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5.2 “Consolidamento” dell’identità femminile

5.3. La scoperta del “corpo”

Ma la costruzione dell’identità femminile non avviene solo attraverso l’alleanza costruita con le madri. E non riguarda solo il comportamento o le attitudini psico-sociali. Essa avviene a partire dalla scoperta del “corpo”. Un corpo inteso come conine fra il “dentro” e il “fuori”, fra il privato e il pubblico, fra l’inconscio e il conscio. È da lì che parte il percorso dell’e- mancipazione e dell’autonomia.

Distanziamento, separazione, riconoscimento del corpo dell’altro sono imprescin- dibili per la costruzione del proprio Sé e della propria autonomia.

Il corpo è il primo vettore di comunicazione dell’essere col mondo. L’attività conoscitiva di ciascun uomo e di ciascuna donna e la loro stessa identità emergono in intima connessione con la singolarità del corpo che li contraddistingue e la loro vicenda personale s’intreccia alla storia di quel corpo. Ogni atto umano rivela che la nostra presenza è anzitutto corporea e che il corpo è la modalità del nostro apparire “Questo organismo, questa realtà carnale, i tratti di questo viso, il senso di questa parola portata da questa voce non sono le espressioni esteriori di un Io trascendentale e na- scosto, ma sono io, così come il mio volto non è un’immagine di me, ma sono io stesso. Nel corpo, infatti, c’è perfetta identità tra essere e apparire, e accettare questa identità è la prima condizione dell’equilibrio” (Galim- berti, 1983, pp. 15-16).

Avrei voluto rimanere sempre piccola e questo probabilmente nascondeva anche la paura di distanziarmi e separarmi da lei. Distanziamento, separazione, riconosci- mento del corpo dell’altro sono imprescindibili per la costruzione del proprio Sé e della propria autonomia.

Il corpo è anche il primo “spazio” di potere esercitato o subìto. Per Foucault (1975) esso è, infatti, il dominio in cui s’inscrivono i rapporti di potere che, proprio attraverso il corpo, si affermano e si riproducono. Le microstorie sono costellate da passaggi che attestano come il Sessantotto sia stata la stagione in cui si sono socialmente “visibilizzati” veri e propri atti di liberazione del corpo della donna. Prende avvio allora un processo di decostruzione di quanto stabilito dall’“ordine sociale”. Lo spiega molto acutamente Galimberti: “se è vero, infatti, che la prima legge che l’u- manità ha conosciuto, quando si è espressa nelle prime società e nel loro successivo sviluppo, è stata la proibizione dell’incesto, ebbene la legge è nata sull’appropriazione del corpo della donna da parte del padre e dei suoi

sostituti, con conseguente sottomissione della pluralità e dell’eterogeneità qualitativa del sensibile a quell’equivalente generale che è il nome del pa- dre” (Galimberti, 1983, pp. 387-388).

In questo quadro, il corpo delle donne poteva risultare asservito alla legge del- la riproduzione come a un sistema di potere ingiusto e molte donne sono giunte a considerare la maternità come un ostacolo alla propria emancipazione e realizza- zione di sé, alla molteplicità delle proprie forme di libertà e di espressione. Da qui possono derivare le scelte di eventi inalizzati a smitizzare l’evento maternità e a mostrarne per lo più gli aspetti di criticità.

L’esclusione della donna dall’“ordine sociale” prende le mosse dall’ini- ziativa originaria del “dominio” perché solo se mantenuta come “corpo-va- lore di scambio” era possibile agli uomini di instaurare relazioni sociali fra loro. Vivere come “esclusa” ha, però, esposto in permanenza la donna alla sopraffazione del maschio, talvolta alla violenza che, prima di essere eco- nomica, politica o sessuale, è stata strutturale: “la struttura dell’esclusione come fondamento dell’ordine” (Galimberti, p. 388). Per una delle autrici l’emancipazione comincia dalla coscientizzazione culturale:

Ricordo due libri fondamentali e complementari Noi e il nostro corpo scritto da un gruppo di donne del collettivo di Boston e, anni più tardi, Shantala, manuale di massaggio infantile.

Il primo, molto dettagliato e divulgativo, non metteva solo in discussione i concet- ti tramandati da una cultura oscurantista nei confronti delle donne, ma, partendo dall’anatomia e dalla isiologia del corpo femminile, aveva ribaltato teorie, luoghi comuni, ponendo l’attenzione su aspetti ancora inesplorati e assolutamente nuovi della nostra sessualità.

Abbiamo riscritto, appropriandocene, anche la teoria. E forse qui avremmo dovu- to fare uno sforzo per cambiare anche le parole.

Ricordo intere sessioni tra donne dove si alternava la lettura del libro e di altri pamphlet provenienti dalla Libreria delle donne, al mettere in comune le nostre esperienze personali.

Scrive sempre Galimberti che questa consapevole riappropriazione non è l’abbandono del solido terreno del sapere e delle sue certezze, ma è la ricostruzione genealogica del signiicato della corporeità per cui oggi siamo tutti immersi nella fase storica della “sida del corpo”, aperta iloso- icamente dal Nietzsche di Così parlò Zarathustra (p. 33), che ha posto le premesse della liberazione del corpo. Il corpo non è mai “neutro” e ci parla del “senso della terra”. Si tratta di una sida che potremo anche educativa- mente perdere (se pensiamo, per esempio, a tutti i modi in cui oggi il corpo

femminile appare disordinatamente investito da tante nuove “iscrizioni” del potere mediatico o sociale: dal tatuaggio alla ricerca di una impossibile perfezione): si muta aspetto per non cambiare lo sguardo su di sé inendo con l’abitare un corpo la cui memoria continua comunque ad essere scissa da come il corpo appare (Gamelli, 2011).

La strada della ricomposizione mente-corpo è stata aperta anche nella consapevolezza del proprio genere che costringe chi educa a tener conto, ormai, nelle pratiche, nei discorsi, della irriducibilità degli aspetti identi- tari. Nascere maschi e femmine signiica venire al mondo con una capa- cità di sguardo “non scambiabile” (Demetrio, 2010; La Cecla, 2010). Ciò signiica per la pedagogia e la didattica declinarsi anche come pedagogia e didattica dell’educazione al rispetto delle differenze di genere (Perla, Agrati, 2018). Tale moto di “liberazione” non si può spiegare, tuttavia, se non lo consideriamo in rapporto al lavorio interiore che operarono le donne in quegli anni. In un Paese quale il nostro ciò volle dire l’avvio di processi di progressivo mutamento della qualità delle relazioni fra persone, dello stesso modo d’essere dei “maschi” e delle “femmine”. È ancora oggi è così, è sempre più così.

Iniziò allora a prendere forma – naturalmente non solo in Italia, e al- trettanto naturalmente a cominciare dagli individui giovani – una sogget- tività nuova all’insegna di due tratti rivoluzionari: da un lato la sostanziale parità tra i generi, tra uomo e donna, e dall’altro la progressiva perdita d’incidenza nella costruzione della soggettività da parte della tradizione, dei contesti familiari. Le società occidentali si avviarono così ad essere ciò che sono oggi: le uniche società del pianeta dove maschi e femmine vanno insieme a scuola, sono educati e abbigliarsi nell’identico modo e possono coltivare ambizioni e programmi di vita assolutamente simili. Sono le uni- che società, quelle occidentali, nelle quali è stata abbracciata quella “sida del corpo” che è destinata a mutare ulteriormente la comunicazione fra i sessi nella direzione delle pari opportunità e del riequilibrio sociale dei poteri.

5.4. Pensiero della differenza: autorità del “femminile” e