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Le regole per l’assunzione di una testimonianza attendibile: la problematica

Nel documento Processo penale e dichiarazioni del minore (pagine 128-148)

CAPITOLO V L'escussione dibattimentale del teste minorenne

5.7. Le regole per l’assunzione di una testimonianza attendibile: la problematica

“Nello studio delle tematiche legate all’ascolto del minore che, in veste di testimone, sia chiamato ad offrire il proprio contributo dichiarativo nel contesto di un procedimento penale, particolare importanza assume la materia relativa alle regole previste per l’assunzione della sua testimonianza”253.

Al proposito, in dottrina e giurisprudenza, da tempo è stato oggetto di un vivace dibattito, la questione relativa alla possibilità o meno di porre domande aventi natura suggestiva al giovane dichiarante e, parallelamente, il tema relativo all’applicabilità o meno delle regole previste all’art. 499 c.p.p. per l’assunzione della testimonianza ordinariamente valevoli per l’audizione dei testimoni maggiorenni.

Questione, certamente, non di poco conto quella relativa alla possibilità di porre, per il presidente ovvero per il suo ausiliario, domande di natura suggestiva al minore, considerato che tali tipologie di domande possono recare effetti dirompenti sia sulla genuinità delle dichiarazioni rese, sia sulla serenità del giovane teste. Sul tema, ha avuto modo di pronunciarsi la giurisprudenza che, nel suo orientamento assolutamente dominante fino al 2010, ha ritenuto ammissibili le domande suggestive poste dal giudice o dall’ausiliario nell’esame diretto del

253 F. Tribisonna, L’ascolto del minore testimone o vittima di reato nel procedimento penale: il difficile bilanciamento tra esigenze di acquisizione della prova e garanzie di tutela della giovane età., Padova, Cedam, 2017, pag. 368.

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minore, sostenendo che le stesse fossero “utili a fornire un contributo per l’accertamento della verità”254.

Tuttavia, negli anni successivi, è invalsa tra i giudici di legittimità un altro consolidato orientamento, con cui si è affermato che “il giudice che procede all’esame diretto del testimone minorenne non può formulare domande suggestive”, poiché “ove si ritenesse diversamente, si arriverebbe all’assurda conclusione che le regole fondamentali per assicurare una testimonianza corretta verrebbero meno, laddove per la fragilità e la suggestionabilità del dichiarante, sono più necessarie”255.

Posizione questa che chiaramente trova riscontro nella formulazione dell’art. 499, comma 2 e 3, c.p.p., nella parte in cui dispone “Nel corso dell'esame sono vietate le domande che possono nuocere alla sincerità delle risposte 256.Nell'esame condotto dalla parte che ha chiesto la citazione del testimone e da quella che ha un interesse comune sono vietate le domande che tendono a suggerire le risposte”257.

Così si chiariva che “la disciplina predisposta per l’escussione dei testi difficilmente può essere trasferita nell’interrogatorio protetto del minore che si svolge con modalità del tutto peculiari” in quanto, in tale procedura, “non è ammesso l’ordinario incrocio tra accusa e difesa e non è previsto un controesame, nel quale le domande suggestive sono ammesse, ma solo un esame diretto nel quale sono escluse, consegue che per i minori il divieto in oggetto è assoluto”.

Circa le possibili conseguenze derivanti dalla violazione del divieto disposto dalla previsione di cui all’art. 499, comma 3, c.p.p., l’indirizzo interpretativo assolutamente consolidato, prevede che l’inosservanza delle regole da rispettarsi nell’esame dei testimoni non è sanzionata dal codice di rito.

In particolare, non si andrebbe incontro ad una inutilizzabilità dato che la prova non sarebbe stata assunta in violazione dei divieti posti dalla legge, bensì solo con modalità diverse da quelle prescritte.

254 Così, Cass., Sez. III, 28.10.2009, n. 9157, in CED Cass., 246205; Cass., Sez. III, 20.05.2008, n.

27068, in CED Cass., 240261.

255 Cass., Sez. III, 11.05.2011, n. 25712, in CED Cass., 250615.

256 Viene tutelata l'intenzione del testimone, che non deve essere fuorviato o condizionato nella sua

descrizione. Rientrano tra tali domande nocive quelle c.d. suggestive ovvero quelle che, per come sono formulate, tendono a suggerire le risposte.

257 Tali domande c.d. suggestive sono vietate solo nell'esame diretto, non nel controesame, che

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La giurisprudenza dominante, non riconosce neppure la sanzione della nullità, in ossequio al rispetto del principio di tassatività.

“E allora, se nessuna sanzione processuale è allo stato riconosciuta in caso di inosservanza delle regole relative alle modalità di escussione del testimone, ciò nondimeno si impone il massimo rispetto delle stesse”258.

I giudici di legittimità, hanno avuto modo di chiarire259, infatti che “l’individuazione dell’eventuale sanzione processuale non è il fulcro per risolvere la questione, che deve essere spostato sulla valutazione della testimonianza e l’attendibilità della prova il cui risultato è inficiato dalle modalità di assunzione”. Sulla scia di questa impostazione, la giurisprudenza dominante260 si è spinta ad affermare che “l’inosservanza delle regole stabilite dal codice di rito per assicurare la sincerità e genuinità delle risposte del teste e, trattandosi di minori, anche delle linee guida dettate dalla Carta di Noto, rende la prova non genuina e poco attendibile”.

5.8. Scorciatoie giurisprudenziali per tutelare il minore dal trauma

del processo.

Tenendo ben presente il bilanciamento tra delicati e diversi interessi su cui poggia l’esame testimoniale di un soggetto minore, la giurisprudenza, da tempo, ha elaborato una serie di escamotage per evitare al giovane dichiarante di deporre in giudizio, perseguendo, pertanto, lo scopo principale di proteggere la sua personalità ancora in fieri dai traumi che il processo può recare.

258 In dottrina, le osservazioni critiche relative alla mancanza di una sanzione processuale di M.

Tuzzolino, Domande suggestive, organo giudicante e indagine preliminare, in Giust. Pen., 2000, pag. 376 e s.

259 Cass., Sez. III, 11.05.2011, n. 25712, in CED Cass., 250615.

260 Cass., Sez. III, 18.01.2012, n. 7373, in CED Cass., 252134, con commento di F. Tribisonna, Poteri del giudice ed estensione del divieto di domande suggestive al minorenne, in Dir. pen. e proc.,

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Così, come abbiamo modo di constatare, tra i diversi istituti processuali su cui si fa leva, troviamo l'incidente probatorio “atipico” o “speciale”, al quale la Corte di Cassazione attribuisce grande importanza: la procedura suggerita dall'art. 398 comma 5-bis c.p.p., consente, infatti, al giudice di condurre l'esame del minore deponente in luoghi alternativi e di minor impatto rispetto alle aule di tribunale, conformando le modalità di escussione del minore in ragione delle concrete esigenze di tutela.

Tuttavia, nel caso in cui non sia possibile ricorrere a questo speciale istituto garantista, e nonostante ciò, si vogliano comunque recuperare le dichiarazioni rese dal minorenne anteriormente e al di fuori del procedimento, in contesti privati, oppure nel corso delle indagini preliminari, la giurisprudenza ha predisposto delle vie alternative per evitare del tutto la performance dibattimentale del testimone minore di età, pur senza perdere il suo contributo alla ricostruzione dei fatti. Una di queste è la testimonianza indiretta, situazione delicata dal momento che la valutazione del giudice sarà ancora più complessa laddove le dichiarazioni rese provengano da soggetti terzi, i quali abbiano raccolto le confidenze del minore. Disposizione di riferimento è l’art. 195 c.p.p., che sottopone l’utilizzabilità della stessa ad una serie di presupposti. In particolare “la testimonianza del minore potrà entrare a far parte del compendio dibattimentale de relato e avrà uno specifico peso probatorio destinato a diventare decisivo nel caso in cui il testimone diretto non possa essere esaminato, per morte, infermità, o irreperibilità nonché nell’ipotesi in cui il giudice valuti di non dover citare la fonte di riferimento e nessuna delle parti ne abbia fatto richiesta”.

Attraverso questo tipo di testimonianza c.d. di secondo grado, si permette l'ingresso nel processo di dichiarazioni extraprocessuali, in deroga ai principi accusatori dell'acquisizione probatoria, e come è stato notato, «è solo con la citazione del testimone di primo grado che il sistema volto alla tutela del contraddittorio e dell'oralità viene ristabilito»261: per questo motivo, il 1 comma dell'articolo 195 c.p.p. dispone che il giudice, a richiesta di parte, chiami a deporre le persone da cui il testimone indiretto riferisce di aver appreso la notizia.

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Tuttavia, sin dalle prime pronunce, la giurisprudenza ha mostrato la tendenza a forzare l'interpretazione della disposizione, escludendosi che, nonostante la norma individui solo tre casi di impossibilità (morte, infermità o irreperibilità), l’elenco sia tassativo e facendo rientrare nel campo di applicazione della suddetta previsione altri casi analoghi a quelli elencati dal legislatore, quali la rimozione psichica del fatto oppure la tenerissima età del soggetto.

Non è dissimile l'impostazione estensiva della giurisprudenza in riferimento all'art. 512 c.p.p., ricordando, innanzitutto, che il comma 1 di tale articolo stabilisce che “il giudice, a richiesta di parte, dispone che sia data lettura degli atti assunti dalla polizia giudiziaria, dal pubblico ministero dai difensori delle parti private e dal giudice nel corso dell'udienza preliminare quando, per fatti o circostanze imprevedibili, ne è divenuta impossibile la ripetizione”.

Senza alcun timore di smentita si può sostenere che l’onere di provare la situazione di impossibilità dell’audizione e la sussistenza di fatti e circostanze imprevedibili ricada in capo a colui che domandi la lettura delle dichiarazioni precedentemente rese; mentre la decisione – insindacabile in sede di legittimità laddove adeguatamente e logicamente motivata – spetta al giudice, che dovrà, pertanto, operare la sua valutazione secondo criteri ex ante, idonei a sostenere una prognosi di prevedibilità o meno della futura audizione262.

Peraltro, l’applicazione del suddetto meccanismo opera con maggiore o minore rigidità a seconda dell’interpretazione che si intende dare a quella situazione di “assoluta impossibilità” evocata dalla norma.

Così, in giurisprudenza, si è sostenuta, dapprima, l’utilizzabilità ex art. 512 c.p.p. delle precedenti dichiarazioni rese da un teste poi divenuto irreperibile solo quando, con prognosi postuma, “il giudice ritenga che l’irreperibilità fosse imprevedibile nella fase delle indagini e ciò perché il pubblico ministero ha un onere di valutare ex ante la reperibilità del teste onde meglio determinarsi già in fase investigativa circa la possibile richiesta di incidente probatorio263. Inoltre, sempre in quella pronuncia, si sottolinea come l’impossibilità di ripetizione dell’atto debba essere

262 Si richiede che, in sostanza, il giudice non ammetta la lettura del verbale delle precedenti

dichiarazioni, allorquando l’esame della persona sia divenuto impossibile per ragioni che risultavano ragionevolmente prevedibili già al momento della verbalizzazione.

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oggettiva, ossia non dipendere dalla libera scelta del testimone di sottrarsi volontariamente all’esame”.

La Corte di Cassazione, in particolare ha sostenuto che il concetto di impossibilità di ripetizione degli atti di cui all’art. 512 c.p.p., con conseguente loro inserimento tramite lettura tra le prove utilizzabili, è estensibile a tutte le ipotesi in cui una dichiarazione non può essere utilmente assunta sulla base delle peculiari condizioni del soggetto, che non lo rendono più escutibile: tra queste, ha incluso lo stato morboso, da intendersi quale situazione di grave stress psicologico di un soggetto minorenne, tale da rendere impossibile l'esame dibattimentale a causa dei danni irreversibili che potrebbero derivare al fanciullo nel momento in cui sia costretto a ripercorrere gli eventi delittuosi da cui è rimasto offeso nel corso dell’esame dibattimentale stesso.

Giova segnalare che ogni giudizio sulla prevedibilità degli eventi che rendano impossibile la ripetizione di un atto deve essere il frutto di una prognosi effettuata ex ante e che tenga in considerazione sia la condizione personale del soggetto che ha reso dichiarazioni, sia la natura del fatto, dell'evento, della patologia che materialmente hanno causato la impossibilità di ripetizione.

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Conclusioni

Compito arduo quello di tirare le somme all’esito di uno studio; specie nei casi, come quello in esame, in cui la materia trattata sia il frutto della commistione tra diverse discipline e attraversi un percorso di formazione ancora in straordinario divenire. L’attenzione per il minore coinvolto in un procedimento penale in veste di semplice testimone ovvero in quella, più pregnante, di persona offesa dal reato è operante, come abbiamo avuto modo di constatare, a livello vuoi nazionale vuoi internazionale. E, tuttavia, nonostante gli interventi legislativi che si sono succeduti negli anni – che hanno dato luogo ad una confusionaria stratificazione normativa – il nostro ordinamento non si è mostrato in grado di delineare una disciplina organica e capace di offrire una piena soddisfazione alle diverse esigenze di tutela coinvolte. Non bisogna dimenticare, peraltro, che la pur inviolabile e sacra esigenza di tutela della personalità del minore, si scontra, nel procedimento penale, con altre esigenze di tutela costituzionalmente garantite, come quelle probatorie, altrettanto meritevoli di protezione. Cosicché, accanto al fondamentale obiettivo di tutela della giovane età del dichiarante si porrà, l’invalicabile e primario diritto dell’imputato ad essere giudicato secondo i canoni del giusto processo. Ma, talvolta, la scelta del legislatore, che pare voler apprestare una tutela “ad ogni costo” nei confronti della giovane fonte, rischia di rappresentare un inaccettabile attentato ai più elementari diritti della difesa. E, allora, in uno sguardo d’insieme, emergono agevolmente tutti i limiti di un sistema che si ostini, per esempio, a considerare nello stesso modo tutti i soggetti di età inferiore ai diciott’anni e non ne preveda il sostegno affettivo e psicologico in tutto il corso del procedimento, o ancora che non faccia riferimento alle previsioni di tutela per tutti i reati comuni in cui i minori si trovino ad essere coinvolti. La sensazione è che il legislatore abbia proceduto a tappare le falle della materia di volta in volta evidenziatesi, dando una risposta pronta ed immediata alle problematiche emergenti, arginando, così, i limiti della disciplina della testimonianza in generale, che mal si prestava ad essere adattata alla peculiarità della situazione minorile e che, più che di svariati interventi settoriali, avrebbe avuto bisogno di una completa rimeditazione e rivisitazione, tenendo pur sempre

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presenti le esigenze di tutela e le garanzie tipiche del mezzo di prova testimoniale. Si auspica, quindi, che l’attività del legislatore si indirizzi, ora, verso il confezionamento di una nuova veste alla figura del testimone minorenne, senza trascurare l’ausilio degli approdi raggiunti in sede vuoi scientifica, vuoi dottrinale e giurisprudenziale. Soltanto una vera e propria rivisitazione della materia che prenda atto del delicato bilanciamento tra differenti interessi in gioco, consentirebbe, dunque, di giungere alla configurazione uno “statuto della testimonianza del minore”, attento alle peculiarità della condizione minorile e dotato, al contempo, di organica coerenza con il sistema processualpenalistico attuale.

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