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I legami tra Edward Abbey e l’Ecocriticism: il sabotaggio ecologista, l’aspra

I. INTRODUZIONE

3. ECOCRITICISM: LA NUOVA ECOLOGIA LETTERARIA E LA CRISI

3.5 I legami tra Edward Abbey e l’Ecocriticism: il sabotaggio ecologista, l’aspra

Alla luce di questo excursus sulla storia dell’ecocriticism, risulta evidente come molte delle idee e dei principi cardini di questo movimento si ritrovino anche nelle pagine del romanzo

The Monkey Wrench Gang. In effetti, sono numerosi gli elementi che legano l’autore a questo

movimento che mosse in suoi primi passi a partire dagli anni 60 del XX secolo in Nord America; anche se non è semplice riuscire ad inserire Abbey in una delle fasi principali dell’ecocriticism di cui si è detto. Nel suo articolo intitolato Ecocriticism del 2013 Pippa Marland aveva collegato Abbey agli autori della prima fase della nuova dottrina, o “ondata”, i quali non solo risentivano profondamente dell’influenza del Trascendentalismo nella rappresentazione letteraria della

wilderness, ma che, allo stesso tempo, attribuivano alla natura una funzione educativa e morale

per l’uomo. In realtà, in Abbey è possibile osservare oltre a tutto ciò anche tematiche che sono, invece, tipiche della seconda fase del movimento, che aveva concentrato la propria analisi su questioni moderne relative alla dilagante crisi ambientale ed energetica del XXI secolo, lasciando così alle spalle una visione pastorale ed idealizzata dell’ambiente. Più precisamente, Abbey si potrebbe considerare una dimostrazione concreta di quanto affermato da Lawrence Buell nel volume The Future of Environmental Criticism del 2005, vale a dire che tra le varie fasi dell’ecocriticism esiste una relazione di continuità e di profonda dipendenza che non porta a vedere quest’ultime come momenti separati e chiusi in sé, poiché molti dei temi e dei motivi trattati ritornano sempre. Leggendo The Monkey Wrench Gang, il lettore potrà rimanere affascinato dalla raffigurazione letteraria, di influenza trascendentalista, della natura selvaggia dello Utah e dell’Arizona e, nel contempo, potrà riflettere sulle preoccupazioni e sulle aspre critiche rivolte dal cosiddetto “Desert Anarchist” all’avanzata del consumismo e alla distruzione dell’ultima preziosa wilderness rimasta in quei luoghi.

In effetti, sia Abbey con il suo percorso di formazione letteraria, sia il movimento dell’ecocriticism con la sua rinnovata sensibilità ambientalista e la sua prospettiva critica affondano le proprie radici nella lunga ed antica tradizione dell ‘American Environmentalism, cioè un fenomeno strettamente collegato al tema dell’identità americana, la quale a sua volta dipende dal rapporto che la società di questo paese ha stretto nel corso del tempo con la sua ricchezza più preziosa, ossia la vasta wilderness. L’American Environmentalism non si preoccupava soltanto di illustrare l’immensità di questo paese e le sue bellezze naturali, ma cercava anche di richiamare l’attenzione sulla fragilità di questi beni inestimabili seriamente

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minacciati. Più precisamente, Jonathan Bate, considerato uno degli accademici e critici letterari più influenti in materia di ambiente ed ecocriticism, in un suo saggio intitolato The economy of

nature usa l’espressione “consciousness of destruction” (Bate, 2015: 79) proprio per fare

riferimento all’atteggiamento della società americana del XX secolo, che risultava ormai essere totalmente insensibile alla distruzione ambientale in nome dell’ideologia consumistica votata al profitto immediato e allo sviluppo economico. Se si osserva con attenzione, si scorgerà il medesimo tono disilluso e la stessa amarezza nel constatare la devastazione della wilderness pure nel romanzo di Edward Abbey, nel quale l’autore decide di denunciare con forza l’imminente avverarsi di una tremenda previsione: la scomparsa totale della wilderness. Si tratta di un cambiamento radicale che viene rappresentato come una conseguenza inevitabile nel caso l’umanità dovesse scegliere di non aprire gli occhi sull’attuale situazione ambientale e se, per di più, decidesse di continuare a consumare risorse a ritmi frenetici, del tutto incurante dei delicati equilibri su cui si regge la natura. In altre parole, Abbey si ricollega all’ecocriticism nel disperato tentativo di trasmettere al lettore con le proprie descrizioni della wilderness del sud-ovest quel sentimento di profonda venerazione e di toccante bellezza che soltanto la natura di questi luoghi è in grado di dare. Appare chiaro come il pensiero che una tale magnificenza vada perduta per sempre produca in Abbey una tristezza assoluta. A volte schiacciata dai cingoli di un bulldozer, a volte sommersa dalle acque di un bacino artificiale, la natura soccombe davanti all’avanzata trionfante della civilizzazione e della tecnologia. È, infatti, impossibile scordare il paragone dello scrittore della più grande miniera a cielo aperto degli Stati Uniti con un vorace kraken guidato dagli interessi economici di potenti e spietati cartelli industriali. Sfortunatamente, Abbey si ritrova ad essere testimone dell’esaltazione del modello antropocentrico a scapito di quello biocentrico. In effetti, alcuni esponenti delle derive più estremiste dell’ecocriticism come, ad esempio, Arne Nӕss con la Deep Ecology sostenevano che il biocentrismo rappresentava il modello da adottare per fare fronte alla crisi ambientale contemporanea: questa concezione filosofica si basa sull’idea che tutti gli esseri viventi abbiano lo stesso diritto di esistere e di prosperare. L’umanità con le sue attività dovrebbe cercare di causare il minor impatto possibile sulle altre specie viventi e il pianeta in sé, abbandonando così quella percezione di superiorità che non è altro se non l’eredità negativa e insensata lasciata da erronee interpretazioni del cristianesimo, ossia, secondo Lynn White la religione più antropocentrica di tutte.

Ebbene , il romanzo The Monkey Wrench Gang nelle mani di Abbey diventa uno strumento di denuncia, che punta a favorire una presa di coscienza nel pubblico di lettori

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esattamente nello stesso modo in cui Jonathan Bate, grazie alla Romantic Ecology, aveva cercato di diffondere una nuova consapevolezza riguardo allo stretto legame che unisce uomo e natura: queste due componenti sono parte del medesimo ecosistema e l’idea che l’una prosperi anche dopo l’estinzione dell’altra è semplicemente inaccettabile e irragionevole:

The Romantic Ecology has nothing to do with flight from the material world, from history and society- it is in fact an attempt to enable mankind the better to live in the material world by entering into harmony with the environment. (Bate, 2015: 80)

Più precisamente, Bate fa riferimento al dovere dell’uomo di trovare un equilibrio che favorisca la convivenza tra gli interessi della natura e quelli degli umani: “a symbiosis between the economy of nature and the activities of humankind” (ivi). Questo nuovo equilibrio avrebbe generato innumerevoli benefici per entrambe le parti e non avrebbe significato sbarazzarsi totalmente dei vantaggi che la scienza e la tecnologia hanno apportato allo stile di vita umano. Lo stesso Abbey, nonostante la negativa rappresentazione che ne dà nel romanzo, non rinnegava completamente l’utilità del progresso, bensì, ne contestava un uso sregolato e non condivideva la fiducia illimitata che i suoi contemporanei avevano nei confronti della scienza. In altre parole, nel romanzo Abbey cerca di mettere in luce con toni accesi i limiti dell’antropocentrismo, sostenendo che l’universo e la natura non sono stati creati solamente per l’uomo e i suoi bisogni e che, inoltre, l’umanità non può considerarsi misura di tutte le cose. Bate ed Abbey concordano nell’affermare che l’uomo, abbagliato dal progresso, si sia scordato delle responsabilità che possiede nei confronti della wilderness e ciò si può osservare con chiarezza nella descrizione che Abbey dà della natura e della tecnologia nel libro: in effetti, a mano a mano che la narrazione procede la natura assume sempre di più tratti umani, diventando capace di soffrire e di provare dolore. Questa personificazione del mondo naturale si scontra con la raffigurazione delle macchine e di alcuni personaggi umani, che vengono dipinti come dinosauri di metallo o esseri totalmente incapaci di provare emozioni. Tale scelta narrativa di Abbey viene appoggiata in pieno da Bate che afferma: “deprivation and dehumanization are the price of progress” (Bate, 2015: 81). In effetti, oggi più che mai si presenta la necessità di fare fronte alle conseguenze della civiltà umana e del suo desiderio insaziabile di consumare le risorse naturali del pianeta. Per la prima volta nella storia le nuove generazioni potrebbero veramente assistere all’estinzione di tutta la wilderness, nel caso non si riuscisse a recuperare quel legame di reciprocità e dipendenza che unisce uomo e natura. Da questo punto di vista Abbey si potrebbe considerare un seguace della Deep Ecology, poiché in The Monkey Wrench Gang mette in evidenza la profonda interconnessione tra le varie forme di vita della Terra e cerca di denunciare

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come gli interessi della politica e dell’economia riescano sempre a prevalere su quelli dell’ambiente:

There is a difference not merely in degree but in kind between local changes to the surface configuration of the land and the profound transformations of the economy of nature that take place when the land is rendered radioactive or the ozone layer is depleted. When there have been a few more accidents at nuclear power stations, when there are no more rainforests, and when every wilderness has been ravaged for its mineral resources, then let us say “There is no nature”. (Bate, 2015: 91)

Osservando la determinazione con cui Abbey protegge la wilderness nel romanzo, non ci si può non chiedere da che cosa derivi un tale attaccamento ad un luogo così ostile e difficile come le ampie distese desertiche del Colorado Plateau. Una possibile risposta ci viene suggerita da Gary Snyder, rinomato ambientalista e poeta dell’ecologia profonda, in un suo saggio intitolato The place, the region, and the commons, contenuto nel volume di Ken Hiltner. Più precisamente, Snyder sostiene che la nascita di un individuo in un dato luogo voglia dire interiorizzare quella località dentro di sé e portarsela dietro per il resto della vita ovunque questa ci porti. La relazione che l’uomo stabilisce con il proprio luogo di nascita e con la natura che li vi si trova è talmente profonda e radicata da diventare presto una parte fondamentale dell’identità di una persona, tanto che quest’ultima non dovrà compiere grandi sforzi nel cercare di richiamare alla mente gli odori, i colori e le forme di tale posto. In effetti, secondo Snyder è proprio così che l’uomo inizia l’esplorazione del mondo e della natura: il primo passo è rappresentato dalla scoperta dell’ambiente che circonda casa e poi, crescendo, il proprio sguardo curioso ed indagatore viene spinto ancora più là. In poche parole, Snyder riesce a descrivere alla perfezione ciò che capitò ad Edward Abbey al momento del suo trasferimento dalla Pennsylvania nel Nuovo Messico e nello Utah. Cresciuto in mezzo alle rotondeggianti e nebbiose alture della Pennsylvania, nei dintorni di Home, Abbey sviluppa il proprio amore per la wilderness e i suoi delicati equilibri proprio qui, studiando piante e animali e cercando di vivere a stretto contatto con l’ambiente come avevano fatto molti degli scrittori trascendentalisti che lo avevano influenzato. Il ricordo di questi luoghi lo accompagnerà sempre, persino quando deciderà di trasferirsi all’altro capo del paese, nella Four Corners Region, dove il paesaggio cambia notevolmente con altipiani desertici, vegetazione arsa dal sole e monumentali pilastri in arenaria rossa. Secondo Calahan nella sua biografia su Abbey, Edward Abbey: A Life, al suo arrivo in questa regione è come se l’autore nascesse una seconda volta, poiché si innamorò profondamente di questi panorami spogli e brulli, dove apparentemente non si incontra nessun

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segno di vita. In realtà, Abbey riesce a scorgere in queste distese il fiorire della vita in diverse forme, sia che si parli del semplice cespuglio di rosa del deserto, sia che si tratti dell’impetuoso fiume Colorado, le cui acque alimentano un delicato ecosistema animale e vegetale. Purtroppo la maestosità della wilderness del sud-ovest non sarà sufficiente a fermare la vorace ingordigia degli allevatori di bestiame, delle miniere e delle aziende di legname, che con la loro avanzata distruggono paesaggi magnifici in grado di evocare forti emozioni:

As a contemporary thought we might also wonder how it is for those whose childhood landscape was being ripped up by bulldozers, or whose family moving about made it all a blur. I have a friend who still gets emotional when he recalls how the avocado orchards of his southern California youth were transformed into hillside after hillside of suburbs. (Snyder, 2015: 71)

In verità, Snyder è convinto che ogni luogo riesca a preservare una parte di originale essenza selvaggia, nonostante tutte le modifiche che l’uomo possa apportare nel corso del tempo. I membri della gang e lo stesso Abbey cercano rifugio dalla modernità con i suoi vizi e le sue corruzioni proprio nel deserto, l’ambiente più estremo di tutti, dove possono organizzare sabotaggi ambientalisti e possono riscoprire quel profondo legame con la natura su cui si basava la visione olistica della seconda ondata dell’Ecocriticism. Nel romanzo i personaggi sono costretti a spostarsi su lunghe distanze e in condizioni per niente favorevoli, ritrovandosi spesso immersi in un senso di profonda solitudine, che li costringerà a compiere grandi riflessioni sulla moralità della missione intrapresa. In effetti, nel profondo del loro animo è in atto una dura lotta tra il senso di appartenenza alla wilderness e la loro dipendenza materiale dalla civiltà: “They live between the poles of home and their own wild places” (Snyder, 2015: 72). Abbey per primo ha vissuto sulla propria pelle tale conflitto, alternando periodi di vita famigliare nella società a lunghi esili nella natura più selvaggia.

In aggiunta a tutto ciò, è bene puntualizzare che, dato il consumo allarmante di risorse naturali, sia Abbey che Snyder concordavano nel ritenere erronea l’idea che sarebbe sopravvissuta sempre un qualche frammento di wilderness, magari disperso o dimenticato in chissà quale angolo del pianeta. In particolare, Snyder crede che le cause della pessima gestione della natura nel contesto americano siano da ricondurre ad un’istituzione molto antica di origine europea, vale a dire il controllo dei cosiddetti “beni comuni”, anche conosciuti con il nome inglese “the Commons”. Si tratta di una modalità superata di gestione e di protezione delle terre pubbliche e parzialmente selvagge da parte delle comunità locali, che ne potevano sfruttare

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liberamente le risorse. Queste zone erano di fondamentale importanza poiché garantivano il fiorire della wildlife e, allo stesso tempo, rifornivano la collettività di vari prodotti, il tutto rispettando un senso di equilibrio ed armonia. Tuttavia, il graduale passaggio delle terre sotto il controllo di un governo centralizzato o sotto la gestione di avidi occupanti sancì un improvviso impoverimento e uno smodato sfruttamento di queste aree di natura selvaggia. Nel caso degli Stati Uniti tale fenomeno è visibile nell’esproprio di terre condotto dai coloni ai danni dei nativi, che venivano decimati o rinchiusi nelle riserve. I nuovi proprietari terrieri non conoscevano bene la wilderness e, soprattutto, non la rispettavano né se ne prendevano cura. Lo stesso sfruttamento della natura di cui parla Snyder si ritrova già nelle prime pagine del romanzo The Monkey Wrench Gang nella forma della Glen Canyon Dam, simbolo per eccellenza della prevaricazione dell’uomo sulla natura, la cui costruzione era stata appoggiata anche da quelle associazioni e organi di potere che avrebbero in teoria dovuto agire nell’interesse dell’ambiente e dei suoi equilibri. Abbey e Snyder rivolgono aspre critiche sia al Forest Service che al Bureau of Land Management per aver avuto un approccio troppo timido nel sovrintendere alla questione e per essersi resi complici di un tale scempio:

The agencies that were once charged with conservation are increasingly perceived as accomplices of the extractive industries, and local people- who are beginning to be actually local- seek help from environmental organizations and join in defence of the public land (Snyder, 2015: 75)

Ebbene, l’appello che i due autori rivolgono all’umanità è il medesimo: se non verrà invertita presto la rotta e si ritornerà ad una gestione di tipo locale dell’ambiente che possa assicurare il recupero del legame originario tra uomo e natura, il futuro che attende tutti non sarà dei migliori e, in particolar modo, sarà caratterizzato dalla più totale assenza di wilderness. In altre parole, l’uomo rischia di distruggere l’ecosistema che l’ha originato e che l’alimenta:

There will be no “tragedy of the commons” greater than this: if we do not recover the commons- regain local, personal, community and people’s direct involvement in sharing (in being) the web of the wild world- that world will keep slipping away. Eventually our complicated industrial capitalist/socialist mixes will bring down much of the living system that supports us. (Snyder, 2015: 76)

Proseguendo nell’analisi di Abbey e dell’ecocriticism, si noterà come ci siano anche molte idee e posizioni che allontanano l’autore dal movimento e gli fanno fare un passo in più, cioè lo portano ad appoggiare azioni ed interventi diretti per la difesa della wilderness.

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Sicuramente molte di queste visioni sono state influenzate dal legame di amicizia tra Abbey e Dave Foreman, complice del “Desert Anarchist” e fondatore del movimento ambientalista radicale Earth First!. Amico fedele e tra i pochi a conoscere l’esatta ubicazione della sepoltura dello scrittore nel deserto dell’Arizona, Foreman si è reso protagonista di numerose campagne per la tutela dell’ambiente, arrivando a coinvolgere persino l’amico scrittore, il cui romanzo chiave, The Monkey Wrench Gang, venne scelto come la Bibbia ispiratrice dell’organizzazione. In effetti, nel libro Abbey non si limita a dare una rappresentazione malinconica della natura, come se fosse un bene già perduto, ma decide di servirsi dell’immagine di distruzione ambientale in atto nel sud-ovest per giustificare il ricorso ad azioni e strategie non propriamente legali al fine di fare valere le proprie rivendicazioni. Sia Foreman in Confessions of an

Eco-Warrior (1991) che Abbey nel proprio romanzo hanno denunciato in diverse occasioni la

velocità con cui l’uomo è riuscito a ridurre drasticamente la biodiversità ambientale nell’arco di alcune generazioni, lasciando incorrotte dalle tracce di pneumatici e dall’odore di benzina veramente poche zone al mondo:

The only virgin deciduous forest there is in tiny museum pieces of hundreds of acres. Fewer than one thousand Grizzlies remain. The last twenty-five condors are in zoos. Except in northern Minnesota and in Montana’s Glacier National Park, Grey Wolves are known merely as scattered individuals drifting across the Canadian and perhaps the Mexican borders. Four percent of the Coast Redwood forest remains, and the ancient forests of Oregon are all but gone.

(Foreman, 1991: 138)

Le autorità e i principali organi di governo invece di agire nell’interesse dell’ambiente, quindi anche nel loro, voltano le spalle alle richieste dei movimenti ambientalisti ed ecologisti di incrementare le porzioni di natura facenti parte di riserve e parchi naturali. Si tratta di un disperato tentativo di salvaguardare più wilderness possibile. Di ciò che ne resterà fuori, con tono cupo Foreman ne annuncia l’inevitabile distruzione:

And in a decade, the saw, ‘dozer, and drill will devastate most of what in unprotected. The battle for wilderness will be over. Perhaps 3 percent of the United States will be more or less protected, and it will be open season on the rest. (Foreman, 1991: 140)

È giunto ormai il tempo di intervenire e agire eroicamente in difesa della natura e per fare ciò è accettabile ricorrere persino ad azioni che infrangono la legge o disturbano l’ordine

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pubblico: i sabotaggi ambientalisti. Stando a quanto afferma Calahan, lo stesso Abbey si macchiò di questo crimine durante i primi anni di soggiorno nello Utah: ad esempio, lo scrittore avrebbe dato alle fiamme diversi cartelloni pubblicitari autostradali e rimesse di copertoni con l’aiuto del pittore John DePuy e di Doug Peacock. È bene precisare che Abbey non ha mai ammesso pubblicamente di aver preso parte a sabotaggi ambientalisti o di essere stato un seguace di Earth First!; tuttavia, ha sempre appoggiato e giustificato azioni di intervento diretto ai danni di