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Quattordici interviste sul precariato

Nel documento Aldo Nove: forme, generi e temi (pagine 60-63)

Route 66: romanzo di formattazione Storia di un teologo che viveva in un gross market

2.4 Quattordici interviste sul precariato

Nel 2006 esce un nuovo libro di Aldo Nove, pubblicato da Einaudi, dal titolo Mi

chiamo Roberta, ho 40 anni, guadagno 250 euro al mese. Con questo testo, Nove

cambia il suo atteggiamento, poiché utilizza un altro genere che è quello del reportage, dove si abbandonano l’ironia, l’immaginazione e la finzione, per far spazio alla realtà dell’inchiesta giornalistica. Nove denuncia la condizione dei precari della società contemporanea e gli effetti che ha prodotto il capitalismo attraverso la voce reale degli intervistati, abbandonando i monologhi che contraddistinguevano le sue prime opere.

Come spiega Raffaele Donnarumma, Mi chiamo Roberta è «un esperimento eccezionale nella carriera di Nove»54. Ciò che viene evidenziato, fin dalla quarta di copertina del libro che recita «Questa non è fiction. È realtà.», è il fatto che Aldo Nove vuole parlare di storie vere. Non c’è il sarcasmo: mentre con Superwoobinda e Puerto

Plata Market l’autore rinuncia alla propria voce lasciando un ampio spazio all’ironia, in Mi chiamo Roberta Aldo Nove si espone in prima persona come intervistatore e allo

stesso tempo pone delle riflessioni. «Si scopre così un’evidente adesione alle storie: sono attribuite ai parlanti, prima che la realtà di persone esistenti[…] dignità e pienezza di personaggi portatori di un’esperienza non falsificata»55. Aldo Nove, con Mi chiamo Roberta, lascia da parte il grottesco e l’ironia appartenenti al suo modo di scrivere da

cannibale, per dare spazio alla realtà e alla denuncia sociale.

Mi chiamo Roberta, ho 40 anni, guadagno 250 euro al mese…

L’opera è un’inchiesta sulla situazione socio-economica dei giovani precari italiani degli anni 2000, vittime del capitalismo. Nel risvolto di copertina, il libro è definito un docudrama: docu perché è un reportage; drama poiché si basa sulla ricostruzione di vicende reali presentate in modo drammatizzato. L’obiettivo è quello di denunciare apertamente queste condizioni, sotto forma di quattordici interviste raccolte dallo stesso Nove sul quotidiano Liberazione, precedute da un commento dell’autore. Lo scrittore utilizza la letteratura per mettere a nudo la realtà e soprattutto la verità.

54 DONNARUMMA 2014, p. 80. 55 Ivi, p.81.

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Aldo Nove abbandona la scrittura piena di meraviglia e ingenuità puerile per impugnarne una all’insegna del disincanto, che tratta di storie vere, le quali sono descritte, purtroppo, come ordinarie.

Il libro è diviso in quattordici capitoli, ognuno dei quali è intitolato Storia di seguito dal nome dell’intervistato. Ogni sezione è introdotta da un intervento, o meglio uno spazio, ricavato dall’autore per spiegare il proprio punto di vista e fornire degli spunti al lettore per alcune riflessioni. Nove pone delle domande, spesso provocatorie, agli intervistati, che provengono da classi sociali e luoghi geografici diversi. La cornice di tutto il testo è il mercato del lavoro italiano del 2006, già da qualche anno influenzato dalla Legge Biagi.

Il linguaggio usato da Nove nell’intervista è giornalistico con espressioni tipiche del parlato. Contrariamente alle opere precedenti, in Mi chiamo Roberta si fa uso della punteggiatura. I periodi sono agili, brevi e di facile comprensione, poiché l’obiettivo è un pubblico ampio.

Intertestualità e autocitazioni

Le introduzioni alle interviste rappresentano lo spazio in cui è riversata l’opinione dell’autore con richiami intertestuali. Infatti è in queste porzioni di testo che Nove cita autori e libri che sono, per lui, di riferimento. I rimandi appartengono a diversi generi: ad esempio, ci sono stralci del libro di autoaiuto di Niki Chesworth, Saper fare di sé un

uomo ricco, accanto a richiami musicali, come nel caso della canzone di Jovanotti, Penso positivo. Nella Storia di Alessandra, Nove usa le parole di Romolo Bugaro

riprese dal romanzo La buona e la brava gente della nazione del 1998, per descrivere la situazione dell’Italia contemporanea. Ci sono poi citazioni filosofiche di Hegel, di Kierkegaard, ma anche di Regis Debray con Vita e morte dell’immagine. Il tessuto intertestuale include anche riferimenti al teatro, come a Heiner Müller, drammaturgo che riadattò il Filottete di Sofocle; alla saggistica socioeconomica, come nel caso della citazione a Zygmunt Bauman, con il suo Dentro la globalizzazione. Le conseguenze

sulle persone. Inoltre, uno egli autori più citati è senza dubbio Nanni Balestrini, a cui è

dedicato il libro: «A Nanni, ai suoi bellissimi 70 anni».

Nello spazio riservato allo scrittore, oltre a tutti questi riferimenti, ci sono molte autocitazioni oltre alla ripresa di alcuni elementi autobiografici. È molto interessante un

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sonetto, posto nell’introduzione della Storia di Alessandra, che descrive la situazione dei poeti di oggi.

Sono un ragazzo di cinquantun’ anni, Vivo con la mia mamma e il mio papà. Ho molti libri editi da Vanni

Scheiwiller. Io, poeta di città.

Sono disoccupato. Laureato In storia dell’economia politica. Stimo Montale, detesto Battiato. Di Pindaro amo la seconda Pitica.

Ho vinto il premio «Versi a Pordenone ’92», e al «Città di Torino

’99» ho avuto una menzione

Per un sonetto su Sant’Agostino. Ho due by-pass. Vivo con la pensione

Di mio papà. Possiedo un motorino. [MCR 15].

Questo sonetto, che vuole rispecchiare un’intera generazione di poeti, è un’autocitazione: infatti, la poesia si trova nella raccolta, pubblicata nel 2001 assieme a Raul Montanari e Tiziano Scarpa, Nelle galassie oggi come oggi con il titolo della canzone dei Nirvana, Smells like teen spirit. Il sonetto presenta uno schema di rime alternate e illustra ironicamente la condizione del poeta ai giorni nostri. Tra la versione del sonetto pubblicata nella raccolta e quella che si trova in Mi chiamo Roberta, ho 40

anni, guadagno 250 euro al mese ci sono delle varianti che sono state operate da Nove

probabilmente in linea con il cambio della sua poetica, ovvero il distacco dalla scrittura cannibale per un approccio meno antiletterario. Viene cambiata la punteggiatura al quinto verso: dopo «Sono disoccupato», viene messo un punto anziché una virgola, probabilmente per evidenziare la parola successiva con una lettera maiuscola, «Laureato» che è importante per il testo, dato che la condizione di precarietà non esclude nessuno, nemmeno chi è in possesso di un titolo di studio elevato. Inoltre c’è un

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cambiamento nell’ottavo verso: l’abbreviazione «2ª» [GOO 19] è sciolta nella parola «seconda».

Una generazione senza futuro

La Storia di Roberta, posta all’incipit del libro, comincia con una frase che ci fa capire quanto la visione dell’autore sia mutata rispetto a Superwoobinda:

Quando ho scritto Superwoobinda, dieci anni fa, volevo raccontare una generazione di trentenni privi di futuro. Dieci anni sono passati. Il futuro, lo abbiamo vissuto sulla nostra pelle, non è ancora arrivato. Siamo ancora tutti, nostro malgrado, dei bambini. [MCR 3].

Possiamo notare un collegamento con Superwoobinda per quello che riguarda la struttura del titolo Mi chiamo Roberta, ho 40 anni, guadagno 250 euro al mese, che riecheggia lo schema delle presentazioni dei personaggi delle storie senza lieto fine, come ad esempio «Mi chiamo Andrea Garano. Ho ventitre anni e possiedo uno stereo.» [SW 315]. Tuttavia, rispetto ai personaggi di Superwoobinda, in questo libro si parla di persone vere, alle quali la società ha impedito di crescere e di avere una propria evoluzione, costringendo questa generazione, che dieci anni prima Nove aveva descritto come mediocre e colpevole della propria infantilità, a non progredire. Così gli adulti sono costretti a rimanere bambini per colpa della società che li esclude dal mondo lavorativo, condannandoli ad una precarietà occupazionale che si trasforma in instabilità emotiva. Mentre in Superwoobinda l’obiettivo dell’opera non era esplicito, qui ce ne è uno ben preciso: Nove vuole informare su ciò che accade in Italia a questa generazione senza futuro, costituita da trentenni mantenuti dai genitori e da giovani costretti ad accettare lavori sottopagati. Rispetto alle opere precedenti, lo scrittore cerca di ridurre il più possibile la matrice antiletteraria del suo stile, per abbracciarne una che sia più adatta al grande pubblico.

Nel documento Aldo Nove: forme, generi e temi (pagine 60-63)