• Non ci sono risultati.

I. INTRODUZIONE

2. THE MONKEY WRENCH GANG: MANUALE PER ASPIRANTI SABOTATORI

2.5 Ricezione critica del romanzo

Dopo aver analizzato ed approfondito ogni singolo aspetto del romanzo, vale a dire dal contesto storico-sociale e politico di origine, ai diversi personaggi, temi e stile narrativo di Abbey, non resta che rivolgere l’attenzione ad un ultimo aspetto meritevole di analisi, cioè l’impatto che un romanzo così rivoluzionario e dai toni anarchici come The Monkey Wrench

Gang ebbe sul pubblico di lettori e di esperti critici. In effetti, avendo osservato l’unicità dello

scrittore Edward Abbey, sia come individuo fortemente anticonformista che come eccentrico difensore della wilderness americana, non si può fare a meno di domandarsi come venne accolto il romanzo negli anni successivi alla sua pubblicazione e, soprattutto, quali effetti produsse l’accesa polemica presente nelle sue pagine. Personalmente, la domanda che mi sono posta più spesso, dopo aver terminato la lettura del libro e dei vari saggi, è stata chiedermi se Abbey con il suo capolavoro letterario fosse effettivamente riuscito nell’intento di risvegliare le coscienze dei lettori e aprire loro gli occhi riguardo alle terribili conseguenze che gli sfrenati consumi e l’ideologia capitalista della società americana stavano avendo sull’ambiente e la natura. Ebbene, per quanto riguarda la mia modesta esperienza di lettura del romanzo di Abbey, posso affermare in totale onestà che ci sia riuscito, in quanto è palese che le pesanti critiche e polemiche di Abbey riguardo al disastro ambientale possano essere applicate indistintamente alla nostra attualità e a tutta la società umana. Inoltre, alla luce dei recenti sviluppi della questione ambientale e del dilagare di nuove pandemie, che ci costringono a rimettere in discussione lo stile di vita e i ritmi frenetici ormai assunti, le idee di Abbey non possono fare altro che risuonare più forte nella mia mente e portami a pensare che non solo avesse ragione, ma che avesse avuto la capacità di presagire le evoluzioni future dello scempio ambientale a lui contemporaneo. Lui stesso ammette nel suo libro del 1975 che prima o poi qualcosa avrebbe necessariamente rallentato o fermato la crescita e lo sviluppo senza regole:

Young men and women in the flower of their youth, like Hayduke there, or Bonnie, bleeding to death without a wound. Acute leukaemia on the rise. Lung cancer. I think the evil is in the food, in the noise, in the crowding, in the stress, in the water, in the air. I’ve seen too much of it, Seldom, and it’s going to get a lot worse, if we let them carry out their plans. (Abbey, 2006: 180)45

45 “Ragazzi e ragazze nel fiore degli anni, proprio come Hayduke, o Bonnie, che sanguinano a morte senza nessuna ferita. Leucemia acuta in aumento. Tumore ai polmoni. Credo che il male sia nell’alimentazione, nel rumore, nell’affollamento, nello stress, nell’acqua, nell’aria. Ho visto troppe di queste cose, Seldom. E se li lasciamo andare avanti con i loro piani, le cose non potranno che peggiorare.” (Abbey, 2001: 172)

88

Ritornando, dunque, agli scrittori e critici che hanno espresso la loro opinione riguardo a The Monkey Wrench Gang, è risaputo che nel corso degli anni sono state prodotte svariate recensioni del libro e del suo bizzarro autore ma, tra tutte queste, alcune sono particolarmente degne di nota: mi riferisco all’analisi di Jim Harrison del novembre del 1976, alla recensione di Bill McKibben intitolata The Desert Anarchist dell’agosto del 1988, entrambe pubblicate sul New York Times per via della loro spiccata originalità ed audacia e, infine, alla prefazione di Franco La Polla alla prima traduzione italiana del romanzo pubblicata dalla casa editrice Meridiano Zero nel 2001.

Iniziando la nostra analisi proprio dalla recensione di Jim Harrison, ciò che colpisce immediatamente l’attenzione del lettore è l’affermazione con cui lo scrittore e saggista americano inizia la sua critica, cioè sostiene che gli Stati Uniti rappresentavano l’unico paese in cui si potesse pubblicare un romanzo dai toni così anarchici e violenti senza che l’autore o il volume stesso venissero sanzionati o puniti. In verità, devo ammettere che tale dichiarazione ha suscitato in me un certo stupore la prima volta che l’ho letta, poiché sia il romanzo del 1975 che la recensione di Harrison dell’anno successivo erano stati divulgati subito dopo decenni alquanto turbolenti della storia americana, rimasti impressi nell’immaginario comune per le rivendicazioni dei movimenti di controcultura, per le proteste delle minoranze e per le misure di repressione e censura adottate dalle autorità nei confronti di chiunque si comportasse da agitatore o sobillatore di folle. A ciò si deve aggiungere che i miei dubbi riguardo alla presunta impunità dell’autore, come dichiarato da Harrison, non fanno che aumentare se si pensa a quanto riportato da Cahalan nella sua biografia, cioè che Abbey fosse stato per molti anni un osservato speciale dell’FBI per via della propensione all’anarchia e per il sospetto di un suo coinvolgimento in attività comuniste. Pertanto, mi appare naturale chiedermi che cosa abbia portato Harrison ad affermare che un romanzo così unico nel proprio genere non avrebbe generato nessuno scalpore o disordine in seguito alla sua pubblicazione. Onestamente, io mi sarei aspetta una dichiarazione totalmente opposta, soprattutto alla luce di quanto sostiene Cahalan riguardo alla radicalità dei contenuti e dei temi presentati in The Monkey Wrench Gang: infatti, in quest’opera Abbey non si limita a presentare con toni accessi la sua personale e innovatrice visione politica, ma, allo stesso tempo, fornisce a una nuova generazione di disillusi attivisti ambientalisti una guida provvidenziale per intraprendere nuove forme di protesta in difesa della wilderness.

Ebbene, continuo a chiedermi come potesse rimanere impunito un romanzo che attaccava direttamente il potere stabilito del governo centrale degli Stati Uniti e che incitava

89

apertamente alla rivolta. Probabilmente, le autorità americane non presero severi provvedimenti in seguito alla pubblicazione del romanzo di Abbey poiché lo sottovalutarono e lo considerarono l’ennesima bravata di un bizzarro ambientalista. In effetti, al tempo della pubblicazione della recensione di Harrison nessuno avrebbe mai potuto immaginare che a distanza di qualche anno questo volume sarebbe diventato la Bibbia di uno dei movimenti ecologisti più radicali di sempre, Earth First!.

In aggiunta a ciò, Harrison aveva anche affermato che il libro non divenne oggetto di molte attenzioni nel corso del primo anno della sua pubblicazione, idea in seguito confutata da Cahalan che sosteneva, al contrario, che l’opera avesse riscosso un graduale ma considerevole successo sia presso il pubblico che presso la critica sin dall’inizio, tanto che due case cinematografiche americane, la Lippincott e la Palladium Production, proposero ad Abbey il progetto di un adattamento cinematografico del suo romanzo. Tale proposta non venne mai realizzata perché secondo Cahalan il film avrebbe violato uno dei valori più sacri per la società americana, cioè la difesa della proprietà privata industriale. Seguendo questo ragionamento, non sarebbe mai stato possibile mettere in scena un film che rappresentasse il sabotaggio di macchinari e che trattasse il tema del disastro ambientale. Anzi, paradossalmente, al tempo sarebbe stato considerato molto più accettabile realizzare pellicole in cui comparissero atti di terrorismo e spargimenti di sangue.

Inoltre, un altro tratto molto interessante della recensione di Harrison si riferisce all’atmosfera di vuoto politico che accolse l’uscita del libro. Secondo l’autore, l’unico vero pubblico sul quale il romanzo avrebbe potuto avere una qualche presa, cioè la cosiddetta New Left americana o Nuova Sinistra, aveva voltato le spalle ai suoi ideali originali per abbracciare nuove tendenze. Più precisamente, la New Left americana consisteva nell’insieme di movimenti della sinistra radicale, che si erano sviluppati a partire dagli anni sessanta del secolo scorso. Questa nuova sinistra aveva abbandonato l’attivismo e la protesta su tematiche inerenti alla tutela dei lavoratori, tipiche della vecchia sinistra, e si era focalizzata su nuovi problemi come i disagi e altri mali della società moderna. Secondo Harrison, tale trasformazione aveva innescato un profondo cambiamento ideologico, che aveva determinato la morte dei gloriosi movimenti di massa di un tempo. Leggendo la citazione sotto riportata, non posso fare a meno di pensare che Harrison fosse molto preoccupato del fatto che l’ideologia di The Monkey

Wrench Gang non ricevesse un sostegno adeguato da parte delle nuove generazioni, visto che

queste erano le uniche in grado di far sentire la propria voce e promuovere un cambiamento di mentalità e di sensibilità nei confronti delle questioni ambientali trattate da Abbey:

90

The only possible audience the book could truly resonate against, the New Left, had largely turned to more refined dope, natural foods, weird exercises, mail order consciousness programs, boutiques, and Indian jewellery…the sense of mass movement is deader than Janis Joplin” (Harrison, 2006: 10)

In conclusione, nell’ultima parte della sua recensione Harrison si sofferma sull’analisi dello stile narrativo di Abbey. In particolare, crede che l’autore di The Monkey Wrench Gang si distingua soprattutto per la capacità di descrivere il fragile Sud-Ovest con lo stesso trasporto emotivo e con la stessa passione che soltanto un innamorato avrebbe nei confronti della persona amata. Scendendo maggiormente nel dettaglio, Harrison è convinto che Abbey si serva di un linguaggio che alimenti il paragone della natura con un’entità femminile, che viene devastata e violentata continuamente dal progresso e dalla società. Infatti, è per questa ragione che nelle pagine del romanzo l’intimità che si stabilisce tra lo scrittore, immedesimatosi nei suoi personaggi, e la natura si alterna spesso ad una manifestazione di forte rabbia per via dello scempio a cui è costretto assistere. Nel romanzo viene rappresentato l’intenso desiderio dei quattro protagonisti di salvare quanto è rimasto della wilderness selvaggia dell’Ovest americano, vale a dire una ricchezza rara ormai portata allo stremo delle sue forze. A questo proposito, Harrison usa un’espressione molto forte per riferirsi alla distruzione ambientale compiuta in questa regione, la quale lascia intendere che sia ormai irrimediabilmente andata persa una buona parte di creato: “In the Southwest we have torn a hole in creation”. (Harrison, 2006: 11)

Le stesse perplessità espresse da Harrison riguardo ai vantaggi di uno stile di vita consumistico si possono individuare anche nella seconda recensione qui presa in analisi, cioè il saggio sul cosiddetto “Desert Anarchist” di Bill McKibben, pubblicato nel 1988 sul New York Times. In esso l’autore si meraviglia di come Abbey fosse capace di non lasciarsi influenzare dalla propaganda della società capitalista, che offuscava la capacità di giudizio dei singoli con promesse di considerevoli benefici e vantaggi, ovviamente derivanti da un determinato stile di vita all’insegna del consumo. Abbey viene descritto da McKibben come un disilluso, che rifiuta la falsità e la superficialità tipiche della società per ritirarsi a vivere nella wilderness. Lui, che era cresciuto tra le verdi e nebbiose alture degli Appalachi cacciando scoiattoli e studiandone la flora, sceglie di rifugiarsi nell’arso e brullo deserto, luogo che a molti parrebbe inospitale e privo di ogni forma di vita.

91

Altri prima di lui avevano compiuto la medesima scelta di lasciarsi alle spalle le corruzioni materiali della società moderna al fine di ritrovare quello stretto legame con il mondo naturale che l’uomo sembrava ormai aver perso. Primo tra tutti troviamo Thoreau, che McKibben definisce essere una delle più autorevoli “voices of solitude and of nature” (McKibben, 2006:13). Durante il suo ritiro a Walden Pond Thoreau ebbe l’opportunità di sperimentare uno stile di vita caratterizzato da una profonda intimità con la natura e grazie a questa scelta egli tentò di dimostrare a tutti che soltanto nella wilderness è possibile ritrovare sé stessi, poiché se si vive in una società votata esclusivamente al guadagno immediato, si può correre il tremendo rischio di venirne corrotti.

McKibben sottolinea più volte quante corrispondenze ci siano tra Thoreau ed Abbey, ma, allo stesso tempo, ci tiene anche a specificare come nell’autore di The Monkey Wrench

Gang prevalga una visione ben più radicale del complesso rapporto tra uomo e natura, ossia

un’idea che era stata soltanto accennata dagli scrittori che lo avevano preceduto e che lo avevano influenzato. Più precisamente, secondo McKibben Abbey descriverebbe con toni così accesi ed aspri l’accanimento dell’uomo sulla natura, ripetutamente devastata e umiliata, poiché, così facendo, riuscirebbe a rappresentare il timore che, in realtà, l’uomo nutre nei confronti di quest’ultima. La natura viene presentata come un’entità estremamente complessa, i cui meccanismi interni si rivelano per l’uomo affascinanti ma, allo stesso tempo, di difficile comprensione. L’incapacità di capire determina nell’essere umano la necessità di domare questo ente, il quale viene così privato del suo carattere selvaggio e primordiale e viene ricondotto ad una dimensione totalmente umana. In verità, è proprio questa paura dell’ignoto che ci porta a commettere grandi errori, poiché la natura e il creato intero non sono stati plasmati esclusivamente per l’uomo, bensì le ragioni della loro esistenza trascendono la comprensione umana. Quello che nel suo saggio McKibben chiama “anthropocentric model” (McKibben, 2006:15), vale a dire un modello che proclama la supremazia dell’uomo sulla natura e su tutte le altre specie, ha avuto fortuna e si è diffuso proprio perché molto confortante e rassicurante. Tuttavia, secondo l’autore della recensione il modello antropocentrico non avrà ancora vita lunga, poiché prima o poi la natura ci costringerà a rallentare e a rivedere totalmente la nostra relazione con lei. Dovremmo necessariamente limitare la nostra cupidigia e il nostro appetito di avere sempre di più, poiché l’ambiente con le sue risorse limitate non reggerà ancora a lungo i ritmi e consumi frenetici. Se non avverrà velocemente un cambiamento di abitudini e di mentalità, ci attendono scenari futuri molto preoccupanti e tale presa di coscienza non avviene con semplicità in tutti. È per questa ragione che voci come quella di Abbey vengono

92

percepite come fastidiose da chi fatica ad aprire gli occhi sulla situazione attuale, perché egli non si limita a criticare lo stile di vita moderno, ma addirittura osa disturbare la pace delle nostre menti con idee e pensieri catastrofici. Inoltre, ha l’audacia di minare ulteriormente la nostra tranquillità interiore, instillandoci il dubbio che lo sviluppo e il progresso ci diano soltanto l’illusione di vivere una vita veramente piena e che, in realtà, da qualche altra parte del mondo qualcuno con mezzi ben più limitati sia in grado di assaporare meglio la vita:

Abbey does not explicitly claim that the mass of us lead lives of quiet desperation, but he repeatedly advances examples that make the point. (McKibben, 2006: 17)

McKibben concorda con Abbey nell’affermare che se drastiche misure non verranno adottate a tutela della wilderness, la civiltà umana non durerà un altro secolo, visto che una tremenda crisi energetica e ambientale obbligherà l’uomo a rivedere le proprie priorità: “the wilderness is not a playground but it is man’s natural native home” (McKibben, 2006: 21). In altre parole, l’uomo dovrà fare ricorso al dono che lo distingue dagli animali, cioè la ragione, per superare il proprio istinto biologico di espandersi sempre di più per doversi, al contrario, limitarsi in maniera autonoma.

È doveroso precisare che nella critica viene ammessa l’opportunità remota che McKibben ed Abbey si sbaglino e che, invece, la moderna civiltà industriale riesca non solo a rendere gli uomini veramente felici, ma anche che la tecnologia e la scienza riusciranno ad evitare catastrofi naturali future. In totale onestà, credo che sia veramente difficile non dare totalmente ragione ai due scrittori perché la natura ci dimostra in mille modi diversi che sta gradualmente perdendo sempre le forze. In effetti, ogni giorno che passa si concretizza la necessità di trovare un equilibrio tra il rispetto delle risorse naturali e le esigenze dell’uomo. Non ha alcun senso chiudere gli occhi e non voler vedere la realtà dato che lo stesso McKibben ce la ricorda:

But the ozone hole above the Antarctic widens each year and the global temperature climbs with each decade and a radical analysis becomes at least a little plausible. (McKibben, 2006: 23)

Franco La Polla, che scrive un’interessante introduzione all’edizione italiana del romanzo, di Abbey ammirava soprattutto l’abilità di raccontare l’Ovest americano con uno stile unico ed originale, che non alimentava più l’immagine comune che si ha di quelle ampie distese, diffusa grazie all’universo cinematografico e romanzesco della cultura western. Al contrario, secondo La Polla, Abbey era allontanato da una mitologia che non gli apparteneva con

93

l’obiettivo di rifondare una nuova idea di Ovest, totalmente incurante della tradizione. Abbey seppe così trasformare l’arido deserto dello Utah e dell’Arizona, fino ad allora visto esclusivamente come classico scenario di duelli e di combattimenti tra cowboy e indiani, in un luogo di ritiro e solitudine, nel quale i ribelli e i disadattati come lui potevano iniziare una tenace resistenza alla dominante ideologia progressista degli Stati Uniti del secondo dopoguerra. In altre parole, la wilderness americana raccontata da Abbey si presentava con una veste nuova, ossia quella di rifugio dal governo autoritario e di base per la resistenza alla dominazione centralizzata nel segno della disobbedienza civile promossa da Thoreau. La Polla indica Thoreau come l’autore che ha avuto più influenza su Abbey, che diventa così l’erede novecentesco di una lunga tradizione di scrittori filo naturalisti, tutti legati tra di loro dalla preoccupazione di preservare la wilderness originaria del continente nord-americano dall’avanzata del progresso: “Abbey fu un solitario, ma non un isolato” (La Polla, 2001: 6).

Nonostante le influenze letterarie, Abbey riuscì a distinguersi da tutti gli altri per una propria particolare concezione del narratore: egli non si considerava un artista, bensì sosteneva di appartenere ad una schiera di scrittori curiosi e solitari, costantemente impegnati ad osservare il mondo e la società da una prospettiva critica privilegiata. La Polla definiva Abbey un flaneur perché il suo modo di scrivere era talmente diretto da non sembrare un moto della mente, ma piuttosto dell’animo. Ciò rendeva l’autore di The Monkey Wrench Gang diverso dal classico scrittore, che aspira a riconsegnare al pubblico di lettori in modo più chiaro e comprensibile il senso di ciò che ci accade; Abbey, invece, partiva dalla ricerca di un’esperienza che non era nostra perché si rifiutava di descrivere e trattare un qualcosa di così individuale e soggettivo.

95

3. ECOCRITICISM: LA NUOVA ECOLOGIA LETTERARIA E LA CRISI