il termine “eco-sophy” è il migliore per riferirsi al movimento poiché non indica una filosofia in senso accademico, né tantomeno una forma di religione o di ideologia, quanto piuttosto designa una saggezza o sensibilità ambientale che incoraggia a ribaltare l’idea baconiana che la natura andasse combattuta, sfruttata e sottomessa in quanto mera fornitrice di risorse di vario tipo. Quest’ultima dovrebbe essere considerata, invece, come un’entità con la quale avere un rapporto alla pari, cioè un soggetto dotato di vita propria e non come un semplice oggetto. Ebbene, la deep ecology cercava di suscitare nell’uomo un cambiamento radicale di abitudini e di stili di vita, pur essendo consapevole della difficoltà dell’impresa: da sempre gli uomini modificano la wilderness per il proprio tornaconto e certamente non cesseranno di farlo nel prossimo futuro, anche a costo di terribili perdite in fatto di biodiversità. In fin dei conti, si tratta di un sacrificio accettabile in vista di una maggiore prosperità economica. Infine, nel suo saggio Nӕss mette in luce un grande paradosso della società moderna: sostiene che sempre più spesso viene usato l’aggettivo “sostenibile” per riferirsi al nuovo approccio che l’uomo dovrebbe adottare in materia di politica ed economia nel relazionarsi con la natura e l’ambiente. Tuttavia, ciò che non viene specificato, secondo l’autore, è che in verità l’aggettivo si riferisce ad una sostenibilità favorevole e vantaggiosa soltanto ai bisogni e alle esigenze umane. La natura continua a rimanere inascoltata e la sua tutela non è ancora considerata una priorità dall’uomo.

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3.5 I legami tra Edward Abbey e l’Ecocriticism: il sabotaggio ecologista, l’aspra