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L’ausilio di un familiare del minore o di un esperto in psicologia infantile

Nel documento Processo penale e dichiarazioni del minore (pagine 117-123)

CAPITOLO V L'escussione dibattimentale del teste minorenne

5.3. L’ausilio di un familiare del minore o di un esperto in psicologia infantile

La formulazione della norma di cui all’art. 498 comma 4, c.p.p., è stata oggetto, altresì, di una serie di dubbi interpretativi, nella parte in cui dispone “Nell'esame il presidente può avvalersi dell'ausilio di un familiare del minore o di un esperto in psicologia infantile”, dato che, nel caso in cui il giudice decida di avvalersi dell’ausilio suddetto, la previsione non chiarisce affatto il ruolo svolto da tali soggetti e le modalità attraverso le quali costui si dovrebbe servire del loro aiuto227. Giova segnalare, ancora, come il codice non precisi affatto sulla base di quali criteri il giudice dovrebbe decidere se avvalersi di una o di entrambe le figure228.

In proposito, si è efficacemente osservato che “la regia è tutta del giudice che deciderà se sia opportuno esaminare il minore in presenza dei suoi familiari e/o avvalersi o meno dell’ausilio di esperti psicologi infantili nonché di stabilire egli stesso, secondo il suo prudente apprezzamento, come e quando farli intervenire nell’espletamento del mezzo istruttorio. Sarà ancora il giudice a stabilire se, come e quando le parti potranno interloquire nel corso dell’esame del minore”229.

Per quanto riguarda il ruolo da attribuire a ciascuno di questi soggetti, indiscutibile sembra essere la funzione di sostegno ed affettiva nei confronti del minore da parte del familiare, tanto che non è mancato chi, in dottrina, abbia ritenuto di equiparare la funzione suddetta a quella del “testimone ad atti processuali”, da intendersi come “persona di fiducia” con scopo di assistenza dell’interessato ad atti particolarmente

227 In tal senso, A. C. Moro, Il minore vittima del reato e il procedimento penale di tutela, in Il bambino incompiuto, Roma, 1995, 22.

228 Così D. Carponi Schittar-L. Harvey Carponi Schittar, Modi dell’esame e del controesame,

Milano, 1996, 203, i quali osservano ulteriormente come la definizione utilizzata dal codice di esperto in psicologia “infantile” farebbe ritenere che il ricorso a tale figura sia limitato ai casi in cui si debba procedere all’esame di un minore fino ai dieci anni di età.

229 Così, S. Venturini, L’esame del minore in incidente probatorio, tra dati normativi (nazionali e sovranazionali) e prassi giudiziale, in Cass. pen., 2011, 5, 1944.

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delicati230 o, ancora, chi abbia parlato di una sorta di “assistenza atecnica” a favore del minore231.

Quel che, comunque sembra certo, al punto tale da essere ribadito anche dai giudici di legittimità, è che la “presenza del genitore all’esame del minore tende da una parte a tutelare la particolare sensibilità del minore e dall’altra la serenità del teste, cioè la sua attendibilità”, fermo restando che “rientra tra i doveri dell’autorità che procede all’esame del minore evitare che la presenza del genitore introduca nella deposizione elementi di fatto estranei alla diretta percezione del giovane teste”232. Il familiare, infatti, rappresenta una persona di fiducia che, per la vicinanza affettiva, può essere ritenuta idonea a rassicurare il minore, rendendo meno estraneo il contesto dell'audizione, poiché, come insegna l'esperienza, il minore, soprattutto se bambino, è «disturbato dal rapporto con persone sconosciute, tanto più quando avvenga che non gli siano fisicamente vicini determinati soggetti la cui presenza è rassicurante»233.

Per quanto concerne, invece, la figura dell’esperto in psicologia infantile, deve sottolinearsi come si tratti di un soggetto che deve tenersi distinto dalle altre figure di sostegno individuate dall’art. 609-decies, comma 2, c.p. e dal perito che viene nominato dal giudice in virtù del combinato disposto di cui agli artt. 220 e 196 c.p.p. per accertare l’idoneità del minore a rendere testimonianza.

Tutto ciò mostra il chiaro intento di evitare che l'attività d'assistenza all'esame possa essere influenzata dalla «tentazione di convalidare con il prodotto della testimonianza i propri giudizi sull'idoneità o persino sull'attendibilità del testimone234.

In tal senso si esprime anche la Carta di Noto al suo articolo 17, per il quale: «La funzione dell’esperto incaricato di effettuare una valutazione sul minore a fini giudiziari deve restare distinta da quella finalizzata al sostegno e trattamento e va pertanto affidata a soggetti diversi».

230 L. Camaldo, La testimonianza dei minori nel processo penale: nuove modalità di assunzione e criteri giurisprudenziali di valutazione, in Ind. Pen., 2000, 1, 192.

231 L. Scomparin, Il testimone minorenne nel procedimento penale: l’esigenza di tutela della personalità tra disciplina codicistica ed interventi normativi recenti, in Leg. Pen., 1996, 704. 232 Così Cass., Sez. II, 30.08.1995, Imbesi, in Dir.pen. e proc., 1995, 10, 1144.

233 D. Carponi Schittar, L'esame orale del bambino nel processo penale, Giuffrè, Milano, 2000, pag.

41; R. Casiraghi, la prova dichiarativa, cit., pag. 518.

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L’assistenza di psicologi è, pertanto, configurabile in termini di un’assistenza tecnica235.

Si tratta di una presenza facoltativa236, come è dato desumere dall’utilizzo del verbo “può avvalersi” e che si realizza solo “allorquando sia il giudice ad averne valutato l’opportunità e ritenga la sua presenza necessaria in considerazione dell’immaturo sviluppo psico-fisico del minore ed al solo scopo di tutelarne la serenità”237. Spetterà, oltretutto, al giudice stabilire se, nel caso concreto, risulti più opportuno avvalersi dell’apporto del familiare o dell’esperto, di nessuna od entrambe queste figure238.

L’esperto, in questa sede, svolge un ruolo estremamente delicato, dato che si troverà a dover veicolare le domande del giudice, ed eventualmente delle parti, nel caso in cui quest’ultimo decida di farle intervenire personalmente all’esame del minore. Sul punto, la stessa suprema Corte ha chiarito che “il supporto che lo psicologo può fornire deve intendersi come ausilio soprattutto nella formulazione delle domande, finalizzato a tradurre di volta in volta le domande del giudice in un linguaggio comprensibile al minore, svolgendo così una funzione simile a quella dell’interprete”239.

Requisito fondamentale richiesto all’esperto è l’imparzialità. A tal fine, deve essere evitata la pratica di consentire che quest’ultimo incontri preventivamente il teste minore d’età. Sicuramente, ciò permetterebbe al giovane testimone di familiarizzare con lo stesso, di essere da lui tranquillizzato, tuttavia, si è altresì osservato che, lontano dal giudice e dalle parti, l’esperto potrebbe anche manipolare le dichiarazioni del minorenne al fine di corroborare, più o meno intenzionalmente, le sue convinzioni, tanto più se già in possesso delle domande su cui deve vertere

235 Cass. pen., sez. II, 1 giugno 1995, Imbesi, in Dir. pen. proc., 1995, p. 1144, la quale afferma

che lo psicologo ha il compito di tendere «ad evitare la suggestionabilità del minore ed a suggerire all’operatore le tecniche più opportune per un migliore esame testimoniale».

236 Ma al proposito, si badi come, in passato, con la proposta di legge AC N. 1155/XVI del

16.06.2008 (Bongiorno, Merloni), in www.camera.it, avesse previsto, all’art.7, che laddove dovesse

essere sentito come testimone un minore, vittima del reato per il quale si stava procedendo, l’esame da parte del presidente dovesse obbligatoriamente avvenire con l’ausilio di un esperto in psicologia o in psichiatria, eventualmente affiancato da un familiare del minore.

237 F. Tribisonna, L’ascolto del minore testimone o vittima di reato nel procedimento penale: il difficile bilanciamento tra esigenze di acquisizione della prova e garanzie di tutela della giovane età., Padova, Cedam, 2017, pag.346.

238 Nello stesso senso, v. C. CESARI, La “campana di vetro”, cit., p. 279 e ss. 239 Cass., 11.12.2001, in Guida dir., 2002, n. 23, 57.

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l’esame240.

5.4. Tutela dei minorenni: divieto di pubblicazione e procedimento

a porte chiuse.

Nel momento in cui si procede all’audizione di un minore nell’ambito di un procedimento penale, inevitabile è tener in considerazione la tutela di interessi diversi, sui quali si impone un giudizio di comparazione e bilanciamento, al fine di stabilire quale debba essere privilegiato rispetto all’altro.

In particolare, bisogna ricordare che al “diritto all’informazione”, costituzionalmente tutelato ex art. 21 Cost, che consente al comune cittadino di conoscere i fatti penalmente rilevanti, si contrappone il “diritto alla riservatezza” di chi si trova coinvolto, nell’ambito del procedimento stesso e che è stato riconosciuto essere un diritto inviolabile e costituzionalmente garantito, così come gli altri diritti della personalità, ex art. 2 Cost.241.

Giova segnalare che, anche oltre i confini nazionali, tanto la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (art.6, comma1) quanto il Patto internazionale sui diritti civili e politici (art.14, comma 1) hanno fin da sempre evidenziato l’importanza di garantire tutela alla “vita privata delle parti” e, in particolar modo, agli “interessi dei minori” in relazione al principio di pubblicità processuale. Successivamente, in sede internazionale, anche gli organi dell’Unione europea e del Consiglio d’Europa, hanno ribadito il valore del diritto dei minori alla riservatezza.

Il legislatore, tenendo in considerazione la delicatezza della figura del minorenne che si trovi coinvolto nel procedimento penale in qualità di testimone, persona offesa o danneggiata dal reato, ha operato un giudizio di bilanciamento che l’ha portato a ritenere prevalente il diritto alla riservatezza di quest’ultimo.

240 V. C. CESARI, La “campana di vetro”, cit., p. 289 e ss., secondo la quale «una pratica di tal

fatta (…), se non mantenuta su un binario strettamente sorvegliato, presenta rischi di gran lunga superiori ai vantaggi». Purtroppo, nella prassi, l’incontro preventivo tra psicologo e minorenne accade spesso.

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A livello processuale, già la legge delega per l’emanazione del codice aveva sottolineato, nella penultima direttiva contenuta nell’art. 2, n. 71, la necessità di una “disciplina del divieto di pubblicazione” espressamente dedicata “ai minori parti offese, danneggiati o testimoni”, tanto che il legislatore del 1988 ha inserito la tutela della riservatezza del testimone minorenne fra le esigenze da considerare nella modulazione del principio di pubblicità processuale242.

Quanto alla disciplina positiva, al comma 6 dell’art. 114 c.p.p. si vieta la pubblicazione delle generalità e dell’immagine dei minorenni testimoni, persone offese o danneggiate dal reato fino a quando non siano divenuti maggiorenni, salva l’autorizzazione del tribunale per i minorenni - nell’interesse esclusivo del minore- o il consenso dello stesso minorenne che abbia però compiuto i sedici anni.

Ulteriormente è vietata la pubblicazione di elementi che -anche indirettamente- possano comunque portare alla identificazione dei suddetti minorenni243.

Orbene, la ratio della previsione risiede nella necessità di impedire l’identificazione del soggetto minore d’età, il quale da una simile forma di pubblicazione-realizzabile mediante la stampa ed “ogni altro mezzo di diffusione” - potrebbe trarre un grave pregiudizio alla sua riservatezza e fragile personalità ancora in fieri.

La rilevanza del consenso del minore ai fini della cessazione del divieto, secondo la Relazione al progetto preliminare del c.p.p., è giustificata nelle ipotesi in cui “la pubblicazione degli atti potrebbe corrispondere all’interesse del minore; è stata prevista, per questo, la possibilità di un consenso alla pubblicazione idoneo a far venir meno il generale divieto”244.

Si ricordi, al proposito, che la facoltà di consentire la pubblicazione, pur prevista originariamente - ossia nell’art. 113, comma 4, prog. prel. c.p.p.- anche a favore dell’esercente la potestà genitoriale sul minore, non era poi stata confermata in sede di redazione del testo definitivo dell’art. 114 c.p.p., poiché si era ritenuta la volontà

242 In questi termini, L. Scomparin, La tutela del testimone nel processo penale, Padova, 2000, 339. 243 Sul punto si veda L. Buono, Tutela del minore e mass-media, in Min. giust., 1997, 3, 140, secondo

cui la previsione contenuta nell’art.114, comma 6, c.p.p. dovrebbe prevedere “la possibilità di concedere deroghe motivate al divieto di pubblicazione di elementi idonei a consentire l’identificazione del minore nelle ipotesi in cui il suo interesse appaia maggiormente tutelato dalla pubblicazione della notizia secondo le modalità ordinarie”.

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del minore ultrasedicenne infungibile, in virtù del fatto che fosse in gioco un “diritto personalissimo” dello stesso.

Esclusa l’estensione del suddetto potere al soggetto esercente la potestà genitoriale, si era valutato, invece, opportuno assicurarla all’autorità giudiziaria, così prevedendo che i Tribunale per i minorenni potesse autorizzare la pubblicazione, ma solo “nell’interesse esclusivo del minorenne”.

Sono, peraltro, riscontrabili sanzioni applicabili in caso di inottemperanza al divieto di pubblicazione.

Il riferimento va fatto alle previsioni di diritto penale sostanziale contenute negli artt. 326 c.p., che sanziona la “rivelazione o utilizzazione di segreti d’ufficio” e 684 c.p., che punisce “la pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale”, in quale ha, addirittura, una scarsa efficacia deterrente data l’esiguità della sanzione, per di più oblabile. Si ricorda ancora la norma di cui all’art. 734-bis c.p., che punisce più gravemente, con una sanzione non suscettibile di oblazione, la divulgazione, anche attraverso mezzi di comunicazione di massa, delle generalità o dell’immagine della persona offesa da diversi delitti di natura sessuale, senza il suo consenso. L’assenza di pubblicità è poi assicurata, in dibattimento, anche grazie alla previsione di cui all’art. 472, comma 4, c.p.p., nel momento in cui dispone che “il giudice può disporre che avvenga a porte chiuse l'esame dei minorenni”.

Trattasi, a ben vedere, di una facoltà esercitabile su discrezione dell’autorità giudicante e avente un duplice obiettivo: da una parte, si vuole evitare un qualsivoglia danno che possa derivare al minore dalla presenza del pubblico; da altra parte, si vuole consentire al giudice di vagliare con maggiore serenità problematiche eventuali di particolare delicatezza e permettere, conseguentemente, un accertamento più completo. In questo caso, inoltre, opera anche il divieto di riprese o di trasmissioni ex art. 147, comma 4, disp. att. c.p.p.

Al testimone minorenne che sia anche parte (rectius persona) offesa da determinate fattispecie criminose245, è assicurata una tutela maggiore dall’art. 472, comma 3- bis, c.p.p., dato che stabilisce, nel suo secondo periodo, che il dibattimento in questi

245 Si tratta dei delitti di cui agli artt. 600, 600-bis, 600-ter, 600-quinquies, 601, 602, 609-bis, 609-

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casi si svolga sempre a porte chiuse, anche se la previsione non sembrerebbe essere sorretta da alcuna sanzione in caso di inottemperanza.

In questi procedimenti, viene assicurata la massima tutela alla riservatezza della persona offesa in genere, attraverso la previsione che inibisce l’ammissibilità di domande sulla vita privata o sulla sessualità, laddove non siano necessarie ai fini della ricostruzione del fatto, così come disposto dall’art. 472, comma 3-bis, ultimo periodo, c.p.p.

Orbene, circa la perentorietà della disposizione che prevede la procedibilità a porte chiuse, non è mancato, in dottrina, chi ha sostenuto che la previsione “pare forse peccare per eccesso”, dal momento che non sembra consentire deroga alcuna, neanche nel caso in cui il minore manifesti la volontà di procedere a porte aperte. Si è osservato, al proposito, che da una parte, non si tutela la libertà scelta dal protagonista della prova e, dunque, la sua serenità e, dall’altra, si rischia di creare un sistema di disuguaglianza sostanziale se si pensa che nel diverso caso del minore ultrasedicenne che sia però imputato in un procedimento penale, una tale opzione è, invece, consentita ai sensi dell’art. 33 c.p.p.m.

Ancora, non è mancato chi, invece, ha sostenuto come la medesima disposizione finisca per peccare “in difetto”, dato che non sembra coassiale rispetto alla previsione contenuta nell’art. 147 disp. att. c.p.p., che non fa alcuna menzione della norma di cui all’art. 472, comma 3-bis, c.p.p. ciò con la conseguenza che “all’esclusione della pubblicità immediata non consegue un analogo divieto per la pubblicità mediata tecnologica”246.

5.5. Le modalità “protette” di assunzione della testimonianza del

Nel documento Processo penale e dichiarazioni del minore (pagine 117-123)