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Processo penale e dichiarazioni del minore

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Academic year: 2021

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Indice

CAPITOLO I Percorsi evolutivi: la disciplina a tutela del minoretestimone

1.1. Il minore nel codice di rito del 1930 e il Tribunale per i minorenni ... 4

1.2. Il mutamento di rotta segnato dalla Carta costituzionale del 1948 ... 6

1.3. Il minore testimone nel codice del 1988 ... 9

1.4. Intenti e aspetti processuali delle riforme del 1996 e del 1998 ... 12

CAPITOLO II Disciplina normativa pattizia per l'ascolto del minore 2.1. La normativa internazionale a tutela del minore. ... 17

2.2. La direttiva 2012/29/UE: rafforzamento del sistema di garanzie per il testimone vulnerabile ... 25

2.3. La Convenzione di Lanzarote ... 29

2.4. Sul fronte italiano: la Carta di Noto e il Protocollo di Venezia come linee guida per la tutela del minore ... 33

CAPITOLO III L'ascolto del minore nelle indagini preliminari 3.1. Il pericolo di “vittimizzazione secondaria” del minore testimone ... 37

3.2. Il quadro normativo anteriore all’entrata in vigore della legge n.172 del 2012 ... 41

3.3. Oltre Lanzarote: Le novità introdotte dalla legge n. 172 del 2012 ... 44

3.4. Intervento dell’esperto: scelta obbligatoria o facoltativa? ... 51

3.5. Il ruolo dell’esperto in fase investigativa ... 55

3.6. L’assistenza psicologia ed affettiva del familiare ... 59

3.7. Assenza dell’esperto: quali conseguenze processuali? ... 61

3.8. Il problema della documentazione delle dichiarazioni del minore ... 65

3.9. Attività investigativa ad opera del pubblico ministero e della polizia giudiziaria ... 68

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3.10. Facoltà di assumere sommarie informazioni ad opera del difensore ... 71

3.11. Informazioni e avvisi rivolti al minore ... 76

CAPITOLO IV Il contributo dichiarativo del minore nell'incidente probatorio 4.1. Un incidente probatorio tutto “speciale” ... 78

4.2. Ratio dell’istituto ... 82

4.3. La richiesta di incidente probatorio: i soggetti legittimati ... 87

4.4. La decisione del giudice ... 91

4.5. L’ attuazione del contraddittorio ed il deposito degli atti di indagine. ... 92

4.6. Le tecniche di audizione “protetta”: limiti oggettivi e soggettivi ... 95

4.7. La disciplina dell’esame del minore in incidente probatorio: forme e modalità ... 98

4.8. La documentazione delle dichiarazioni testimoniali ... 101

4.9. Il caso Pupino: gli apporti della Corte di Giustizia delle Comunità Europee con la famosa sentenza 16.6.2005... 104

4.10. Profili conclusivi ... 108

CAPITOLO V L'escussione dibattimentale del teste minorenne 5.1. L’audizione del minore nella fase dibattimentale: limiti al principio della cross examination. ... 110

5.2. La funzione di garanzia del giudice. ... 114

5.3. L’ausilio di un familiare del minore o di un esperto in psicologia infantile. 117 5.4. Tutela dei minorenni: divieto di pubblicazione e procedimento a porte chiuse. ... 120

5.5. Le modalità “protette” di assunzione della testimonianza del minore nell’esame dibattimentale. ... 123

5.6. L’esame schermato del minorenne... 126

5.7. Le regole per l’assunzione di una testimonianza attendibile: la problematica delle domande suggestive. ... 128

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5.8. Scorciatoie giurisprudenziali per tutelare il minore dal trauma del processo.

... 130 Conclusioni ... 134 Bibliografia ... 136 Giurisprudenza ... 142 Sitografia ... 145 Ringraziamenti ... 146

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CAPITOLO I

Percorsi evolutivi: la disciplina codicistica a tutela del

minore testimone

Sommario: 1.1 Il minore nel codice di rito del 1930 e il Tribunale per i minorenni. – 1.2. Il mutamento di rotta segnato dalla Carta costituzionale del 1948. – 1.3. Il minore testimone nel codice del 1988. – 1.4. Intenti e aspetti processuali delle riforme del 1996 e del 1998.

1.1 Il minore nel codice di rito del 1930 e il Tribunale per i

minorenni

L’attuale sistema penale minorile costituisce l’esito di un lungo e articolato percorso di crescita e maturazione della coscienza civile che, nel tempo, è andata riconoscendo la peculiarità della condizione minorile. La progressiva affermazione dei diritti dei minori e la conseguente singolarità del loro status è il risultato di secoli di elaborazioni giurisprudenziali e dottrinali volte a tutelare il minore in quanto soggetto debole.

L’ originaria normativa codicistica, dedicata all’audizione del minore testimone, risultava alquanto scarna.

Nel codice di procedura penale del 1930, l’attenzione verso il minore coinvolto come testimone, o come parte lesa nel processo, era pressoché nulla, ad eccezione dell'art. 449 c.p.p che non prevedeva il dovere di prestare giuramento del minore di 14 anni chiamato a deporre, poiché si riteneva che non avesse raggiunto una matura ed adeguata consapevolezza interiore circa l'importanza solenne del giuramento ma

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potevano ugualmente essere sentiti per semplici indicazioni o chiarimenti. La qualità di testimoni poteva essere, tuttavia, attribuita ai minori che avessero compiuto i 14 anni, dopo aver prestato giuramento e gli fossero stati fatti presenti i provvedimenti applicabili in caso di falsa testimonianza. Il processo in caso di abuso sessuale sui minori (art.472 c.p.p) non doveva obbligatoriamente essere celebrato “a porte chiuse”, trattandosi di una decisione rimessa alla discrezionalità del giudice con generico riferimento a ragioni di sicurezza, di ordine pubblico o di moralità1 (art. 423 c.p.p). Dell’originario sistema repressivo congegnato dal codice penale del 1930, restano tutt’oggi in vita, inalterate, le “vecchie” figure relative alla disciplina minorile, della violazione degli obblighi di assistenza familiare (art. 570 c.p.), dell’abuso di mezzi di correzione o di disciplina (art. 571 c.p.), dei maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) e della sottrazione consensuale di minorenni (art. 573 c.p.); e istituti quali il perdono giudiziale, l'incapacità d'intendere e volere e la sospensione condizionale della pena.

Bisogna attendere il Reggio Decreto Legge del 20 luglio 1934 n. 1404, per assistere ad un primo tentativo di sistemazione capillare della disciplina minorile, attraverso l’istituzione del Tribunale per i minorenni, tradizionalmente intesto come istituzione di ispirazione eminentemente liberale, apportando una profonda trasformazione al sistema giudiziario ordinario ritenuto inadeguato a farsi carico del settore minorile.

In realtà il decreto rispecchia senz'altro il contesto politico-sociale in cui fu ideato. In effetti esprime l'esigenza di ordine dello Stato tipica del regime fascista che, comunque, favorì la nascita del tribunale più per "ragioni di prestigio che di reale presa di coscienza della necessità di promuovere il minore"2.

Il Tribunale per i minorenni, determinante una svolta decisiva verso la creazione del diritto penale minorile, venne istituito presso ogni sede di Corte d'appello o di sezione di Corte d'appello. Ricadevano nel suo ambito tre settori di competenza: civile, penale ed amministrativa. La composizione era data da due membri togati e due onorari. I primi magistrati, mentre i due membri onorari, necessariamente un uomo e una donna, erano benemeriti dell'assistenza sociale, scelti tra i cultori di

1 C. Pansini, Le dichiarazioni del minore nel processo penale, Cedam, 2001, pag. 11-22.

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psichiatria, di antropologia criminale, di pedagogia, di psicologia, di sociologia aventi il trentesimo anno di età. Nell’ art. 50 dell'Ordinamento Giudiziario si trova un riferimento ad essi sotto la denominazione di "esperti". Attraverso il loro apporto il Tribunale per i minorenni aggiunse alla sua competenza giuridica competenze psicologiche, pedagogiche, sociologiche, che risultarono di estrema importanza per un organo chiamato ad operare in situazioni complesse che vedevano coinvolti soggetti deboli e bisognosi di tutela, quali erano appunto i minori.

1.2. Il mutamento di rotta segnato dalla Carta costituzionale del

1948

La necessità di un profondo rinnovamento del sistema penale minorile, quindi una riforma della scarna disciplina introdotta dal r.d.l. n. 1404 del 1934, viene progressivamente recepita dalla Carta Costituzionale del 1948.

Con l’entrata in vigore della Costituzione si determina, infatti, il maturare di una nuova sensibilità nei confronti delle problematiche minorili che attinge a premesse di ordine culturale ed ideologico profondamente mutate.

Giova allargare lo sguardo sulla portata di alcuni valori primari della persona che, con particolare riferimento ai minori, l’evoluzione dei costumi e la sensibilità sociale hanno fatto emergere in maniera sempre più esplicita, a partire da alcuni principi fondamentali enunciati nella nostra Costituzione soprattutto là dove si trova affermato il dovere per le pubbliche istituzioni di rimuovere gli ostacoli che impediscono “il pieno sviluppo della persona umana” (art. 3) ed è attribuito allo Stato l’obbligo di “proteggere la maternità, l’infanzia e la gioventù” (art. 31), unitamente al dovere di tutelare la salute, “come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività” (art. 32).

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Nei menzionati principi risiede il fondamento delle numerose disposizioni di legge che impongono di decidere "nel preminente interesse del minore"3. Principio questo, che viene annoverato dalla stessa Corte Costituzionale tra gli interessi costituzionalmente garantiti.

A ben vedere, il termine minore non è assolutamente impiegato nella carta costituzionale, proprio a voler sottolineare che i diritti del minore non sono altra cosa rispetto ai diritti di ogni altro individuo. La necessità della loro affermazione dunque non nasce dal contenuto dei diritti4, ma dal rapporto del soggetto con i diritti stessi, perché il suo sviluppo psicofisico incompleto, la sua non compiuta affermazione sociale, la sua condizione di debolezza nei confronti degli adulti richiedono specifici mezzi di protezione e tutela per superare gli ostacoli di che impediscono il pieno sviluppo della sua soggettività.

A differenza dello Statuto Albertino, che ignorava totalmente la posizione del minore e le sue esigenze, la Carta Costituzionale identifica quelle situazioni che meritano una particolare tutela, “riconoscendo attenzione al minore, alla sua famiglia e dando impulso ad un sistema di promozione e protezione della sua personalità”5.

“La Costituzione italiana non delinea un compiuto statuto di tutela del soggetto “minore” – come del resto non prevede statuti particolari per altre categorie di soggetti deboli – ma, ciò, anziché costituire un elemento negativo, risulta essere estremamente positivo. Non viene infatti convalidata la logica di una separazione, e quindi di una disciplina specifica, dei soggetti istituzionalmente deboli, ma si inserisce opportunatamente il favor minoris in un quadro generale di promozione dei diritti del cittadino, per una più globale realizzazione di una pienezza umana. Il che comporta una maggiore duttilità dell’ordinamento costituzionale dinanzi le nuove necessità della vita, difficilmente incasellabili in specifiche categorie di diritti.”

3 Il “best interests of the child” rappresenta il principio informatore di tutta la normativa a tutela del

fanciullo, garantendo che in tutte le decisioni che lo riguardano il giudice deve tenere in considerazione il superiore interesse del minore. Così recita l’art. 24, par. 2. della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea nella parte in cui dichiara che in tutti gli atti relativi ai bambini (…) l’interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente.

4 A. C. MORO, Manuale di diritto minorile, Zanichelli, Bologna, 2014, op. cit. pag.18. 5Ibidem, pp.19-20.

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Chiaro intento del legislatore costituzionale, era quello di valorizzare il ruolo del minore all’interno del processo, attribuendogli a chiare lettere il diritto di essere ascoltato, principio questo che affonda le sue radice nell’ambito dell’art. 2 della Costituzione (sotto il profilo dell’affermazione del primato della dignità della persona).

Sempre la Costituzione, unitamente alle norme del diritto internazionale di riferimento, rappresenta in materia minorile il parametro attuativo di diritti fondamentali da parte del legislatore ordinario. La legge n. 81 del 1987 - contenente una delega al Governo per la riforma del codice di procedura penale - agli artt. 2 e 3 ha espressamente rapportato ai principi costituzionali (oltre che alle norme delle Convenzioni Internazionali relative ai diritti della persona e al procedimento penale) la costruzione del nuovo sistema processuale, in particolare in relazione al passaggio ad un sistema penale di tipo accusatorio6. Nonostante la persistenza per diversi anni di alcuni retaggi derivanti dalle concezioni storicamente stratificatesi7, la Costituzione ha rappresentato un profondo mutamento anche in punto di riconoscimento e di tutela dei diritti inerenti al minore. Rispetto alle codificazioni anteriori all'ordinamento repubblicano che consideravano il minore -neonato, bambino o adolescente- oggetto di diritti e aspettative altrui e non soggetto di diritti e di doveri, la carta costituzionale ha cambiato definitivamente l'asse concettuale consentendo, attraverso l'estesa griglia di disposizioni in punto di diritti di libertà nonché di principi in materia penale e processuale, di porre le basi per l'istituzione di un distinto sistema di giustizia minorile.

In questo quadro di tutele si inserisce anche l'art. 21 della Costituzione Italiana, che enuncia il diritto di tutti a manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto ed ogni altro mezzo di diffusione.

Non v'è dubbio che la parola "tutti" adoperata dalla norma costituzionale includa anche e soprattutto il fanciullo, il quale, dunque, ha il diritto ad esprimere ed a far conoscere la propria opinione. Mediante il riconoscimento e l'esercizio di tali diritti il fanciullo non è un mero spettatore passivo, bensì attivo e partecipante. Sul

6 F. Verdoliva, Lineamenti del Processo penale minorile, principi generali, relazione tenuta al

convegno dibattito sulle proposte di modifica al "sistema Giustizia", pag. 27, Catanzaro 13 aprile 2002.

7 G. Grasso, Diritto e procedura penale minorile, profili giuridici, psicologici o sociali, con la

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versante processuale occorre ricordare l'art. 24 Cost. che, assicurando la tutela giurisdizionale dei propri diritti e interessi legittimi a tutti, la riconosce anche ai minori. In particolare nei confronti di questi soggetti, quella delle garanzie processuali dei diritti inviolabili è diventata in questi ultimi anni questione centrale, nel momento in cui la titolarità di tali diritti risulterebbe vuota e senza effettivo esercizio.

1.3. Il minore testimone nel codice del 1988

Nel nostro codice di rito si riscontra la necessità di pervenire ad una

regolamentazione ad hoc per lo svolgimento dell'esame di persone minorenni, sulla considerazione che le forme dell'esame incrociato potevano risultare inopportune nei confronti di “soggetti la cui personalità, ancora in formazione, necessita di particolari cautele”8.

Difatti, l’inevitabile esigenza di accertare la penale responsabilità dell’imputato, al di là di ogni ragionevole dubbio, deve raffrontarsi, vuoi con l’avvertita necessità di salvaguardare la salute e la riservatezza del testimone, specie quando oggetto di valutazione è il contributo probatorio offerto da un minore; vuoi, deve fare i conti con le cause fisiologiche, psicologiche ed emozionali che incidono sulla testimonianza, sottolineate dalla psicologia giuridica.

La progressiva stesura del codice del 1988 ha posto il problema di tutelare la personalità del minore, al fine di metterlo al riparo da ogni possibile trauma ricollegabile alla sua partecipazione al processo, e ciò sulla base dell’ adeguata direttiva punto 73 (art. 2) della legge-delega del 1987 (di Delega al governo per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale) , la quale dispone la previsione

8 L’esigenza di una disciplina ad hoc, derogatoria rispetto alle forme ordinarie dell’esame e del

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che “l’esame dei testimoni minorenni possa essere effettuato in ogni momento dal giudice, tenute presenti le esigenze di tutela della persona”.

Sia pur nella formulazione di indirizzo tipica di questo tipo di legge, il principio enunciato sembra del tutto trasparente nell'affermare la peculiarità di questa prova in ragione dell'età del soggetto per questo chiamato. Come prima applicazione di questa direttiva si era pertanto stabilito (art. 472 comma 4 c.p.p.) che il giudice potesse disporre “a porte chiuse” l’esame dei testi minorenni e - innovazione ben più pregnante - a salvaguardia della dignità, integrità affettiva e psicologica del minore bisognoso di specifiche procedure con le quali impedire «l’accanimento investigativo tipico del controesame»9 , si era vietato (art. 498 co. 4 c.p.p) l’uso della metodologia dell’esame incrociato previsto per il nuovo rito accusatorio. La ratio di una tale previsione, risiede nella constatazione che lo svolgimento del processo pubblico potrebbe sfociare, in un meccanismo di vittimizzazione secondaria; il minore sarebbe costretto, cioè, a rievocare pubblicamente e alla presenza dell’imputato l’andamento dei fatti nonché il reato subito, rivivendo così, con effetti traumatizzanti sulla sua persona, lo stato di vittimizzazione primaria e dunque l’ansia, la paura, il malessere vissute in quanto protagonista del fatto di reato.

L’art. 498 co. 4 c.p.p. stabilisce poi che “l'esame testimoniale del minorenne è condotto dal presidente su domande e contestazioni proposte dalle parti. Nell'esame il presidente può avvalersi dell’ausilio di un familiare del minore o di un esperto in psicologia infantile”10.

La prova testimoniale, dunque, quando vedeva coinvolto un bambino, aveva luogo in virtù di siffatta modalità, per la quale risultava di fatto necessaria la presenza di un esperto in psicologia per un regolare e sereno svolgimento del processo.

L’ art. 498/4, 4-bis, 4-ter c.p.p. costituisce a ben vedere una vera e propria deroga alla disciplina ordinaria prevista per l’acquisizione di tale prova. La deroga di cui al cit. articolo è ispirata dall’esigenza di tutelare la personalità del minore e di garantirne serenità e attendibilità.

9 C. Pansini, Le dichiarazioni del minorenne nel processo penale, cit., pag. 82.

10 E' interessante ricordare come qualcosa di analogo era stato proposto dal MITTERMAYER, nel

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Si prendono in tal modo in considerazione, a più ampio raggio, tutte quelle dinamiche psicologiche che possono interferire con la genuinità del contributo testimoniale, laddove il dichiarante è un soggetto particolarmente vulnerabile per la giovane età o in quanto soggetto passivo di atti particolarmente violenti.

La disciplina così predisposta, ha avuto il merito di realizzare un concreto bilanciamento tra la tutela del diritto di difesa dell’imputato e la tutela del diritto alla salute e all’integrità psicofisica del testimone persona offesa.

Alla base della garanzia della nuova forma conferita alla dialettica probatoria esterna11, il meccanismo dell’esame incrociato, risiede senza dubbio il principio del contraddittorio dal momento in cui la prova non può essere il frutto del contributo solitario di un solo soggetto, ma dell’incontro e dello scontro dialettico delle parti. Una disposizione di inderogabile principio, attinente al tema dell’utilizzabilità, è rappresentata dall’art 188 c.p.p. in base alla quale “Non possono essere utilizzati, neppure con il consenso della persona interessata, metodi o tecniche idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti”12. Tale principio di fondo, posto a tutela della libertà morale della persona, è stato inserito tra le disposizioni generali relative alle prove al fine di sancirne il rango di regola basilare nel settore, idonea a configurare un limite assoluto all'ammissibilità di mezzi o procedure con essa confliggenti. Del resto, il contenuto della norma, sembrerebbe adattarsi perfettamente a quelle situazioni in cui risulta coinvolto il bambino.

In verità, il problema si pone relativamente a metodologie di indagine psicologica aventi capacità invasiva della personalità del minore, e come tali per l'appunto idonee a condizionarne le capacità di rappresentazione e ricordo13.

Si comprendono le ragioni, per cui il ruolo dell’esperto forense nella fase dell’interrogatorio, sia considerato di preminente valore, fornendo al giudice un contributo decisivo nell’arduo compito di decidere “se fidarsi o non fidarsi” della

11 G. Ubertis, Fatto e volere nel sistema probatorio penale, Milano, 1979, pag.118. 12 Ne sono esempi la narcoanalisi, l'ipnosi o i lie detector (i sieri della verità).

13 Tanto che in passato non le si riteneva valutabili se non per semplici indicazione o schiarimenti":

così, ad esempio, l'art. 285 co. 2 c.p.p. del 1865. Sul punto v. G. Sabatini in Il codice di procedura penale illustrato per articolo, vol. III Milano, 1937, pag. 217 nota 1: Questi irrazionali limiti al libero apprezzamento del giudice per cui le deposizioni dovevano intendersi acquisire la processo a titolo di Semplici indicazioni o chiari-menti, furono definitivamente banditi dalla vigente legislazione.

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testimonianza del bambino. Un riferimento utile all’individuazione di quella che poi sarà definita “vittima vulnerabile” proviene chiaramente dall’art 392 comma 1 bis c.p.p che si è preoccupata di selezionare alcuni reati i cui offesi (sia minorenni che maggiorenni) possono essere uditi in contraddittorio incidentale a prescindere dalle condizioni di deperibilità della prova normalmente richieste per l’anticipazione del contraddittorio (con conseguente rinuncia all’oralità).

1.4. Intenti e aspetti processuali delle riforme del 1996 e del 1998

Ulteriori passi in avanti sono stati fatti in seguito, in vista della riforma dei reati sessuali del 1996 e dell’introduzione nel nostro ordinamento della legge sulla pedofilia nel 1998, con cui sono state introdotte nel tessuto codicistico particolari regole e modalità di acquisizione della testimonianza, con l'obiettivo primario di salvaguardare la vulnerabilità delle persone offese e dei testimoni di particolari reati a sfondo sessuale ma anche di un minimo sacrificio sul piano del contraddittorio e del diritto di difesa. Quest'ultimo scopo è stato perseguito attraverso la valorizzazione dell'incidente probatorio e il riconoscimento normativo anche per la sede dibattimentale, di tecniche di audizione protetta14.

La l.15/2/1996 n. 66 rubricata: “Norme contro la violenza sessuale”, contempla una serie di disposizioni processuali e sostanziali che sottolineano la costante preoccupazione del legislatore di salvaguardare la personalità del minore. Una tutela particolare è ad essi riservata in ragione della loro immaturità psichica e fisica, della loro conseguente incapacità di esprimere un consenso automaticamente libero e cosciente, della loro inesperienza e delle conseguenze altamente dannose per un loro equilibrato ed armonico processo di crescita.

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Scopo primario della novella del 1996 è quella di evitare a soggetti infrasedicenni aventi una personalità ancora in evoluzione, specificamente deboli da un punto di vista vuoi emotivo, vuoi fisico, che sono stati già soggetti ad un danno, in quanto hanno assistito o sono stati vittime di delitti gravi quali appunto la violenza sessuale (così come rubricata la suddetta legge), l’ulteriore trauma delle deposizioni nelle aule dei tribunali15 . In questo risiede il ricorso all’anticipazione probatoria, con una presunzione “iuris et de iure” di pericolo di dispersione della prova scollegata dai presupposti tipici, con l’inevitabile conseguenza della scelta, ad opera del legislatore, di spostare il baricentro del processo penale alla fase preliminare, a scapito di quella dibattimentale16, dal momento che la prova si formerà di fronte ad un giudice diverso da quello che sarà chiamato a decidere sui fatti per cui si procede. Del resto, qualche anno prima, già la Corte Costituzionale con sentenza n.77 del 1994 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 392 e 393 del codice di procedura penale, nella parte in cui non consentono che, nei casi previsti dalla prima di tali disposizioni, l'incidente probatorio possa essere richiesto ed eseguito anche nella fase dell'udienza preliminare.

Nei casi di specie, ciò darebbe luogo, ad avviso del rimettente, a contrasto con gli artt.3 e 24 Cost., dato che ne deriverebbe una menomazione del diritto di difesa dell'indagato e un deteriore trattamento rispetto alla pubblica accusa nell'attività probatoria utilizzabile nell'udienza preliminare17.

L'art. 13, 1° comma della legge n. 66/1996 ha in tal modo introdotto all'art. 392 c.p.p. il comma 1-bis (contenente un riferimento utile all’individuazione di quella che poi sarà definita “vittima vulnerabile”) mediante la quale sono stati selezionati alcuni reati i cui offesi (sia minorenni che maggiorenni) possono essere uditi in contraddittorio incidentale a prescindere dalle condizioni di deperibilità della prova normalmente richieste per l’anticipazione del contraddittorio (con conseguente rinuncia all’oralità). Il testo della norma succitata recita infatti: "nei procedimenti

15 A. Famiglietti, La testimonianza del minore di sedici anni in incidente probatorio ed il raggiungimento della maggiore età, in Riv. It. dir. proc. pen., 2004, pag. 292.

16 C. Pansini, Le dichiarazioni del minore nel processo penale, pag. 122.

17 Corte Cost., 10 marzo 1994 n.77, in Giur. cost. 1994, pag. 776 e segg., dichiara costituzionalmente

illegittimi gli artt. 392 e 393 dal momento in cui impedivano l’instaurazione dell’incidente probatorio anche nella fase dell’udienza preliminare, dando luogo ad un vero e proprio dirottamento dal principio basilare per cui la formazione della prova deve avvenire in dibattimento attraverso il confronto dialettico delle parti.

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per i delitti di cui agli articoli bis, ter, quater, quinquies e 609-octies del codice penale il pubblico ministero o la persona sottoposta alle indagini possono chiedere che si proceda con incidente probatorio all'assunzione della testimonianza di persona minore degli anni sedici, anche al di fuori delle ipotesi previste dal comma 1"18.

Si è voluta formulare, in sostanza, una precisa raccomandazione affinché, ove l’esame del testimone minore sia ritenuto indispensabile, questo sia effettuato nel più breve tempo possibile, cercando di evitare che sia differito alla fase del giudizio (art. 392 comma 1-bis).

La ratio di tutela del testimone minorenne, tuttavia, non è arrivata fino al punto di scalfire la disciplina prevista in relazione alle letture dibattimentali, dato che, di norma, le dichiarazioni rese dal minore di sedici anni nel corso dell'incidente probatorio in uno dei procedimenti previsti dall'art. 392 comma 1-bis c.p.p., andranno rielaborate in sede di giudizio con le opportune cautele previste dall'art. 498 comma 4 c.p.p (art. 401 comma 5 c.p.p) 19.

D’altra parte, le istanze già da tempo manifestatesi nei diversi tribunali, nella direzione di una maggiore protezione del minore dichiarante, si sono concretizzate nel contesto penale attraverso l’istituto dell’ audizione protetta, e più precisamente si è previsto - così come è avvenuto a partire dalla fine degli anni ’80 anche nei paesi di tradizione anglosassone - che, quando le esigenze del minore lo rendano necessario od opportuno (comma 4-bis e art. 398 comma 5-bis c.p.p.) , il suo esame si svolga, con “modalità particolari” anche in luogo diverso dal tribunale, avvalendosi il giudice, ove esistano, di “strutture specializzate” di assistenza (quali i servizi minorili dell'amministrazione della giustizia e i servizi istituiti dagli enti locali)o, in mancanza, presso l’abitazione dello stesso minore. L’innovazione, introdotta in un primo tempo con esclusivo riferimento all’esame praticato con le forme dell’incidente probatorio (art. 398 comma 5-bis c.p.p.), è stata poi estesa nel 1998 anche alla fase dibattimentale vera e propria, con una formulazione approssimativa, che ad una prima lettura sembra non far distinzione tra

18 Art. 13, l. 15 febbraio 1996 n. 66, in materia di “Norme contro la violenza sessuale” 19 C. Pansini, Le dichiarazioni del minore nel processo penale, pag. 124-125

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procedimenti penali per reati di abuso sessuale e procedimenti penali per ogni altro reato (art. 498 comma 4-bis c.p.p.).

Con l’entrata in vigore nel nostro ordinamento della legge del 3 agosto 1998 n. 269, rubricata “"Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di schiavitù", sono state altresì introdotte nel tessuto codicistico nuove fattispecie di reato, nel chiaro intento di punire e colpire l'attività di coloro che si servono dei minori al fine di trarne benefici economici: trattasi dei reati di prostituzione minorile (art. 600-bis c.p.), pornografia minorile (art. 600-ter c.p.) e di iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione (art. 600-quinquies c.p.).

Un intervento regolatore, tramite l’art.13 comma 2 della legge del 1998, viene attuato anche sull'art. 190-bis c.p.p., al quale viene aggiunto il comma 1-bis, regola secondo la quale, quando si procede per i reati di cui gli artt. 600-bis, 600-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies c.p., se il minore di sedici anni ha già reso dichiarazioni in sede di incidente probatorio e queste sono state acquisite ai sensi dell'art. 238 c.p.p., non va sottoposto ad esame dibattimentale, a meno che il giudice non lo ritenga assolutamente necessario. L’ estensione del regime dell'art. 190-bis c.p.p. relativo alla criminalità organizzata, ai reati di violenza sessuale e di sfruttamento sessuale di minorenni, risponde all’esigenza di permettere, una volta cristallizzata la prova, l'estromissione del minore dal procedimento20.

Occorre precisare che la Corte di Cassazione è intervenuta sul punto per sottolineare che “il giudice dell'incidente probatorio ha il potere di valutare discrezionalmente se sussistano le condizioni per l'adozione della particolare modalità di espletamento dell'esame protetto del testimone minorenne, tenuto conto delle esigenze del minore stesso”21. Le disposizioni richiamate nascono dalla duplice esigenza che l’ascolto del minore avvenga sempre in via anticipata, in quanto le prime dichiarazioni del bambino sono considerate maggiormente attendibili, e che si pervenga ad una conclusione accelerata del dibattimento, per evitare la reiterazione di interrogatori

20 S. Sau, L'incidente probatorio, cit., pag. 147

21 Cass., sez. III, 8 gennaio 2009, n. 7141, R. e altro, C.E.D. Cass., n. 242826: fattispecie nella quale

l'esame era avvenuto in una stanza adiacente quella d'udienza, con la porta aperta e le luci accese, presenti la madre e la sorella del minore.

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relativi ad esperienze dolorose e traumatiche con inevitabili ripercussioni sul minore.

La ratio della riforma, è che, ufficializzando questa particolare tipologia di audizione, il legislatore ha dimostrato di aver operato la scelta vincolante di privilegiare la tutela della personalità del minore, nella presunzione che farlo partecipare al processo alla stessa stregua di un adulto - anche se al riparo dalla pubblicità - lo esporrebbe a un disagio maggiore delle sue forze, assoggettandolo alla incontestabile “brutalità” e aggressività insita nella tecnica dell’esame incrociato e pretendendo da lui un comportamento (la conferma “pubblica” delle accuse) che in quanto tale rischierebbe di pregiudicare la serenità della sua deposizione, finendo in buona sostanza per danneggiare non soltanto lui, ma anche la ricerca sia della verità reale che della verità processuale.

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CAPITOLO II

Disciplina normativa pattizia per l’ascolto del minore

Sommario: 2.1. La normativa internazionale a tutela del minore. – 2.2. La direttiva 2012/29/UE. - 2.3. La Convenzione di Lanzarote. – 2.4. Sul fronte italiano: la Carta di Noto e il Protocollo di Venezia come linee guida per la tutela del minore.

2.1 La normativa internazionale a tutela del minore

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Il diritto del minore ad essere ascoltato è ampiamente e chiaramente affermato in numerose convenzioni di diritto internazionale22. L’attenzione che è stata riservata al minore quale soggetto debole, specie negli ultimi anni, affonda le sue radici nel terreno sovranazionale, dove si è attribuito maggior risalto nei confronti della tutela del minore vittima di reati di natura sessuale23.

Ellen Key, scrittrice svedese, già nel corso del 1900, dichiara il XX secolo il «Secolo del bambino» e, in effetti, trattasi dell’epoca più importante nella storia dei diritti dell’infanzia, il periodo in cui per la prima volta nella storia dell’uomo, l’infanzia ha affermato e visto riconosciute – almeno in Occidente – le sue peculiarità. Una lunga e non scorrevole strada verso il progressivo riconoscimento dei diritti universali e il benessere dei bambini come missione per il futuro.

La tutela dei minori è garantita sia da disposizioni inserite in accordi più ampi a tutela dei diritti umani, sia da trattati internazionali e regionali24 specificamente volti a disciplinarne uno o più profili di rilievo.

22 G. Magno, L’ascolto del minore nella prospettiva europea, relazione introduttiva all’incontro di

studio su ‘L’ascolto del minore nel procedimento penale e civile’, Roma, CSM 30.3.2009. Il relatore riconduce l’origine del diritto all’ascolto del minore al criterio dell’interesse superiore del fanciullo, che viene prioritariamente affermato nella Convenzione di New York del 1989, nonché nell’art. 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000.

23 L. Scomparin, La tutela del testimone nel processo penale, Cedam, Padova, 2000, pag. 284. 24 Tra i trattati e le disposizioni approvate a livello regionale si richiamano, senza pretesa alcuna di

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Il primo strumento internazionale in assoluto a tutela dei diritti dell'infanzia è stata la "Convenzione sull'età minima" adottata dalla Conferenza Internazionale del Lavoro nel 1919. A parte questa, la prima significativa attestazione dei diritti del bambino si ha con la Dichiarazione di Ginevra, o Dichiarazione dei diritti del bambino, adottata dalla Quinta Assemblea Generale della Società delle Nazioni nel 1924, proclamando che “l’umanità ha il dovere di dare al fanciullo il meglio di sé”25.

Per redigerlo la Società delle Nazioni fece riferimento alla Carta dei Diritti del Bambino scritta nel 1923 da Eglantyne Jebb, dama della Croce rossa, la quale fondò “Save the Children” nel 1919, anticipando così il concetto, rivoluzionario per l'epoca, che anche i bambini fossero titolari di diritti, e iniziando un'opera audace nelle sue rivendicazioni nei confronti delle istituzioni e anticonformista nella sensibilizzazione dell’opinione pubblica.

Successivamente, con l'istituzione dell'ONU, la dichiarazione è stata approvata il 20 novembre 1959 dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite e revisionata nel 1989, quando ad essa ha fatto seguire la Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia.

Tale documento, che precede di più di venti anni la "Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo", non è però ancora concepito come strumento atto a valorizzare il bambino in quanto titolare, ma solo in quanto destinatario passivo di diritti. La stesura di tale documento è dovuta indubbiamente agli episodi drammatici caratterizzanti l’inizio del ‘900, specie la prima guerra mondiale, a seguito dei quali si era posto in primo piano la necessità di un intervento permanente nell’interesse dell’infanzia.

Inizia a farsi avanti l’idea secondo la quale qualsiasi intervento pubblico che veda coinvolto il bambino, debba tener conto “dell’interesse superiore del minore” (ad esempio, in chiave generale, l’art.24 comma 2 della Carta dei diritti fondamentali

la Carta africana sui diritti e il benessere del fanciullo (1990), la Carta sui diritti del fanciullo arabo (1983) e l’art.34 della Carta araba dei diritti umani (2004), l’art.19 della Convenzione americana sui diritti umani (1969) e l’art.16 del suo primo Protocollo addizionale in materia di diritti economici, sociali e culturali (1988). Con riferimento a questi ultimi accordi v. il recente studio di Vannuccini,

La protezione dei minori di età nella prassi della Corte interamericana dei diritti dell’uomo, in

questa Rivista, 2013, pag. 109 ss.

25 Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo, 1924, Assemblea Generale della Lega delle Nazioni,

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dell’Unione europea). Giova, anzi, richiamare le peculiarità linguistiche della formula anglofona adoperata nei documenti sovranazionali (“best interests of the child”), il cui plurale (“interests”) enfatizza la plurimità delle situazioni soggettive meritevoli di tutela, idonee a innervarsi in ogni ambito in cui, da protagonista, sia coinvolto il minore entrato nel circuito penale26.

La Dichiarazione di Ginevra consta di dieci principi ed ha un impianto sostanzialmente assistenzialista, teso ad affermare le necessità materiali e affettive dei minori, gettando luce su tre diritti fondamentali del fanciullo, dati dall’autonomia, dalla tutela e dall’educazione; tuttavia, in essa è valutata la condizione del bambino come essere umano al quale si deve il riconoscimento generale e concreto dei propri diritti. Si tratta di un documento breve, ma fondamentale per lo sviluppo della posizione internazionale del minore.

Non si indirizza agli Stati ponendo in capo ad essi veri e propri obblighi, ma la stessa chiama in causa generalmente l’intera umanità, affinché promuova la protezione dei minori. Trattasi, tuttavia, ancora di un intervento embrionale a protezione del bambino, come tale privo di qualsivoglia forza vincolante, ciò significa che non ha valore giuridico nel diritto, e tanto meno nel diritto internazionale, ma impegna i paesi membri soltanto da un punto di vista morale. Questo documento venne poi utilizzato a sua volta come base per redigere la Dichiarazione dei diritti del fanciullo nel 1959, approvata all’unanimità dall’ Assemblea Generale delle Nazioni Unite con l’intento di assicurare al fanciullo una infanzia felice ed il godimento, nel suo interesse e della società, dei diritti e delle libertà in essa enunciati.

Di preminente interesse i principi che si affacciano sullo scenario internazionale grazie ai risultati raggiunti attraverso la nuova Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo che:

• introduce il concetto che anche il minore, al pari di qualsiasi altro essere umano, sia un soggetto di diritti;

• riconosce il principio di non discriminazione e quello di un'adeguata tutela giuridica del bambino sia prima che dopo la nascita;

26 G. Di Chiara, la disciplina della libertà personale, in La giurisdizione specializzata nella giustizia penale minorile, G. Giappichelli editore, Torino, 2015, pag. 117.

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• ribadisce il divieto di ogni forma di sfruttamento nei confronti dei minori e auspica l'educazione dei bambini alla comprensione, alla pace e alla tolleranza. Pur non essendo ancora uno strumento vincolante, bensì una mera dichiarazione di principi, la Dichiarazione gode di una notevole autorevolezza morale, che le deriva dal fatto di essere stata approvata all'unanimità e di essere un documento estremamente innovativo.

Si assiste in tal modo all’approntamento di un sistema di garanzie verso la graduale stipulazione di Convenzioni e atti, aventi valore di norme giuridiche vincolanti, che tengano conto del preminente interesse di tutela del minore, anteponendolo a quello degli adulti.

L’attenzione alle specifiche esigenze dei minori ha trovato un riconoscimento internazionale attraverso la risoluzione delle Nazioni Unite sulle «Regole minime per l’amministrazione della giustizia dei minori» (cosiddette Regole di Pechino, 1985) e la raccomandazione del Consiglio d’Europa sulle «Risposte sociali alla delinquenza minorile» (1987). Tali documenti – unitamente all’art. 31, co. 2, Cost., che impone alla Repubblica di proteggere la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo – hanno costituito un punto di riferimento essenziale per l’opera di riforma in materia di giustizia minorile attuata dal legislatore italiano. Le Regole minime riguardano innanzi tutto il sistema che deve occuparsi della questione giovanile. Questo è individuato nella “giustizia minorile” che deve operare in un quadro generale di giustizia sociale per tutti i giovani e deve contribuire anche alla protezione e mantenimento della pace e dell’ordine nella società27.

Dopo l'affermazione della specificità dell'intervento penale nei confronti dei minori ad opera dell'art. 2 di tali Regole, si vedono enunciate le garanzie procedurali nei confronti del medesimo: la presunzione di innocenza, il diritto alla presenza dei genitori, il diritto alla notifica delle accuse, il diritto al confronto, il diritto a non rispondere e il diritto di appello. L'articolo successivo sancisce il diritto del minore alla riservatezza, contro eventuali danni causati da una pubblicità inutile e denigratoria.

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L'importanza della specializzazione dei servizi di polizia è sottolineata dall’art. 12 mentre i seguenti art. 14 e 15 affermano che il minore deve essere giudicato da un'autorità competente ed avere diritto all'assistenza legale e a quella affettiva e psicologica dei genitori.

I principi espressi nelle Regole di Pechino acquistano forza vincolante nella Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo del 198928, ratificata in Italia con legge n. 176 del 27 maggio 1991, che ha riconosciuto al minore il diritto all'ascolto con il richiamo espresso all'art. 12 della Convenzione medesima, dichiarata immediatamente precettiva dalla sentenza della Corte costituzionale 16 gennaio 2002 n. 1, ed ha affermato la realizzazione del diritto stesso di completa partecipazione del minore ai processi che lo riguardano a seconda della capacità di discernimento dello stesso29.

Quest’atto formale racchiude in sé un significato di portata storica, costituendo la base comunitaria - o minimum standards - dei diritti umani fondamentali civili, politici, economici, sociali e culturali dei bambini e degli adolescenti di tutto il mondo: per la prima volta infatti i diritti dei bambini entrano a pieno titolo nel mondo giuridico internazionale, dopo avervi fatto comparse più o meno marginali. Nella storia del diritto internazionale, i diritti del bambino iniziano ad essere codificati sotto forma di un trattato che avrà forza vincolante per gli Stati che lo ratificheranno. Non un’esemplificativa dichiarazione di principi generali ma, se ratificata, un vero e proprio vincolo giuridico per gli Stati contraenti, che devono uniformare le norme di diritto interno a quelle della Convenzione per far sì che i diritti e le libertà in essa proclamati siano resi effettivi.

Il diritto di tutti i bambini e gli adolescenti di essere ascoltati rappresenta uno dei valori fondamentali presi in considerazione dalla Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza(NY 1989 –Legge 27 maggio 1991, n. 176), che affonda le sue radici nell’art. 12, nel momento in cui si dispone che:

“Gli Stati parti garantiscono al fanciullo capace di discernimento il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa, le opinioni

28 La Convenzione di New York è stata adottata ed aperta alla sottoscrizione, ratifica ed adesione

con Risoluzione dell’Assemblea Generale n.44/25 del 20 novembre 1989 ed è entrata in vigore il 2 settembre 1990, conformemente all’art.49.

29 V. Montaruli, Relazione tenuta all’incontro di studi “I diritti del minore e la loro protezione”

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del fanciullo essendo debitamente prese in considerazione tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità. A tal fine, si darà in particolare al fanciullo la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente, sia tramite un rappresentante o un organo appropriato, in maniera compatibile con le regole di procedura della legislazione nazionale”30. L’articolo 12 della Convenzione è una previsione normativa unica in un trattato di diritti umani dato che affronta lo status legale e sociale dei bambini e degli adolescenti, che da una parte mancano della piena autonomia dagli adulti, ma dall’altra sono soggetti di diritto. Il comma 1 assicura ad ogni bambino e adolescente, capace di formarsi le proprie opinioni, il diritto di esprimerle liberamente in tutte le questioni che lo riguardano e che queste vengano debitamente prese in considerazione tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità. Il comma 2 afferma, in particolare, che i bambini e gli adolescenti devono avere la possibilità di essere ascoltati in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che li riguarda.

In altri termini, compito degli Stati è quello di adottare un modello processuale in grado di rendere effettivi i diritti del minore di carattere fondamentale.

Sull’importanza della norma concordano sia il Comitato dei diritti del fanciullo che la Corte costituzionale.

Il Comitato dei diritti del fanciullo ha dedicato ad essa il General Comment n. 9 del 2009 sottolineando come gli Stati parti dovrebbero incoraggiare il bambino e l’adolescente a formarsi una propria libera opinione e dovrebbero creare un ambiente che gli permetta di esercitare il proprio diritto di essere ascoltato. Le opinioni espresse dai bambini e dagli adolescenti possono, infatti, aggiungere rilevanti prospettive ed esperienze e dovrebbero essere prese in considerazione durante i processi decisionali, politici e legislativi così come durante la valutazione degli esiti di tali processi31.

30 Così recita l’art. 12 della Convenzione di New York.

31 Così stabiliscono i punti 11 e 12 del Commento generale n. 12, a proposito dell’art. 12, sul diritto

del bambino e dell’adolescente di essere ascoltato, pubblicato dal Comitato sui diritti dell’infanzia il 20 luglio 2009

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Lo stesso Comitato (par.81 del Commento Generale) puntualizza che il diritto del fanciullo ad essere ascoltato viene spesso confuso con la libertà di espressione consacrata all’art. 13 della Convenzione.

Per la verità, trattasi di due diritti distinti pur se strettamente correlati. La libertà di espressione, così come prevista dall’art.13, fa riferimento al diritto di avere e di esprimere delle opinioni, e di cercare e ricevere informazioni attraverso qualsiasi mezzo di comunicazione. L’articolo in questione allude al diritto del bambino e dell’adolescente di non essere sottoposto dallo Stato parte ad alcuna limitazione o impedimento alle opinioni che ha o che esprime.

Contrariamente, l’art. 12 rimanda al diritto di espressione delle opinioni specificatamente su questioni che riguardano il bambino e l’adolescente. In sostanza, è consacrato l’obbligo per gli Stati parti di introdurre un quadro legale e dei meccanismi necessari a facilitare l’attivo coinvolgimento del bambino e dell’adolescente in tutte le azioni che lo riguardano, nel processo decisionale, e a rispettare l’obbligo di dare il giusto peso alle opinioni espresse. La libertà di espressione sancita dall’articolo 13 non richiede tale coinvolgimento o intervento degli Stati parti.

Si comprendono le ragioni per cui l’età del fanciullo non deve, dunque, di per sé rappresentare un impedimento per il diritto del minore, di partecipare pienamente al processo penale come testimone: ogniqualvolta sia in grado di far comprendere le informazioni di cui è in possesso e di esprimere le proprie opinioni, il minore deve essere considerato capace di testimoniare.

Al fanciullo, sono attribuiti specifici diritti anche in campo penale.

Così l’art. 40 della Convenzione si riferisce al fanciullo sospettato, accusato, riconosciuto colpevole di reato penale, di un fatto considerato tale dalla legge al momento in cui le azioni od omissioni censurate furono commesse. Gli riconosce il diritto alla presunzione d’innocenza; quello di essere informato sul tenore dell’accusa e di beneficiare dell’assistenza legale , di difendersi davanti a un giudice terzo e imparziale in un processo equo, di non essere costretto a rendere testimonianza o a dichiararsi colpevole, di interrogare o far interrogare i testimoni a carico e di ottenere la comparsa e l’interrogatorio di testimoni a discarico a condizioni di parità, di poter ricorrere, una volta riconosciuto colpevole, contro

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questa decisione e contro ogni altra misura decisa di conseguenza, il diritto al rispetto della sua vita privata in tutte le fasi della procedura.

A livello internazionale, l’ascolto dei minori nei giudizi in cui si devono adottare provvedimenti che li riguardano è previsto dalla “Convenzione Europea sull’esercizio dei diritti dei minori” (Strasburgo 1996), ratificata dall’Italia con la legge 20 marzo 2003 n. 77.

Attraverso la suddetta Convenzione, si è posto l’accento sul diritto del soggetto, anche in difficoltà, di poter esprimere la propria opinione in tutti i procedimenti giudiziari in cui è coinvolto, prevedendo, in particolare, il diritto del minore di essere informato ed ascoltato nei procedimenti che lo riguardano32.

Quando il minore ha una capacità di discernimento sufficiente, il giudice deve accertarsi che egli abbia ricevuto tutte le informazioni pertinenti e, se il caso lo richiede, consultarlo personalmente, se necessario in privato, direttamente o tramite altre persone od organi, con una forma adeguata alla sua maturità, a meno che ciò non sia manifestamente contrario ai suoi interessi superiori, per permettergli di esprimere la propria opinione e tenerla in debito conto.

Questo comporta che i minori, soprattutto gli adolescenti, siano informati e resi partecipi di quello che sta loro accadendo e sia loro assicurata una protezione speciale, oltre alla possibilità di essere ascoltati in merito.

Qualora fosse difficile esprimere il proprio parere davanti ad un giudice, per esempio, la legge stabilisce che il ragazzo possa chiedere di essere assistito da una persona che lo aiuti ad esprimere meglio il suo pensiero.

La Convenzione di Strasburgo, dunque, lega il diritto di essere informato alla necessità di affiancare al minore una figura, o un organismo, opportunamente scelti e competenti, che possano dare efficace espressione a tale diritto: il “rappresentante”.

Il rappresentante deve svolgere determinati compiti, tra cui: dare al minore tutte le informazioni che gli sono necessarie, spiegargli che tipo di conseguenze possono avere i suoi atti e farsi portavoce delle opinioni del minore presso il giudice.

32 Sull’ascolto nella Convenzione di Strasburgo, si veda G. Magno, Il minore come soggetto processuale, pag. 24 e ss.

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La libertà di opinione del fanciullo è anche oggetto di tutela per opera della Carta di Nizza, del 7 dicembre 2000, il cui art. 24, par. 1, prevede che “I bambini hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere. Essi possono esprimere liberamente la propria opinione; questa viene presa in considerazione sulle questioni che li riguardano in funzione della loro età e della loro maturità”. I principi sopra indicati sono stati consacrati anche nel diritto dell'Unione Europea. In particolare, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, entrata in vigore il 1.12.2009, all’art. 24 prevede che “in tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente”.

Ancora una volta, come si vede, la tutela dei minori, e la promozione dei loro interessi, rappresenta una delle grandi sfide che la società contemporanea rivolge non solo alla regolazione giuridica dei singoli Stati ma, in particolar modo, a tutti gli interventi della sfera pubblica33.

2.2. La direttiva 2012/29/UE: rafforzamento del sistema di garanzie

per il testimone vulnerabile

Con il recente d.lg. n. 212/2015, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale ed entrato in vigore il 20 gennaio 201634, il nostro legislatore ha attuato la direttiva 2012/29/UE

33 Cfr. J. Goldstein – A. Freud – A. J. Solnit – S. Goldstein, In the Best Interests of the Child, New

York, 1986, pp. 3-6.

34 Si tratta del d.lg. 15 dicembre 2015, n. 212, riguardante l'“Attuazione della direttiva 2012/29/UE

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del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato35 (la quale sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI, relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale, peraltro mai attuata dall’ Italia)36.

In questo modo, oltre alla previsione di obblighi informativi in favore delle vittime, è stata anche estesa a tutte le persone offese particolarmente vulnerabili, chiamate a rendere dichiarazioni, la disciplina un tempo riservata a “persone informate sui fatti” e testimoni minorenni in procedimenti per delitti per lo più a connotazione sessuale.

L’ attuazione della direttiva 2012/29/UE costituisce per l’Italia, pertanto, l’occasione per potenziare il sistema di garanzie, di assistenza e di tutela alla persona offesa che versa in una condizione di particolare vulnerabilità, non solo in ambito processuale.

In particolar modo, il legislatore nazionale apporta una modifica rilevante al codice di procedura penale poiché, il d.l.vo 2015/212 inserisce nel codice di procedura penale l’art. 90 quater, con il preciso scopo di stabilire quali siano i criteri che permettono di effettuare la valutazione di vulnerabilità della persona offesa, fra i quali compare, prima degli altri, il fattore età.

In altri termini, si fa desumere l'esigenza di protezione della vittima da caratteristiche “specifiche” anziché accertarla, in concreto, di volta in volta, a prescindere da quelle caratteristiche che qualificano una particolare situazione di vittimizzazione37, dal momento in cui l’art.90-quater dispone che “agli effetti delle disposizioni del presente codice, la condizione di particolare vulnerabilità della persona offesa è desunta, oltre che dall'età e dallo stato di infermità o di deficienza psichica, dal tipo di reato, dalle modalità e circostanze del fatto per cui si procede. Per la valutazione della condizione si tiene conto se il fatto risulta commesso con

di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI”.

35 Ci si riferisce alla direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre

2012, pubblicata in G.U.U.E. L 315/57 del 14 novembre 2012.

36 Cfr. in argomento S. Allegrezza – H. Belluta – M. Gialuz – L. Lupària, Lo scudo e la spada. Esigenze di protezione e poteri delle vittime nel processo penale tra Europa e Italia, Giappichelli,

Torino, 2012.

37 Consultabile su http://www.questionegiustizia.it/articolo/prime-osservazioni-al-decreto-legislativo-sulle-vittime-di-reato_14-01-2016.php

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violenza alla persona o con odio razziale, se è riconducibile ad ambiti di criminalità organizzata o di terrorismo, anche internazionale, o di tratta degli esseri umani, se si caratterizza per finalità di discriminazione, e se la persona offesa è affettivamente, psicologicamente o economicamente dipendente dall'autore del reato”38.

La nozione di vulnerabilità oscilla, quindi, tra la valorizzazione della tipologia del reato subito dal soggetto e l’attenzione per le caratteristiche personali dell’individuo che ha subito il pregiudizio del reato.

Difatti, se da un lato prevale l’aspetto oggettivo, ossia la vulnerabilità risulta connessa al tipo di crimine tout court (modalità dell’azione criminosa, caratteristiche del bene tutelato particolarmente sensibile come la libertà sessuale ecc) dall’altro prevale una considerazione soggettivistica ovverosia la vittima è vulnerabile a prescindere dal tipo di fatto delittuoso che abbia leso i suoi diritti39. Di conseguenza, nella specifica prospettiva minorile, beneficiano ora di maggiori tutele anche quei dichiaranti minorenni che siano vittime del reato e, al contempo, versino in condizione di particolare vulnerabilità, a prescindere dalla fattispecie criminosa per cui si procede.

D'altra parte – secondo il d.l.vo 2015/212 – l'accertamento e la valutazione dello stato di vulnerabilità ha numerose conseguenze rilevanti ai fini processuali:

⁃ sancisce l'irripetibilità delle dichiarazioni della persona offesa vulnerabile che sia stata sentita in sede di incidente probatorio o in dibattimento nel contraddittorio con la persona nei cui confronti le dichiarazioni medesime saranno utilizzate: il ri-esame è ammesso solo – in linea con le altre situazioni “a rischio” già previste dall'art. 190 bis c.p.p. - se riguarda fatti o circostanze diversi o se il giudice o una parte lo ritengono necessario in base a specifiche esigenze.

⁃ la polizia giudiziaria può avvalersi di un esperto nominato dal pubblico ministero per sentire a sommarie informazioni la persona offesa e si assicura che la stessa non abbia contatti con la persona accusata e che non sia chiamata più volte a rendere tali informazioni (aggiunta all'art. 351 comma 1 ter c.p.p.);

⁃ identica previsione è, ovviamente, estesa quando è il pubblico ministero ad acquisire le sommarie informazioni (aggiunta all'art. 362 comma 1 bis c.p.p.);

38 Articolo inserito dall’art. 1, comma 1, D.Lgs. 15 dicembre 2015, n. 212. 39 F. Di Muzio, La nozione di vittima vulnerabile, pag.8

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⁃ il pubblico ministero – anche su richiesta della vittima vulnerabile – o l'accusato possono chiedere che si proceda con incidente probatorio all'assunzione della testimonianza dell'offeso (aggiunta all'art. 392 comma 1 bis c.p.p.);

⁃ il giudice, su istanza della persona offesa vulnerabile o del suo difensore, dispone l'adozione di modalità protette (art. 398 comma 5 quater e sostituzione del comma 4 quater dell'art. 498 c.p.p.).

Queste conseguenze sul piano processuale, circa l'accertamento della vulnerabilità della vittima ai fini della formazione della prova, mostrano tutta la delicatezza del “procedimento” valutativo delle condizioni soggettive della vittima.

Si può affermare che la valutazione dello status di vulnerabilità e del rischio di vittimizzazione secondaria realizzabile in vista dell'esame dibattimentale, sono funzionali all'individuazione di adeguate modalità di protezione che il giudice deve disporre a tutela della genuinità delle dichiarazioni dell'offeso e dei diritti dell'accusato

Indiscutibile merito della direttiva 2012/29/UE è, dunque, quello di delineare, per la persona offesa, una chiara posizione sistematica nelle diverse scansioni del procedimento penale, tanto da essere definita un autentico corpus juris, di matrice europea, dei diritti delle vittime di reato40.

Il provvedimento risulta strutturato in macro-aree, dedicate rispettivamente al diritto della vittima all’informazione (artt. 3-7); al diritto di accedere ai servizi di assistenza (artt. 8-9); al diritto di partecipare al procedimento penale (artt. 10-17); e, infine al diritto di ricevere protezione, in base alle specifiche esigenze di tutela (18-23).

Vengono, inoltre, individuate alcune categorie di vittime che si presume necessitino di particolare attenzione, tra le quali spicca il minore, il cui interesse va sempre considerato preminente e garantito dentro e fuori il del processo41.

Ancora, sulla figura della vittima, il decreto introduce una specifica disposizione (il nuovo comma 2-bis di cui all’art. 90 del Codice di procedura penale) in forza della quale il giudice, in caso di dubbio sull’età, può disporne anche d’ufficio l’apposito

40 E. Verges, Un Corpus Juris des droits des victimes: le droit européen entre synthèse et innovations, in Revue de sciences criminelles et de droit pènal comparé, 2013, pag. 121 s.

41 Si veda l’articolo 24, che detta disposizioni ulteriori a quelle per il caso di vittima minore di anni

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accertamento, analogamente a quanto già previsto per l’incertezza sull’età dell’imputato nel rito minorile. Ove, nonostante la perizia, il dubbio permanga, la minore età della persona offesa viene presunta, ai soli fini processuali, a scopo di garanzia42(ma soltanto ai fini dell’applicazione delle disposizioni processuali). Durante le indagini penali, tutte le audizioni del minore dovrebbero svolgersi in locali adatti allo scopo, essere oggetto di registrazione audiovisiva (art. 23 comma 2 e 3 Direttiva 2012/29/UE) ed essere utilizzabili come prova nel processo, a norma del diritto nazionale (art. 24 Direttiva 2012/29/UE). Il minore avrà anche diritto ad una propria consulenza e rappresentanza legale, persino in nome proprio, nei procedimenti nei quali potrebbe sussistere un conflitto di interessi con i titolari della potestà genitoriale [art. 24 Direttiva (lettera c) 2012/29/UE].

La novella legislativa ha in tal modo ottemperato a quanto prescritto dal legislatore europeo, il cui dichiarato intento è quello di far sì che la vittima diventi un soggetto processuale a tutti gli effetti, consapevole e informato dei propri diritti e poteri ed in grado di gestirli ed esercitarli dentro e fuori la sede processuale43.

In forza dell’ulteriore direttiva 2011/93/UE44, la quale sostituisce la decisione quadro 2004/68/GAI del Consiglio, si è predisposto, in conformità con le disposizioni previste dalla direttiva relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale, un sistema di assistenza e sostegno delle vittime prima, durante e dopo il procedimento penale.

Si è posto l’accento sulle vittime minorenni dei reati di abuso sessuale, sfruttamento sessuale e pornografia infantile, le quali sono considerate vittime particolarmente vulnerabili e in quanto tali, devono essere trattate nel modo più adeguato alla loro situazione.

2.3. La Convenzione di Lanzarote

42 Sul punto si veda http://www.altalex.com/documents/news/2016/01/11/vittime-di-reato

43 M. Cagossi, Nuove prospettive per le vittime di reato nel procedimento penale italiano,

consultabile sul sito https://www.penalecontemporaneo.it/d/4416-nuove-prospettive-per-le-vittime-di-reato-nel-procedimento-penale-italiano

44 Verri A., Contenuto ed effetti (attuali e futuri) della direttiva 2011/93/UE, 2012, in www.penalecontemporaneo.it

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Con l'approvazione della L. 1° ottobre 2012, n. 172 lo Stato italiano ha ratificato "la Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, nonché norme di adeguamento dell'ordinamento interno" che ha lo scopo di rendere più efficace il perseguimento dei colpevoli e la tutela delle vittime.

L'intervento normativo, frutto dell'impegno nazionale assunto in sede europea, introduce nel nostro ordinamento modifiche, non solo alla legge penale sostanziale (art. 4), ma anche di natura processuale (art. 5) che impattano in molteplici ambiti, tra cui le sommarie informazioni testimoniali, le indagini difensive, l'arresto obbligatorio e l'incidente probatorio.

La Convenzione ha lo scopo di prevenire e combattere lo sfruttamento e l'abuso sessuale commesso sui minori, tutelare i diritti dei minori vittime di sfruttamento e abuso sessuale, promuovere la cooperazione nazionale e internazionale contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale a danno dei minori, istituendo altresì un meccanismo di monitoraggio specifico per assicurarne l'attuazione efficace per opera delle Parti. La stipula della Convenzione è finalizzata alla realizzazione di un livello minimo comune di lotta contro lo sfruttamento e l’abuso dei minori senza escludere che ciascuno stato possa continuare a disporre di misure più incisive o restrittive di quelle richieste.

Per l’attuazione della Convenzione si è operato su diversi piani: modificazione del codice penale, al codice di procedura penale e a diverse normative per esempio in materia di misure di prevenzione, di ordinamento penitenziario, di contrasto alla criminalità mafiosa.

Già il precedente governo aveva dimostrato, con incisive previsioni, sensibilità verso il tema dei minori e la difesa del loro diritto ad un’infanzia felice e soprattutto senza abusi. I bambini infatti sono troppo spesso vittime di esperienze terribili difficili da superare e che possono minare per sempre il loro equilibrio psicofisico. Il termine “abuso” inizialmente usato per indicare le percosse sul bambino, si è ampliato per definire un comportamento volontario o involontario da parte degli adulti che ne danneggiano in modo grave le potenzialità evolutive.

Nell'art. 5 della L. 172/2012 sono racchiuse non trascurabili novità a tutela del minore che debba riferire quale persona informata sui fatti in procedimenti aventi

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ad oggetto gravi delitti, nonché, di riflesso, in favore della vittima di reato, atteso che il nostro sistema processual-penalista si caratterizza per trattare la deposizione della persona offesa alla stregua di chi conosce i fatti di causa come potenziale teste45. Il filo conduttore che lega siffatte modificazioni è rappresentato dalla garanzia dell'audizione protetta del minorenne nella fase pre-processuale, quando costui è chiamato a riferire a figure diverse dal giudice in relazione ad illeciti penali che presuppongono lo sfruttamento e l'abuso sessuale. Viene così colmato il gap normativo che sussisteva tra le indagini preliminari e la fase processuale, nella quale sono già presenti disposizioni a tutela del minorenne sia in tema di formazione della prova dibattimentale che nell'incidente probatorio46.

Gli aspetti di maggior rilievo della Convenzione sono costituiti: dall'introduzione di principi generali, tra i quali quello di non discriminazione; dalla previsione di misure, affidate ad autorità specializzate, per la protezione dei minori, nonché di specifici programmi di intervento volti alla tutela e alla assistenza delle vittime; dall’attenzione incentrata alle necessarie modifiche da apportare alle norme penali sostanziali e processuali dei singoli Paesi; dai puntuali riferimenti alla cooperazione internazionale, funzionale al contrasto di taluni reati, sovente connotati da una dimensione transnazionale.

Per quel che riguarda i profili sostanziali, va sottolineato come la Convenzione definisce le condotte di abuso sessuale, di prostituzione minorile, di pedopornografia, di corruzione di minori, di adescamento dei medesimi e detta le regole in materia di giurisdizione dei singoli Stati, occupandosi altresì di sanzioni, circostanze aggravanti e valutazione di precedenti condanne.

Per quel che concerne il versante processuale si prevede (art. 30) che gli Stati adottino misure legislative o di altro genere per assicurare che le indagini e i procedimenti siano condotti nel migliore interesse del minore e nel rispetto dei suoi

45 P. De Martino, Legge di ratifica della Convenzione di Lanzarote e tutela dei minori vittime del

reato durante le indagini preliminari: brevi considerazioni alla luce della nuova direttiva 2012/29/UE, consultabile sul sito https://www.penalecontemporaneo.it/d/1972-legge-di-ratifica-della-convenzione-di-lanzarote-e-tutela-dei-minori-vittime-del-reato-durante-le-i

46 L'art. 498, comma 4, c.p.p. dispone che "l'esame testimoniale del minorenne è condotto dal

presidente su domande e contestazioni proposte dalle parti. Nell'esame il presidente può avvalersi dell'ausilio di un familiare del minore o di un esperto in psicologia infantile. Il presidente, sentite le parti, se ritiene che l'esame diretto del minore non possa nuocere alla serenità del teste, dispone con ordinanza che la deposizione prosegua nelle forme previste dai commi precedenti. L'ordinanza può essere revocata nel corso dell'esame".

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