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Autobiografia, autofinzione o romanzo?

Nel documento Aldo Nove: forme, generi e temi (pagine 63-68)

Route 66: romanzo di formattazione Storia di un teologo che viveva in un gross market

2.5 Autobiografia, autofinzione o romanzo?

Nel 2010 Aldo Nove pubblica La vita oscena presso Einaudi. Questo libro narra dell’autore, segnata dalla perdita dei genitori, dai vari tentativi di suicidio, dall’esplosione della propria casa, dalla spirale della droga e del sesso estremo. È quindi un’autobiografia, o almeno così ci dice l’autore in alcune interviste. Viene da chiedersi se tutto ciò che è stato scritto dall’autore sia vero e su questo sorgono parecchi dubbi.

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La vita oscena è probabilmente un’autofinzione, ovvero un testo che ha un aspetto

autobiografico, con coincidenze legate alla vita dello scrittore: tuttavia tramite alcune spie, è possibile percepire che la storia raccontata non sia esattamente corrispondente alla realtà dei fatti accaduti. Gli eventi descritti, infatti, sono in parte veri, ma c’è la sensazione che l’autore carichi una parte della narrazione di elementi di finzione:non è comunque possibile stabilirlo con certezza. Raffaele Donnarumma spiega il concetto di autofiction:

Chiarisco allora da subito che per autofiction intendo con prudenza una narrazione in cui, come in un’autobiografia, autore, narratore e protagonista coincidono; ma in cui, come in un romanzo, il protagonista compie atti che l’autore non ha mai compiuto, e ai fatti riconosciuti come empiricamente accaduti si mescolano eventi riconoscibili come non accaduti. Anzi, in molte auto fiction la derivazione autobiografica collutta teatralmente con il romanzesco nelle sue forme più codificate e irrealistiche. 56

In un’intervista, la scrittrice e giornalista Elena Stancanelli chiede a Nove: «Scrivere un’autobiografia significa provare a scrivere un libro nel quale tutto quello che scrivi è vero?»57 Lo scrittore risponde:

Anche un’autobiografia è un romanzo, e quindi partecipa dell’artificio. Quando scrivi metti in gioco un armamentario tecnico che è quello della lingua. Certo, tendi a dire la verità, ma già per il fatto di dirla la stai trasformando. Più che verità, direi sincerità. E precisione. Ho avuto sempre in mente una parola, mentre scrivevo questo libro: precisione. Per questo ho scelto di lavorare con meno cose. Senza effetti speciali.

Alla fine del racconto il protagonista spiega di essersi laureato in filosofia, di aver scritto poesie e racconti, di aver scelto uno pseudonimo per le sue opere, ma anche in questa occasione non dice esplicitamente il proprio nome. Donnarumma afferma che:

Sebbene non ci sia autonominazione, nelle interviste l’autore ha sempre presentato quelle esperienze come proprie, portando verso l’autobiografia ciò che la deriva allucinatoria del racconto trascinerebbe lontano da essa. L’effetto autofinzionale è costruito questa volta non dalle soglie del testo,

56 DONNARUMMA 2014, p. 130. 57STANCANELLI 2010.

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ma dal magma mediatico in cui è immerso, e che include interventi o interviste sulla stampa, in rete e in televisione. 58

Infatti è possibile, con elementi paratestuali, ovvero interviste rilasciate dallo stesso Aldo Nove, identificare il personaggio con lo scrittore. Senza l’aiuto di questi elementi, non è chiaro, fino in fondo, se l’autore e il protagonista coincidano. La realtà e la finzione si mescolano e non è possibile capire che cosa nel testo sia inventato, cosa sia frutto dell’immaginazione sviluppata in seguito all’assunzione di droghe e cosa, invece, sia vero.

Secondo Daniele Giglioli59, la particolarità di questo libro risiede proprio nel fatto che non ha un individuo come protagonista, ma al centro del racconto c’è la vita,espressa in modo impersonale, senza un soggetto, perché quello che traspare è il dolore, la pura sofferenza che riduce l’uomo ad essere un pezzo di carne. Per questo la vita è oscena, ovvero indicibile, perché non può parlare di sé stessa, se non tramite una perdita della propria individualità.

Giglioli aggiunge che «il lettore deve dimenticare molte sue abitudini per leggere questo libro»60, poiché solitamente, in letteratura, il dolore si trasforma in riflessione,

maturità, ponderatezza, mentre nella Vita oscena viene presentato in tutta la sua immoralità e indecenza che fa sprofondare l’uomo nel punto più basso possibile dell’esistenza.

La vita oscena

La lingua e lo stile

Il racconto comincia dall’infanzia del protagonista, ma questa volta non troviamo quasi mai un linguaggio puerile e ingenuo, come accade ad esempio in Amore mio

infinito, perché il punto di vista non è più quello del Nove infantile. Si tratta dello

scrittore che da adulto racconta di sé stesso bambino. Per questo nel testo si trovano alcune riflessioni disincantate, come ad esempio:

Nella vita quotidiana abbiamo tutti bisogno di cose. Ero piccolo ma già sapevo che riempirsi di cose è un modo che usiamo per sentirci il più lontano possibile dal nulla. Per questo le case si riempiono di elettrodomestici e di

58 DONNARUMMA 2014, p. 132. 59 GIGLIOLI 2011.

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lampadari dalle forme più strane da cambiare il più possibile insieme ai divani e alle poltrone e a tutto il resto. Bisogna smuovere tutto, cambiare tappezzeria. Perché la morte è quando tutto resta fermo [VO 9].

La lingua che Nove utilizza nella Vita oscena è cruda e composta per la maggior parte da frasi brevi, dirette, che sembrano avere voglia di trasformarsi in versi poetici; lo scrittore cerca di mettere alla prova la prosa cercando di capire quale sia il suo limite prima di diventare poesia. E questo non si trova solo nella brevità della frase, ma anche nell’uso delle ripetizioni, soprattutto all’inizio del periodo, che caricano il testo di poeticità.

Il dolore insegna.

Il dolore insegna che è inutile.

Il dolore dimostra che è brutto e cattivo.

Che non c’è scampo fuori dall’illusione, dalla distrazione. Il dolore ti inchioda alle cose.

Il dolore è l’unico maestro [VO 33].

Come consuetudine per Nove, i discorsi diretti non sono riportati nel testo tramite la punteggiatura: «Cosa c’è da ridere? mi disse. Mi ricomposi gli dissi niente, ha ragione lei, prendere fuoco due volte di seguito è molto pericoloso pericoloso dottore. Sì, è proprio pericoloso, molto pericoloso, ripeté lui di nuovo muovendo l’indice»[VO 40].

Spesso si incorre in periodi lunghi, i quali vengono inseriti per descrivere al meglio i deliri dopo le assunzioni di droga e i momenti in cui il personaggio ha visioni o sembra perdere totalmente il controllo.

Ero un automa in balia delle mie sensazioni e le mie sensazioni derivavano dalle sostanze che avevo preso per ammazzarmi e quella era forse la morte, mi dissi di nuovo, non una morte che ponesse drasticamente fine a una condizione e ne prospettasse un’altra, magari l’altra per eccellenza e quindi il nulla, ma un gradino ulteriore nella morte fatta a cosa, entità, entrata nella mia carne e nella mia mente, non sapevo se il mio corpo fosse la mia mente, come in preda a un sortilegio mentre la vita, la sua essenza, la sua fabbrica, il suo motore mi spingevano avanti più forte che mai[…] [VO 84].

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Questo periodo continua per circa una pagina di testo, senza nessun punto. Si può notare che rispetto al delirio che coinvolge i personaggi di Superwoobinda, qui viene usata più punteggiatura, soprattutto per quel che riguarda le virgole: tuttavia mancano i punti che permettono di dare respiro al lettore, il quale è investito da un’ondata di pensieri, che lo portano ad uno stato di confusione, rispecchiando la sensazione che in quel momento sta provando il protagonista.

Nove adotta un artificio letterario nel capitolo Diciotto, quando nel testo si preannuncia la tecnica stilistica con cui si descriverà un atto sessuale, cioè tramite la frammentazione. Il rapporto sessuale viene descritto, prima con un elenco delle varie parti del corpo, poi, a seguire,delle azioni sessuali. In questa lunga elencazione anatomica, si accostano termini bassi e volgari con parole del vocabolario scientifico come «efelidi», «utero», «falangi», «iride» [VO 75]. La riduzione dell’atto sessuale ad una lista, in cui ogni elemento è separato dall’altro da una virgola, produce un effetto straniante sul lettore, che con fatica riesce ad arrivare alla fine del periodo, perché il racconto è completamente svuotato di eccitazione e erotismo. Nelle note finali Nove fa presente al lettore che per scrivere questo capitolo ha tratto ispirazione da Io canto il

corpo elettrico di Walt Whitman, e ci tiene a precisare che si è basato sulla traduzione

di Luciano Parinetto, contenuta in Corpo e rivoluzione in Marx. Luciano Parinetto, docente di filosofia morale, con il quale Nove scrisse la propria tesi di laurea, venne molto criticato per le sue posizioni eretiche riguardo Marx e il collegamento con la sessualità repressa, la negazione dei corpi e delle diversità. Con questa citazione, Nove vuole ricordare al lettore come la sessualità sia ancora un tabù nella società contemporanea.

La maggior parte del libro si concentra sugli incontri sessuali del protagonista. Il restante spazio è occupato dai fatti, che Nove narra, ma quasi con reticenza. L’autore non vuole proprio dire tutto ma si tiene qualcosa per sé, forse perché le sue esperienze sono difficili da condividere così apertamente con un ampio pubblico. Così alcuni eventi, che dovrebbero avere una grande rilevanza nel testo e dovrebbero portare ad alcune riflessioni, sono descritti con la massima sintesi, attraverso frasi brevissime, come accade nel caso dell’esplosione della casa.

Accendendo la luce per entrare feci esplodere la casa. Un istante.

68 Era esplosa.

La casa [VO 36].

Sono importanti gli a capo e gli spazi che Nove lascia nel testo. Le frasi molto brevi ricordano i versi liberi, in particolare il« verso-parola»61,che in questo caso è utile per sottolineare la rapidità dell’esplosione. La sequenzialità del verbo esplodere, prima all’imperfetto e poi al trapassato prossimo, sottolinea la velocità dell’evento che avviene in maniera repentina. Il linguaggio viene usato non per descrivere al meglio la propria esperienza, ma solo per informare il lettore senza troppa soggettività.

Il libro è suddiviso in ventotto capitoli, che sono tutti brevi e non hanno titolo, sono semplicemente indicati con dei numeri cardinali. Il penultimo capitolo, il

Ventisette, è concentrato in una pagina ed è condensato in frasi brevi. È in queste poche

righe che intuiamo la rinascita della vita del protagonista, che caduto nel punto più basso possibile dell’esistenza, adesso riesce finalmente a risalire, tornando in superficie. Per esprimere questo senso di risurrezione, Nove come in altre occasioni, ricorre ad una forma che ricorda la poesia.

Svenni.

Da lontano. Dopo. Le sirene dell’ambulanza. La strada.

Le voci indistinte.

Il mio nome. Sentivo dire il mio nome. Qualcosa si rarefaceva.

Qualcosa che incominciava. La mia.

Vita. Dopo di tutto. Dopo di niente [VO 109].

Nel documento Aldo Nove: forme, generi e temi (pagine 63-68)