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I. INTRODUZIONE

1. EDWARD ABBEY: IL GUARDIANO ANARCHICO DELL’OVEST

1.5 Stile di Edward Abbey

Per un lettore non è semplice avvicinarsi allo scrittore Edward Abbey poiché, in un primo momento, l’eccentricità e la particolarità di tale figura potrebbero ostacolare un qualsiasi tentativo di empatia. Per l’appunto, il lettore potrebbe sentirsi disorientato davanti agli improvvisi cambi di umore dello scrittore che, inevitabilmente, si riflettono e influiscono sul suo stile letterario.

In realtà, per capire Abbey e il suo modo di scrivere è richiesto un grande sforzo di volontà e di comprensione. Ciò lo si deve al fatto che Abbey non fu semplicemente un uomo della cultura, bensì un uomo della natura, capace di assumere nei suoi scritti ogni volta forme diverse per poter portare avanti il compito assegnatosi in quanto scrittore. Tale compito non prevede esclusivamente l’essere un autore di libri o l’essere un severo commentatore della società a lui contemporanea, quanto piuttosto, secondo Abbey, il dovere più importante dello scrittore è trasformarsi in un provocatore, il quale cerca in ogni modo e con ogni mezzo a disposizione di suscitare nei lettori una qualche reazione, sia essa positiva o negativa. Abbey in persona riportò questa sua visione del ruolo di scrittore nell’intervista condotta da Temple nel 1982 per la KAET TV di Phoenix:

My role …I see myself as an entertainer. I’m trying to write good books, make people laugh, make them cry, provoke them, make them angry, make them think if possible. To get a reaction, give pleasure.

Abbey non è un semplice artista, ma è anche un attento e curioso osservatore del mondo, in particolare, della natura selvaggia dell’Ovest americano, sua unica grande musa ispiratrice. L’autore va incontro alla wilderness proprio come fecero i primi esploratori, individuando in essa non solo fonte di ispirazione ma anche origine di vita.

È bene precisare che Abbey non incoraggia quella visione romanzesca e cinematografica del selvaggio Ovest, ma, al contrario, ne rifonda l’immagine, trasformando la

wilderness dell’amato Colorado Plateau in un rifugio sicuro, dove l’uomo, che come Abbey si

sente un disadattato sociale, può trovare riparo dalle pressioni politiche dell’autoritario governo statunitense.

Ebbene, la natura diventa una base per la resistenza, dalla quale Abbey poteva portare avanti il suo severo attacco al potere centralizzato e all’autorità costituita, entrambe colpevoli

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di cospirazione contro l’essere umano e la sua vera libertà. Più precisamente, Abbey sceglie il deserto come unico vero ambiente in grado di rappresentarlo a pieno nella sua essenza e capace di respingere la dominante ideologia progressista degli Stati Uniti. In effetti, la dura prosa conservazionista di Abbey, che risponde al desiderio di preservare la natura così come è, nasce dall’indole solitaria dello scrittore.

Quest’ultimo viene definito nell’introduzione a I Sabotatori, traduzione italiana di The

Monkey Wrench Gang, come un “flaneur” (La Polla, 2001: 6), vale a dire un solitario e curioso

passeggiatore che scruta con attenzione il mondo intorno a sé. Tanto è vero che, leggendo i libri di Abbey, ci si può rendere conto che la sua scrittura non era solo frutto della mente e delle sue riflessioni, ma era anche un moto dell’animo. Sarebbe quasi più corretto dire che Abbey emana i libri, non li scrive.

In ciò risiede la diversità di questo autore: da un lato, egli parla di tematiche che ci riguardano da vicino, come la società consumistica e l’avanzata nefasta del progresso, smascherandone le complesse dinamiche, che poi ci vengono restituite in modo molto più chiaro e comprensibile, mentre dall’altro lato, ci invita anche a compiere un’esperienza nuova che non ci appartiene più e che prevede un ritorno alla natura.

I toni, con cui Abbey porta avanti questo duplice intento, oscillano da un’aspra critica e un approccio aggressivo a un tagliente umorismo e ad una propensione alla burla. Egli, infatti, si prende gioco con toni polemici delle ideologie del XXI secolo, esclusivamente interessate ad una crescita sterile e a un mero profitto. Libero da queste negative influenze, Abbey offre al proprio lettore l’opportunità di riflettere su drammi seri e importanti, avvolgendoli, però, in una patina comica, che serve a risaltarne l’assurdità e la follia.

Non è da tutti riuscire a passare da un registro all’altro con tale semplicità e naturalezza. In verità, molto spesso all’interno della stessa pagina è possibile ritrovare tutte le sfaccettature di Abbey e del suo inconfondibile stile. Ad esempio, in The Monkey Wrench Gang si assiste a repentini cambi di linguaggio: inizialmente, il lettore si ritrova immerso in un’attenta e minuziosa descrizione del deserto dell’Arizona, del quale lo scrittore ne elenca con perizia e conoscenza ogni singolo arbusto e animale. La descrizione è talmente dettagliata che il lettore è perfettamente in grado di visualizzare nella propria mente il paesaggio in questione, pur non essendoci mai stato. L’amico di vecchia data e pittore John DePuy avrebbe detto che Abbey è uno scrittore visivo, il quale riesce a cogliere il senso del sublime presente nella natura solo come un pittore saprebbe fare.

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Dopo questo primo momento di pura poesia, Abbey strappa il lettore da quella splendida rappresentazione della natura e lo fa precipitare di nuovo nel crudo realismo del presente, mostrando con razionalità e rabbia lo scempio che si sta compiendo dell’ambiente.

Particolarmente interessante è l’opinione dello scrittore messicano Luis Alberto Urrea, che nel 1995 pubblica un articolo sulla rivista Tucson Weekly intitolato Dead Reckoning. Nell’articolo lo scrittore immagina di guidare la Cadillac rossa fiammante di Abbey con il fantasma di quest’ultimo comodamente seduto sul sedile passeggero al suo fianco. Tra i due inizia un dialogo che assomiglia molto ad una resa dei conti, durante la quale Urrea fa presente ad Abbey ciò che ha amato e odiato di più della sua figura.

Più precisamente, Urrea fa riferimento alla volontà di Abbey di andare contro corrente sempre, di essere diverso in tutto, compreso lo stile con cui scriveva le sue opere:

Where many writers have a pitiable need to be loved, Ed seemed to have a puzzling need to be reviled. Puzzling, that is, if one considers Ed Abbey to be merely a writer.

Secondo Urrea, lo stile provocatore presente nella maggior parte degli scritti di Abbey è proprio pensato per far arrabbiare i lettori. Egli denuncia, senza paura alcuna, verità scomode e si fa portavoce dei più deboli, che da soli non riuscirebbero a portare avanti la lotta a tutela della natura.

Our exhaustion makes us latch on to a strong voice for justice. And Ed, with his championing of lizards and watersheds, seemed to be championing us, too. Ed made some of us hope. And we fell over like puppies, wagging and peeing at his feet.

La sua scrittura finisce per conquistare chiunque, arrivando a farci sentire suoi compagni e complici nelle azioni di sabotaggio. In altre parole, Abbey si trasforma nella nostra voce e riesce ad esprimere i nostri sentimenti più profondi. Infatti, nessuno può rimanere impassibile davanti alla distruzione della wilderness. A questo proposito, Urrea ammette che sia stato proprio lo stile unico di Abbey a farlo innamorare profondamente delle sue opere e della natura: “Edward Abbey once stuck a knife in my heart” (Urrea, 1995).

In conclusione, Abbey continuerà sprezzante ed impavido a raccontare con toni irriverenti quello che secondo lui era il vero volto dell’America, cioè non un continente vasto e ricco, ma una terra depredata, vittima di saccheggi da parte di organizzazioni ed imprese statali. Farà tutto ciò, alternando uno stile pungente e fastidioso tipico di un tafano o “gadfly”, come

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lo definisce Urrea nel suo articolo del 1995, alla volontà di burlarsi di tutto e tutti in quanto “professional nose-tweaker” (Brinkley, 2006: xix).

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