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Il ruolo dell’esperto in fase investigativa

CAPITOLO III L'ascolto del minore nelle indagini preliminar

3.5. Il ruolo dell’esperto in fase investigativa

Il primo ascolto del minore in sede di indagini preliminari viene generalmente condotto da uno psicologo infantile meglio capace di realizzare un rapporto empatico con minore.

Per quanto concerne la qualifica da attribuirsi al soggetto esperto indicato dalle norme, significativo appare il fatto che, nel caso in cui sia la polizia giudiziaria ad avvalersi del suo ausilio, costui debba essere “nominato dal pubblico ministero”. Tale precisazione sembrerebbe avvicinare maggiormente la figura dell’esperto a quella del consulente tecnico di parte del pubblico ministero, da nominarsi ex art. 359 c.p.p. piuttosto che a quella del mero ausiliario della polizia giudiziaria ex art.348, ultimo comma, c.p.p., pur con i dovuti distinguo in termini di funzioni svolte.

Il riferimento all’ “ausiliario” appare improprio: la Corte di cassazione ha in più occasioni precisato che tale termine va riferito all’ausiliario di cancelleria o agli altri funzionari assimilati che svolgono attività di segretario o assistente del giudice

fanciullo, concernenti rispettivamente la vendita dei bambini, la prostituzione dei bambini e la pornografia rappresentante bambini ed il coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati, fatti a New York il 6 settembre 2000” al cui art.8 n.3 si evidenzia l’importanza di consentire “che le opinioni, i bisogni e le preoccupazioni dei bambini vittime siano presentati e presi in considerazione nei processi nei quali sono coinvolti i loro interessi personali, in conformità alle regole procedurali previste dalle leggi nazionali”.

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(artt. 125, 126, 135 e 136 c.p.p.) e non alla persona che aiuta il pubblico ministero nella audizione del minore, non potendosi parlare, dunque, di un “ausiliario in senso tecnico”.

In assenza di un’apposita disciplina, poi, sussistono dubbi in ordine alle modalità di scelta da parte dell’autorità inquirente.

La norma, infatti, tace del tutto circa l’eventuale necessità di predisporre degli appositi albi. Ciò con la conseguenza che potrà forse estendersi alla scelta dell’esperto la previsione contenuta nell’art.73 disp. att. c.p.p., che prevede la nomina del consulente tecnico di parte ad opera del pubblico ministero mediante l’opzione per un soggetto che, di regola, sia iscritto negli albi dei periti.

Resta fermo, tuttavia, che anche in mancanza della ricorrenza del suddetto requisito, non sembra sia possibile rinvenire alcuna irregolarità nella scelta dell’esperto. Pertanto, dal momento che la norma nulla dice in ordine ad eventuali esperienze professionali o titoli abilitanti, quali connotati sarà opportuno riscontrare in questo soggetto?

Di certo, è esperto in psicologia o psichiatria infantile, colui che analizza il comportamento del minore, che si occupi dello studio delle patologie mentali del fanciullo, ritrovandosi così a dover cercare di conciliare il sapere psicologico con gli iter giudiziari ed i percorsi decisionali della giustizia.

Sembra, poi, potersi estendere a tali soggetti, la previsione di cui all’art.1 della Carta di Noto, come aggiornata nel 2011, che dispone che “le collaborazioni come ausiliari della polizia giudiziaria e dell’autorità giudiziaria, nonché gli incarichi di consulenza tecnica e di perizia in materia di abuso sessuale, devono essere affidate a professionisti che abbiano conseguito una specifica formazione, tanto se scelti in ambito pubblico quanto se scelti in ambito privato. Essi sono tenuti a garantire il loro costante aggiornamento professionale interdisciplinare (…)”.

Sull’aggiornamento professionale e sulla specifica formazione, dunque, si dovrà puntare per garantire la scelta di soggetti davvero formati, esperti in materia, con chiare competenze.

Per quanto concerne, poi, il ruolo ricoperto dall’esperto in psicologia, preme sottolineare che il termine “avvalersi” non è sufficientemente chiaro laddove non

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esplicita quale tipo di aiuto debba essere fornito dall’esperto all’operatore giuridico che debba assumere le sommarie informazioni dal minore.

Bisogna chiedersi, se la polizia giudiziaria ed il pubblico ministero debbano soltanto essere coadiuvati da un esperto nel delicato momento della formulazione delle domande, nella scelta del linguaggio più opportuno da porre in essere quando si è in contatto con il giovane dichiarante ovvero se debbano delegare l’audizione diretta a costui.

A ben vedere, trattandosi di assunzione di sommarie informazioni testimoniali, la risposta dovrebbe essere quella di pretendere almeno la presenza dell’autorità investigante anche nel caso in cui le domande vengano poste direttamente dall’esperto. Soluzione questa, che si può trarre dalla lettura delle disposizioni generali di cui al comma 1 dell’art.351 c.p.p., ove si dispone che “la polizia giudiziaria assume sommarie informazioni dalle persone che possono riferire circostanze utili ai fini delle indagini” e dall’art. 362, comma 1, c.p.p. che usa la medesima locuzione riferendola al pubblico ministero.

Tuttavia, ad oggi, si può riscontrare l’esistenza di una prassi che ha visto l’esperto totalmente delegato dal pubblico ministero a raccogliere le informazioni del minore, senza che all’effettiva audizione partecipasse anche l’autorità inquirente.

In casi del genere, il dominus della fase investigativa non faceva altro che servirsi dell’operato del tecnico nello svolgimento dell’attività di ascolto diretto del minore, in assenza di una diretta presa in carico da parte sua.

Del resto, un’indicazione contraria a questa deplorevole prassi proviene anche dallo stesso codice di rito, laddove all’art. 228, comma 3, c.p.p. che pure si riferisce alla perizia, si chiarisce come “qualora, ai fini dello svolgimento dell’incarico, il perito richieda notizie all’imputato, alla persona offesa o ad altre persone, gli elementi in tal modo acquisiti possono essere utilizzati solo ai fini dell’accertamento peritale90”.

90 Tanto che, del tutto correttamente, è stato affermato in giurisprudenza che “ le dichiarazioni rese

da minori vittime di reati sessuali al consulente tecnico del pubblico ministero ( o al perito) dai minori nei confronti dei quali si svolgono accertamenti in ordine alla loro credibilità ed attendibilità sono utilizzabili soltanto ai fini delle conclusioni dell’incarico di consulenza, ma non della ricostruzione del fatto, giusto il divieto di cui all’art.228, comma 3, c.p.p. e il disposto degli artt. 392, comma 1-bis e 398, comma 5-bis, c.p.p.”. Così Cass., Sez. I, 11.01.2012, n. 12731, in CED Cass., 252600; Cass., Sez. III, 19.01.2011, n. 6887, in CED Cass., 249569; Cass., Sez. III, 19.05.2015, n.36351, in CED Cass., 264738.

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Si tratta di una previsione estendibile anche al consulente tecnico del pubblico ministero91 o all’esperto del cui ausilio si sia servita la polizia giudiziaria o il pubblico ministero in sede di sommarie informazioni testimoniali e volta al fine di impedire che attraverso la deposizione di tali soggetti vengano inseriti nel procedimento dati riferiti da altri e sui quali il giudice possa fondare il proprio convincimento in ordine alla sussistenza del reato ed alla colpevolezza dell’imputato.

L’interpretazione prevalente, in ordine al ruolo da attribuirsi all’esperto, è nel senso che tale soggetto deve fungere da mediatore, una sorta di interprete che trasformi in linguaggio adeguato le istanze investigative ovvero supporti gli inquirenti nell’esame dando indicazioni su come formulare le domande e su quale linguaggio adoperare per limitarne al minimo gli effetti traumatici ma anche garantire la genuinità delle risposte92 .

Peraltro, l’espressa menzione dei soggetti – esperti in psicologia o in psichiatria infantile – cui affidare l’audizione del giovane dichiarante, rappresenta un chiaro sintomo della volontà del legislatore di non percorrere la strada della “specializzazione interna”, ossia dell’affidamento delle audizioni dei minori a magistrati del pubblico ministero o ad ufficiali di polizia giudiziaria adeguatamente formati allo scopo93 .

La riforma prevede che la nomina dell’esperto sia di competenza del pubblico ministero anche nei casi in cui la audizione venga effettuata dalla polizia giudiziaria.

La nomina da parte dell’autorità inquirente conforta la tesi che la figura dell’esperto sia affiancabile a quella consulente tecnico di parte del pubblico ministero.

Risulta necessario che l’esperto abbia conoscenza dei dettagli della notitia criminis, conoscenza fondamentale anche al fine di collaborare alla predisposizione dello schema di intervista, fermo restando che egli potrà e dovrà, se richiesto, consultarsi

91 Secondo Cass., Sez. III, 13.11.2007, n.2001, in CED Cass., 238846, “gli elementi istruttori

acquisiti dal consulente tecnico nominato dal pubblico ministero a norma dell’art. 360 c.p.p. sono utilizzabili unicamente per rispondere ai quesiti e non come prova, in quanto la disciplina prevista per l’attività istruttoria del perito dall’art.228, comma terzo, c.p.p., si estende analogicamente alla medesima attività istruttoria del consulente tecnico per identità di “ratio legis”.

92 Consultabile su http://www.procuragenerale.cagliari.it/news.aspx?id=11191

93 In questi termini, si veda S. Recchione, Le dichiarazioni del minore dopo la ratifica della

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(separatamente) con l’investigatore per orientare l’esame alle sue finalità accertative.

In tale quadro, sarebbe stato opportuno da un lato estendere all’ascolto unilaterale le previsioni del codice di rito sulla audizione protetta del minore con uso di vetro specchio e impianto citofonico, proprio al fine di consentire una adeguata e non disturbante interazione tra esperto e inquirente, d’altro lato prevedere la registrazione audiovisiva o almeno fonica dell’esame, forma di documentazione che, imposta dalla Convenzione all’art 35 comma 2, non è stata invece prevista dalla legge di ratifica.

E si tratta di omissione assai inopportuna, perché all’esame unilaterale, senza contraddittorio, è connaturata un’assenza di garanzie che si può recuperare, al fine di consentire in seguito, alla difesa e al giudice, il vaglio a posteriori della attendibilità delle risposte, proprio con forme di documentazione più incisive e pregnanti (come rilevato dalla Cassazione nella sentenza n. 16981/2013 sopra ricordata), che invece il legislatore non ha previsto.

Una lacuna cui si potrà ovviare nella pratica con buone prassi, come quella di adottare, eventualmente attraverso la stipulazione di protocolli, modalità analoghe a quelle previste dall’art. 398, comma 5 ter c.p.p.