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5.2 “Consolidamento” dell’identità femminile

5.7. Autocoscienza affettiva e cura delle relazion

Abbiamo detto che il Sessantotto ha aperto uno squarcio sulla soggetti- vità attraverso le pratiche di autocoscienza che in quegli anni hanno comin- ciato a diffondersi in più contesti e a più livelli sociali. Da allora l’interesse

per le dimensioni più intime e affettive della persona è cresciuto sino alla declinazione quasi bulimica dell’oggi in cui non si riesce più a distinguere fra privato e pubblico. Nel bene e nel male questo “spalancare” le porte sul mistero dell’anima, del sesso, delle relazioni (cui hanno dato stura, senza ombra di dubbio, la psicanalisi e i suoi adepti) ha trovato la spinta sociale nei movimenti sessantottini. “Come conquista civile o come segnaletica del politically correct, il linguaggio di oggi è iglio della costellazione controcul- ture/studenti del Sessantotto/donne degli anni Settanta/gay, non meno che di internet e della tv” (Bravo, 2007). Ma non c’è solo la deriva negativa.

La scoperta della soggettività, anche nelle sue pieghe più nascoste, fa il paio con un’altra scoperta (questa sì, squisitamente pedagogica) che è il partire da sé per raccontarsi. L’autobiograismo trova negli anni del- l’“Orda d’oro” il punto di incontro con un’autocoscienza che fa riafiorare l’interiorità, il “mondo privato” (Merleau-Ponty, 1969) di cui ognuno è il solo testimone attendibile. Questa virtuosa commistione fra spinte ri- velatrici del sé attraverso la parola autobiograica e il sentimento di un protagonismo civile che dà voce a quella parola afiora in innumerevoli passaggi delle scritture analizzate. Potremmo dire che è il ilo rosso che le lega tutte. E così, il “sentire” media l’interiorità e si fa farmaco laddove la trasigura in temperanza13.

Rispetto agli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso il mio modo di vedere le cose è molto cambiato. Una rilessione a distanza però non mi sembra inutile. Par- tecipare a quel momento storico ha signiicato per me acquisire nuove capacità, disponibilità e ricchezza nelle relazioni umane. La grande novità sono stati certa- mente i nuovi rapporti fra le donne, che hanno trasformato profondamente il so- ciale e la qualità della vita. Vale la pena comprendere che solo inché siamo ca- paci di pietà, amicizia e amore siamo realmente vivi anche se l’individualismo imperante sembra voglia farli tacere in noi o per lo meno assopirli oppure sotto- porli a varie forme di distorsione.

Come è noto, il concetto di Sé indica tanto una identità corporea quanto un’identità mentale e percettiva (cioè auto-rappresentazionale) del soggetto persona, quanto, anche, una “sostanza” di natura spirituale (De- metrio, 1998, p. 141). Foucault introdusse il concetto di “tecnologie del sé” indicando dispositivi che inducessero il soggetto adulto a trasformare se stesso in soggetto cosciente (autorilessivo) per conseguire due traguardi fra loro interagenti: occuparsi di se stessi (l’epimeleisthai heautou) e il più

13. La temperanza è “calma delle proprie azioni”; lentezza, pudore e contegno riserva- to, è conoscere se stessi. Concede a chi ne ha possesso di apprendere più facilmente qua- lunque argomento. Cfr. il Dialogo “Carmide” di Platone.

noto conosci te stesso (gnothi sauton) di origine delica. Tale educazione di sé obbediva a regole severe e la cura di sé costituiva la condizione neces- saria all’accesso alle tecniche dell’autocoscienza. In particolare la cura di sé era consigliata all’uomo politico che solo occupandosi maggiormente di se stesso poteva comprendere anche le “cose” altrui e governare la polis. Compito dell’adulto è, dunque, mettere ordine dentro di sé laddove due “consiglieri contrari” (il piacere e il dolore) mettono continuamente a re- pentaglio l’unità personale. L’educazione rivolta a se stessi opera, dunque, afinché l’adulto ritrovi, “nel campicello di se stesso” la tranquillità d’a- nimo (Marco Aurelio, Ricordi, libro IV, 3). Con Marco Aurelio, inventore insieme ad Agostino e alle sue Confessioni, del genere letterario “autobio- graico” comincia la tradizione dell’autocoscienza come forma di apprendi- mento da se stessi: e la ripetuta analisi della propria storia di vita diventa l’unico contesto plausibile di vero sviluppo della conoscenza. Dal sé parte lo sguardo verso l’altro, verso il mondo, verso le relazioni.

C’è tutta una fenomenologia pedagogica (introspettiva) da riattraversare alla luce di attenzioni che assumono non più solo l’alter ma il sé a luogo di cambiamento e di relazione.

Lo svelamento del sé e la pratica dell’attenzione per la relazione por- tano a rilettere sulla responsabilità che abbiamo verso il mondo, verso gli altri… Una responsabilità che diventa attitudine…

Un’attitudine che richiede di saper destinare il proprio tempo e la propria atten- zione all’Altro, e divenire capaci di esercitare dificili virtù, come la pazienza, il saper cedere e il saper perdonare, comportamenti che il lessico “progressista” ave- va in me cancellato, ma che con il tempo ho riappreso a considerare.

Forse si può parlare del lascito dell’esigenza di relazioni umane nelle quali la rea- lizzazione di sé comporti anche l’aiuto agli altri.

Sono colpita dalla forza con la quale Papa Francesco ci fa comprendere come noi donne e uomini solo con l’amore per gli altri, per il prossimo, per il pianeta pos- siamo realizzare noi stessi.

La dimensione interpersonale diventa origine ed esito di ogni intenzio- ne esistenziale. Cosa c’è di più pedagogico? Ed echi donmilaniani traspaio- no fra le righe.

Dev’esserci un modo, alcuni intuirono, di realizzare la propria umanità favorendo quella altrui. Si comprese anche come fosse reale ingiustizia la pretesa di fare par- ti uguali fra disuguali.

Innegabile che l’autocoscienza affettiva radichi il suo senso anche nella scoperta del corpo e della sessualità.

La sessualità faceva e fa interamente parte della mia persona, vive e si manife- sta, anche ora che non si esprime con l’atto sessuale. Nel mio modo di guarda- re un quadro, nel dipingere, nella mia ricerca artistica, nel mio modo di vivere la natura e la relazione, la mia pratica della danza; cammino per strada e sento che fa parte interamente di me e mi accompagna, la sessualità è nel mio corpo “vis- suto”.

E quanto, a volte, ne sanno poco gli uomini della sessualità delle donne? Voglia- mo parlare ad esempio dei medici? Di quel luminare che quella volta, io ricovera- ta in ospedale in attesa di essere operata per un banale ibroma uterino, è passa- to nella mia stanza insieme a uno stuolo di universitari tirocinanti ai quali doveva trasmettere il suo “verbo” e con estrema disinvoltura mi comunicò che in corso d’opera avrebbero anche potuto “fare un repulisti” e togliermi l’utero, “tanto or- mai, a 50 anni a cosa mi sarebbe servito?”.

È la svolta dell’autocoscienza femminile: una svolta che recupera ciò che si è perso nella cultura occidentale, ossia il legame fra logos e pathos. La ricomposizione fra tali dimensioni è opera (anche) del processo di auto- coscienza che costella le relazioni in quegli anni. Le rifrazioni sono anche sul piano della relazione educativa. L’agire educativo richiede sempre il soggetto che voglia: dove il volere – “io voglio” – comporta una motiva- zione e la motivazione presuppone un interesse e una scelta, agita in uno spazio di incontro interpersonale, in cui convivono dialetticamente istanze reciproche e a volte in aperto conlitto: coscienza e inconscio, corporeità e razionalità, in un crogiuolo di affetti e di pensieri che coinvolgono educato- re ed educando nella loro interezza.

Fini e valori, in se stessi e nel loro rapporto gerarchico, non sono infat- ti accostabili per pura via razionale, ma solo attraverso la relazione, il rap- porto io-tu, interpellando intuizione e sentimento, autorevolezza e amore, ”cura” e cultura, ragione e passione.

Curare le relazioni signiica inoltre ascoltare e riconoscere il desiderio e il piacere che provengono dal rendere accogliente e piacevole la propria casa e l’ambiente in cui si vive, preparare il pranzo per i propri familiari o per gli amici, anche quan- do suonano al campanello di casa in modo inatteso.

“La vita si comprende con la vita” (Iori, 2009, p. 15). E la vita è rela- zione: coglierne il segreto è maturare la coscienza che il “sapere dell’ani- ma” (Zambrano, 1996) riveste un ruolo importantissimo rispetto al sapere prodotto dalla scienza oggettivante. Il sapere dell’anima si nutre, secondo una prospettiva fenomenologico-esistenziale, di esperienze vissute, e ri- guarda la totalità dell’esistenza ponendo la persona in una apertura radicale alla relazione “Tutto ciò che io so del mondo […] lo so a partire da una

visione mia o da un’esperienza del mondo senza la quale i somboli della scienza non vorrebbero dire nulla” (Merleau-Ponty, 1980, p. 3). La relazio- ne è la via di accesso alla persona e al suo mistero.

Allora si viene in contatto con il segreto della relazione, dimensione che valorizza la persona per quella che è, compresi i suoi più grandi desideri e le sue più nasco- ste potenzialità. Questo è ciò che ho compreso nel tempo e con l’esperienza.

E, attraverso la relazione, i sensi e le forme della sensibilità diventano vie di accesso alla realtà. Come scrive Zambrano “vie d’accesso sì, ma non passivamente, come un cammino che sta qui e il cui invito a essere seguito può essere o non essere accettato; un cammino che è anche la massima esigenza: percorrerlo integralmente e compiutamente deciderà in ogni mo- mento la situazione dell’uomo e la ricapitolazione inale nella quale, in un modo o nell’altro, si condensa tutta la vita” (Zambrano, 2008, p. 150).