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La precarietà lavorativa

Nel documento Aldo Nove: forme, generi e temi (pagine 97-100)

Route 66: romanzo di formattazione Storia di un teologo che viveva in un gross market

3.4 La precarietà lavorativa

La letteratura aziendale, o del lavoro, conosce fortuna fra gli anni novanta del Novecento fino al secondo decennio del ventunesimo secolo e si sviluppa con diversi generi: romanzo, inchiesta, racconto, reportage. Silvia Contarini afferma:

Si nota nell’attuale produzione letteraria, in specie quella che tratta del mondo del lavoro e dell’economia, una predominanza di forme inclini al recupero della testimonianza, del documento, dell’intervista […], dell’inchiesta […], del reportage letterario, spurio o romanzato che lo si voglia definire, dell’incrocio tra giornalismo e narrativa di invenzione […]87

Gli scrittori contemporanei sentono il bisogno di fare i conti con il presente e di rappresentare la vita reale, tentando di cogliere e descrivere le trasformazioni del mondo lavorativo odierno con le conseguenti ripercussioni sull’individuo. Come sostiene Claudio Panella:

Il racconto delle trasformazioni del mercato del lavoro è al centro di un ampio insieme di scritture letterarie, paraletterarie e saggistiche apparse nell’ultimo decennio. L’analisi di tali opere può risultare di particolare

86 POLICASTRO 2020. 87 CONTARINI 2010, p.10.

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interesse, poiché molti di questi testi hanno evidentemente contribuito al “ritorno al reale” e al “ritorno all’Italia” della nostra narrativa.88

Con il libro Mi chiamo Roberta, Nove denuncia apertamente la precarietà lavorativa e la conseguente instabilità della vita dei giovani italiani disoccupati contemporanei alla ricerca continua di un lavoro, che possa fornire una solida base d’appoggio per creare un futuro. Il cambiamento del punto di vista dell’autore è evidente: mentre nel 1996 in Woobinda si narrava di adulti che non avevano intenzione di crescere, dopo dieci anni, nel 2006, con Mi chiamo Roberta, ci sono storie appartenenti ad una generazione composta da uomini e donne senza un futuro. La colpa non è della generazione stessa, ma della società, la quale ha impedito ai giovani un’evoluzione, costringendoli ad una regressione, tale che gli adulti sono obbligati, anzitutto dal punto di vista economico, a rimanere bambini. Da questa visione della società contemporanea si sviluppano le storie dei protagonisti delle pagine di Mi chiamo

Roberta, esclusi dall’ambiente di lavoro e interpellati solo in casi di convenienza, al fine

di sfruttamento. Alcune delle persone intervistate da Nove dipendono dai propri genitori e non hanno la possibilità di realizzare progetti con le proprie forze, come avere una casa propria o formare una famiglia. Interessante a tal proposito è l’analogia della precarietà con le sabbie mobili che viene citata da Luigi nella propria storia: «Mi sembra che noi giovani siamo tutti bloccati, immersi dentro delle sabbie mobili.[…] Ci sei invischiato dentro, e affondi lentamente.» [MCR 157]. Le sabbie mobili fanno sprofondare chiunque ci si ritrovi dentro, così come la precarietà assorbe gli individui nella loro totalità, perché non avere un lavoro stabile significa non riuscire ad avere un’esistenza solida. Luigi spiega che tutto è collegato,come una catena: «Ti faccio un esempio. Per lavorare ho bisogno di un computer. L’anno scorso mi si è rotto. Per comprarne uno a rate devo presentare la mia busta paga. Ma io […] non ho una busta paga. Se non posso comprare un computer a rate, figuriamoci una casa» [MCR 157].

Le offerte di lavoro disponibili sono poche e le domande, invece, sono in continua crescita ed è così,come prevedono le leggi del mercato, che nasce «il vero mostro del nostro tempo» [MCR 82], ovvero l’agenzia interinale. Si tratta di un luogo in cui si vende il lavoro, come se questo fosse un genere di lusso che è possibile acquistare. Inoltre Nove cita anche dei casi in Polonia, in cui il lavoro viene messo all’asta e viene assunto chi è disposto ad avere una retribuzione più bassa. I giovani, pur di lavorare,

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sono messi nella condizione di accettare delle occupazioni mal retribuite, con contratti a tempo determinato di pochi mesi che non consentono una situazione stabile tale da poter lasciare la casa dei genitori e averne una propria. Nove vuole difendere questi individui, etichettati come bamboccioni, ovvero incapaci di badare a sé stessi, quando in realtà l’ostacolo alla realizzazione di un futuro è rappresentato dalla società.

Inoltre il mondo del lavoro contemporaneo è segnato da rapporti retrogradi, che sono definiti da Nove medievali, basati su un’organizzazione aziendale gerarchica, a causa di cui chi ha una posizione inferiore non ha la libertà di potersi confrontare personalmente con i superiori. Per questo esistono le public relation, spesso abbreviate

PR, ovvero l’insieme delle teorie e delle pratiche che si occupano di mettere in

comunicazione persone, aziende ed istituzioni. Nove riporta come esempio la casa editrice nelle parole di Leonardo: «I tentativi di comunicazione con alcuni uffici stampa delle realtà editoriali molto grosse cadono puntualmente nel vuoto. Non ti dicono neppure di no. Semplicemente non esisti»[MCR 73]. Tuttavia Leonardo si chiede se sia meglio definire i lavoratori di oggi vittime o carnefici di questi comportamenti, in quanto di certo subiscono le strumentalizzazioni imposte dalle grandi aziende, ma allo stesso tempo sono condiscendenti alla situazione, non si ribellano né protestano perché hanno paura delle ripercussioni, come ad esempio licenziamenti, così preferiscono non rischiare e vivere nell’arrendevolezza. In fin dei conti i giovani di oggi si sono abituati a ciò che accade nel mondo del lavoro e per questo non credono sia necessaria una reazione. Gli adulti contemporanei si sono semplicemente adattati a quello che la società ha imposto. Nove è turbato da questo atteggiamento:

Hegel era terrorizzato dall’«abitudine». Qualcosa di simile a quello che Kierkeegard definiva «ripetizione», e null’altro era ed è che l’impasse in cui la storia e il quotidiano si incontrano in una morsa fatale, dove non accade più nulla. Oppure accade, ma l’abitudine non ce lo fa vedere. Diventa tutto, appunto, «normale». [MCR 151].

Anche nelle parole di Matteo, protagonista di Amore mio infinito, c’è un atteggiamento di rassegnazione e un senso di adattamento alla realtà: il ragazzo, ormai adulto e laureato in filosofia, vende vasche per pescherie, un lavoro completamente diverso da quello per cui ha studiato. Matteo ha svolto diverse mansioni, oscillando per qualche anno fra la disoccupazione e la precarietà lavorativa. Già da studente, il protagonista di Amore mio infinito si reca presso un’agenzia di lavoro per cercare

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un’occupazione con cui pagare una parte dei suoi studi e, fra le varie proposte bizzarre, accetta di fare il badante ad un vecchio, ex nazista, pervertito e goloso di dolciumi. Poiché Matteo è orfano di padre e madre, la sua vita non può dipendere dai genitori, ma deve contare su un lavoro che possa sostenerlo economicamente; tuttavia questa mansione, poco retribuita, non richiede una particolare competenza. Matteo dipende dalla persona anziana a cui fa da badante e in effetti quando il vecchio muore il ragazzo si trova nuovamente disoccupato. Il giorno stesso della sua laurea, il ragazzo di Amore

mio infinito assaggia per la prima volta il mondo del lavoro con un titolo di studio e

questa esperienza gli lascia decisamente un sapore amaro in bocca. Dopo aver letto un annuncio in cui si ricercavano neolaureati per svolgere un lavoro imprenditoriale, Matteo decide di tentare un colloquio. Una volta arrivato sul posto, il ragazzo scopre che il lavoro in questione consiste nella vendita di creme cosmetiche porta a porta. Le parole deluse del giovane Matteo si intrecciano a quelle pronunciate durante la discussione della tesi di laurea in filosofia riguardanti l’origine dell’uomo sulla Terra e la moralità. Nove tenta di condensare in poche pagine l’entrata di un giovane neolaureato, pieno di buoni propositi, nel il mondo del lavoro e la conseguente delusione che viene dal comprendere che tutto il sapere accumulato durante il lungo corso di studi non gli sarà utile perché i giovani devono adattarsi a ciò che la società dei consumi impone. È necessario, quindi, accettare il fatto che per sopravvivere e avere uno stipendio bisogna adeguarsi a qualsiasi tipo di lavoro, anche se completamente diverso da quello che si è sognato. E infatti, come ho già detto, Matteo finisce a vendere vasche per il pesce. Questa occupazione non era di certo quella desiderata da Matteo, ma la accetta, poiché gli permette la sopravvivenza; però nelle parole del ragazzo, che pure si adatta alla situazione, c’è un senso di disincanto e delusione.

Nel documento Aldo Nove: forme, generi e temi (pagine 97-100)