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Il senso della meraviglia si perde con l’età

Nel documento Aldo Nove: forme, generi e temi (pagine 92-97)

Route 66: romanzo di formattazione Storia di un teologo che viveva in un gross market

3.3 Il senso della meraviglia si perde con l’età

Mi chiamo Matteo. Ho quasi ventotto anni. Penso. Vorrei che ci fossero delle macchinette per tornare nell’utero, come quelle per farsi fotografie per la carta d’identità, tu ti siedi inserisci i soldi e torni nell’utero, sei dentro tua madre e per cinque minuti devi ancora nascere, non hai la minima idea di dover pagare l’affitto[AMI 133].

Così scrive Nove nell’ultimo capitolo di Amore mio infinito, quando Matteo, dopo aver ripercorso la propria infanzia e adolescenza, narra del presente. Il protagonista ha nostalgia per l’età infantile, quel periodo in cui dominano l’ingenuità, il candore e la meraviglia per il mondo, che vengono spazzate via, man mano con la crescita, fino a quando si acquisisce la consapevolezza di non essere più bambini, ed è a quel punto che tutto ciò che rimane non è altro che l’amarezza di non poter provare più quelle emozioni, ma solamente disincanto e grande senso di responsabilità. Anche Maria Montessori definiva il periodo di sviluppo da zero a tre anni, età dell’oro.84 In questo

periodo, infatti, il bambino non deve pensare ad altro che il piacere della scoperta ed è la madre che si occupa del resto. Matteo parla addirittura di una condizione fetale, che è caratterizzata da un’assenza totale di vuoti, in quanto il feto è contenuto nel corpo della madre. Come scrive Maria Antonella Galanti in Smarrimenti del sé:

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La condizione fetale è caratterizzata dall’assenza di discontinuità d’esistenza. Non vengono contattati il vuoto né la mancanza, non viene sperimentata l’attesa, non esiste lo spazio di sospensione che rende possibile il formarsi del desiderio nella sua inafferrabile ambiguità fra passato, la nostalgia per ciò che il tempo ci ha rapito e il futuro.85

Matteo ha necessità di tornare a quella condizione di pienezza dell’esistenza, ora che è entrato a contatto con il mondo adulto, pieno di responsabilità e mancanze.

Quando si assume la consapevolezza di non essere più bambini, scatta automaticamente la fine dei sogni e della fantasia. Perché, secondo Nove, gli adulti non hanno spazio per distrazioni e devono essere seri e tristi, ma soprattutto non possono sviluppare la propria immaginazione. Nella Più grande balena morta della Lombardia, Nove tenta di descrivere le sensazioni di un bambino che avverte la propria crescita, acquisendo la consapevolezza che, tra poco, quando entrerà nell’età della responsabilità e dell’insicurezza, non ci sarà alcun spazio per la fantasia e il divertimento.

Siccome ero un bambino ho chiesto a mio padre cinquecento lire per andare dall’uomo che leggeva l’Unità e accendere la giostra per salirci, sopra. […] mi divertivo poi ho visto dei bambini di cinque o sei anni che passavano con i loro genitori e mi indicavano e ridevano perché ero troppo vecchio per quella giostra e in quel momento su quella giostra ho capito cosa significa essere un bambino anziano rispetto a quelli che sono nati qualche anno dopo di te […] tu stai cambiando non sei più un bambino, al cento per cento. [GBML 165].

Non per nulla, il mondo dei robot, descritto in Zero, può essere visto solo dai bambini, grazie alla loro ingenuità e alla loro immaginazione.

Il mondo vero dei robot basta farselo raccontare dai bambini che hanno avuto la febbre a più di trentotto gradi prima di dormire[…] i robot quando sono invocati dai bambini li raccolgono e li trasportano nel loro mondo meraviglioso [ZR 22].

Tutti i testi che hanno come protagonista un bambino sono narrati con un punto di vista infantile, che permette a Nove di abbandonarsi all’ingenuità e alla capacità di meravigliarsi, sviluppando la propria immaginazione e caricando la narrazione di elementi fantastici. La capacità di stupirsi di fronte alle piccole cose è quello che manca

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agli adulti. I bambini non stanno troppo a pensare alle questioni della vita: semplicemente, vivono. Nove cerca di descrivere come un bambino veda il mondo degli adulti: severo e triste, pieno di valutazioni e obiezioni mentali, ma allo stesso tempo vuoto e intriso di solitudine. I grandi non possono fare a meno di guardare il telegiornale, «come una fiaba che non finisce mai» [AMI 38], si caricano di pensieri e idee che cambiano in continuazione. Mentre i bambini pensano semplicemente a come evitare la scuola e al fatto di essere vivi. Matteo, protagonista di Amore mio infinito, spiega, nella sua preadolescenza, di voler crescere certamente, ma solamente per il fatto che potrà guidare, perché per il resto, quando osserva i suoi genitori, prova un sentimento di pena e tristezza.

Nelle opere di Nove, i rapporti fra adulti e bambini sono, d’altra parte, segnati dall’incomunicabilità. I grandi certamente sono stati piccoli, ma hanno dimenticato tutto quello che significa essere un bambino e si sono abituati alla maggiore età.

Per questo bambini e adulti si guardano come appena arrivati da diverse astronavi sullo stesso pianeta lontano da dove assieme erano partiti nascendo in differenti momenti da soli sufficienti a creare lo scarto fra i loro mondi che non si incontrano mai. [GBML 82].

I bambini vivono in un mondo fatto di immaginazione e fantasia, poco comprensibile agli adulti. Così accade che Anto, protagonista della Più grande balena

morta della Lombardia, non riesca a dormire, perché vede Toni Negri che lo spia dalla

finestra e ne è terrorizzato, ma i genitori non riescono a capire quanto sia impaurito dalla situazione, perché sono troppo grandi per comprendere l’immaginazione di un bambino e allora rispondono al figlio semplicemente di tornarsene a letto. A volte la difficoltà di comunicazione fra i due mondi è tale che gli adulti devono ricorrere a storie inventate per cercare di spiegare ai propri figli i comportamenti che devono seguire per essere dei bravi bambini, come nel caso della madre di Anto, la quale racconta al bambino che, se non smetterà di fare la pipì a letto, lo darà, vivo, in pasto ad un topo. In questo caso ci si trova di fronte ad un adulto che tenta di usare la fantasia, ma in modonegativo, semplicemente per imporre al bambino qualcosa che con altre parole non riuscirebbe a fargli intendere. D’altra parte anche i bambini non comprendono appieno il mondo degli adulti: alla storia raccontata dalla madre, Anto reagisce mostrando paura, giurando che non urinerà più a letto, poiché la madre, essendo adulta e seria, dice solamente la verità e anzi, la ringrazia per essere una madre moderna. Il

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termine moderna è usato da Nove in una forma ironica, poiché la madre, raccontando questa storiella al figlio, non fa altro che alimentare le paure del figlio minacciandolo. È significativo il racconto Quella volta che Pelé è uscito dal mio disco bianco e si è

nascosto in cucina, ma mia madre diceva di no, diceva che io ero ipnotizzato!. Come

suggerisce il titolo, infatti, Anto vede il calciatore Pelé uscire da un disco per andare a palleggiare in cucina. La madre, naturalmente non crede alle parole del bambino, anzi crede che il figlio sia ipnotizzato dal giradischi. In più occasioni Nove utilizza il verbo ipnotizzare: gli adulti vedono i bambini come alienati e viceversa. Questo perché alla base c’è un’incomprensione reciproca che inizia nella diversa concezione di meraviglia e di immaginazione. Successivamente nel racconto:

[…]si è sentito odore di piccolo giocatore morto. Mio padre ha controllato sotto il mobile della televisione e c’era Pelé morto piccolo abbracciato al suo pallone […]mio padre lo ha buttato nella spazzatura mia madre ha detto povero Pelé ma la sera mia madre e mio padre si sono dimenticati si tutto perché era una storia da bambini ed essi ormai avevano più di venticinque anni a testa. [GBML 134].

Gli adulti non comprendono il mondo dei bambini perché non hanno sviluppato l’immaginazione che avevano da piccoli, la quale si è annullata, non appena entrati nell’età matura; così, quando si addentrano nella fantasia infantile, fingono di essere capaci di sognare ad occhi aperti, ma si dimenticano tutto subito, perché quello che fa parte dell’universo dei bambini è considerato una stupidaggine a confronto della vita con cui devono fare i conti ogni giorno. È importante però sottolineare dove, nel racconto, viene ritrovato Pelé. Infatti, la proiezione immaginaria del calciatore viene rinvenuta morta proprio in corrispondenza di quell’oggetto che ipnotizza gli adulti ogni giorno, ovvero sotto il mobile del televisore.

Anche nel romanzo di San Francesco, la madre di Piccardo, Giovanna, pur essendo inserita nel contesto medievale, ha un comportamento simile a quello della madre di Anto. In effetti più volte il figlio incuriosito chiede alla madre spiegazioni, ma la donna, non sapendo esattamente che parole utilizzare, talvolta anche per il fatto che nemmeno lei è in grado di dare una risposta, si limita a coinvolgere in distrazioni il bambino, eludendo così i suoi pensieri.

“Gesù aveva rinnegato la Madonna e San Giuseppe?” “No.”

96 “E allora?”

Allora Giovanna mandava Piccardo a giocare. [TLM 90].

Il punto di vista di Piccardo è quello del bambino ingenuo, capace di meravigliarsi per le cose semplici della vita; perciò, per esempio, non riesce a comprendere perché lo zio rappresenti un disonore per la famiglia e perché sia considerato un pazzo. San Francesco è diventato santo spogliandosi di tutti i suoi beni, rimanendo nudo, in una sorta di inselvatichimento che lo ha portato ad essere libero da qualsiasi tipo di vincolo, anche con il mondo adulto. San Francesco ha, infatti, la capacità di meravigliarsi come un bambino, di pensare semplicemente a vivere; inoltre ha fantasia ed è per questo che agli occhi degli adulti talvolta appare come un pazzo. Il santo

aveva la stessa forza che hanno i bambini, quella volontà di onorare la vita ogni istante, semplicemente perché è vita, e c’è così la inventi. […] come quando hai undici anni e un intero pomeriggio a tua disposizione, e quel pomeriggio equivale a decine, decine di vite d’adulto, perché è un pomeriggio puro, completamente aperto, e non subisce barriere, è un pomeriggio intero, per davvero. [TLM 261].

Lo zio Francesco, ad esempio, per spiegare il male al nipote, fa finta di essere un lupo, e come farebbe un bambino, si mette a quattro zampe, ululando e chiedendo al nipote: «Chi sono?» [TLM 262]. Il piccolo Piccardo comprende quello che lo zio sta cercando di spiegare: il male è quando si fa finta di essere altro da ciò che si è. I due riescono a conversare di grandi temi della vita, come il male, il demonio, Dio, usando la fantasia e l’immaginazione. San Francesco riesce a diventare un santo, anche perché, secondo Nove, è riuscito a compiere un processo di infantilizzazione, a tagliare i contatti con il mondo adulto, con i beni materiali, con il denaro e a vivere semplicemente la vita per quella che è, senza troppi pensieri e dedicandosi alla comunicazione con Dio.

Da autore di testi ironici e violenti, Nove passa a narrare il mondo attraverso gli occhi di un bambino: la società è cambiata e adesso lo scrittore abbandona totalmente il sarcasmo. In un’intervista con Gilda Policastro lo scrittore afferma:

In Woobinda c'era semplicemente la ricerca di aderire all'incombente "neuromagma" (titolo di un bellissimo libro di Bifo) espressione di un rincretinimento generale che poi, decennio dopo decennio, si è amplificato fino al rumore bianco, a un rincoglionimento massivo che credo

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richiederebbe un'ulteriore trasformazione linguistica. In più, un fattore psicologico: a metà degli anni Novanta sentivo ancora un margine di sarcasmo, a tratti anche, scendendo di un paio di ottave (prendo in prestito dal linguaggio musicale), di ironia. Oggi non trovo che ci sia più niente da ridere. L'imbarbarimento ha superato il livello (per me) di tollerabilità e non voglio più parlarne (per ora).86

Per Nove la questione si fa seria: l’estremizzazione del rimbambimento della società descritta in Woobinda si è compiuta. La visione di Aldo Nove è pessimista: il mondo è davvero cambiato e gli adulti vivono nella finzione dell’influenza mediatica con i telegiornali, i talk show, i reality televisivi. Lo scrittore allora dà voce alla parte di sé infantile, capace di meravigliarsi per le piccolezze della vita al fine di ricordare che è quella la parte buona rimasta di noi stessi.

Nel documento Aldo Nove: forme, generi e temi (pagine 92-97)