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2. Parole fort

2.2. Cinque topoi per cinque microstorie formative

L’impegno nella scrittura autobiograica è stato, dunque, il nostro modo di fare “storia politica”. Un modo per rivolgerci alle future generazioni, perché i valori espressi non vadano perduti. Da quel primo volume sono scaturiti temi di tale rilevanza da sollecitare le nuove scritture.

Le abbiamo raccolte in questo libro. Tuttavia val la pena di richiamare per brevi cenni i motivi dei primi scritti che sono stati prodromici al nuovo testo.

Silvia Vegetti Finzi, che commentò quel lavoro, osservò come l’e- sperienza della maternità giganteggia nella vita delle donne scrittrici: “la raccontano con passione forte che diviene espansione di sé”, come una “esperienza totalizzante, portatrice di un’utopia possibile per se stesse e per la società”3. Una realtà nella nostra attuale società assai problematica,

come scrive Rosa: “Spesso oggi le donne devono rinunciare alla maternità o limitarsi ad avere un solo iglio, perché troppi e insormontabili sono i problemi che derivano dall’avere igli, lavorando, magari senza l’aiuto dei

3. Silvia Vegetti Finzi è intervenuta con una relazione in occasione della presentazio- ne del libro La coda della cometa. Donne di Milano. Storie degli anni Sessanta e Settan- ta, avvenuta presso la Casa della cultura di Milano il 12 dicembre 2013.

genitori. Di fatto la nostra società toglie o limita alla donna il diritto di essere madre! Possiamo considerarlo un progresso?”. La maternità viene espressa come speciicità femminile, che può realizzarsi, come Marina te- stimonia, non soltanto biologicamente, ma con il darsi in quanto insegnan- te ai giovani studenti o agli anziani genitori.

Proprio la dimensione di impegno, volto alla costruzione di un mondo migliore, permea ogni storia. Si può parlare della scoperta della propria forza nel mondo della cultura e del lavoro come della conquista sociale più grande delle donne in quel periodo. Uno speciico potere che le donne han- no continuato a sviluppare e a mettere in campo trasformando la società, il rapporto con gli uomini, con i igli, i propri interessi e professioni, contri- buendo certamente a mutare i rapporti di forza tra le parti in gioco.

Interessante la reinterpretazione del concetto di famiglia, intesa “non come un cappio che stringe intorno al collo di ognuno dei suoi membri, ma luogo e dimensione accogliente che promuove differenze e diversità” (Maria Pia).

Un nuovo interrogativo intorno al concetto di Autorità, contestato negli anni considerati, viene posto da Anna che scriveva nel suo racconto in me- rito ai dubbi sull’educazione da impartire alle sue due iglie in quegli anni in cui si ricercavano nuove forme relazionali, che investivano anche i ruoli genitoriali e parentali:

… non potevo che mettere in discussione anche il mio ruolo di madre. Volevo cambiarlo, volevo inventare insieme alle mie iglie nuovi modi di amore mater- no, più liberi e fondati sul rispetto reciproco. Provenendo da una famiglia autori- taria, le cui pratiche educative consistevano solo in punizioni e in perentori “per- ché sì” e “perché no”, ho proposto il metodo: “parliamone”, di cui avevo bisogno anch’io. Sono caduta nell’eccesso opposto. Le mie iglie, adolescenti, sono diven- tate in fretta abilissime argomentatrici. Con loro ho discusso ogni cosa ino all’e- saurimento psico-isico e mentale. Un po’ me ne rammarico, specie riguardo alla mia seconda iglia, più insicura e bravissima nel “contestarmi”, a cui avrebbe gio- vato una mia maggiore capacità di affermare con decisione, da genitore, le regole.

Le storie riaffermano con forza un altro aspetto, quello della differenza sessuale, che la cultura massmediatica tende spesso ad appiattire, ma che la vita raccontata fa riemergere nella sua naturalità e nei fatti più concreti. Allo stesso tempo queste donne intendono superare la separazione dagli uomini che ha caratterizzato in passato il femminismo, riconoscendo e valorizzando le speciiche differenze, come anche i gender studies4 documentano.

4. In questa sede gli stereotipi di genere rappresentano occasioni di rilessione all’in- terno di una prospettiva educativa che mira allo sviluppo integrale della persona, sia del i-

Nelle storie, inine, si trovavano numerosi spunti di rilessione riguar- danti il rapporto tra mondo pubblico e mondo privato che caratterizzava le relazioni nel periodo storico considerato. Scriveva Giovanna a proposito del suo grande impegno politico di quegli anni: “Intanto il mio privato si faceva sempre più piccino e nascosto. I compagni di partito li sentivo ve- ramente come fratelli, la stanza fumosa della sezione era la mia casa. Un intreccio inestricabile tra pubblico e privato senza distinzioni né conini emozionali. L’impegno pubblico entrava prepotentemente nelle nostre rela- zioni affettive personali e nelle nostre famiglie. Ricordo discussioni, anche forti, che rinsaldavano i rapporti, ma anche quanti affetti si sfasciarono per la tensione che scaturiva dall’appartenenza a questo o a quella formazione politica. Non si riusciva, non riuscivo, a tenere separati i due mondi”.

È emersa così la domanda se non sia stato possibile che, per risponde- re ad un eccessivo prevalere in quegli anni della dimensione pubblica, ci si sia lasciati sopraffare oggi da un’esagerata preoccupazione per la sfera privata. Potrebbe essere una conseguenza dell’individualismo in cui siamo caduti, certamente anche a causa del controllo che esercita il potere eco- nomico sulle nostre vite. Primo disagio della modernità, l’individualismo, verso cui le donne di questo libro continuano a ricercare forme di resisten- za e di risposta.

“Sono Liberaaaaaaaaaaa!” grida Marina, giovane studentessa, tornando a casa, da sola nel cuore della notte dopo una serata con gli amici. A quale forma di libertà si riferisce la giovane di allora? E di quale libertà possia- mo godere oggi? Quale libertà caratterizza le nostre relazioni pubbliche e private o nel mondo del lavoro, le relazioni d’amore, la vita sessuale, l’edu- cazione dei igli in famiglia, degli studenti a scuola?

Su questi temi abbiamo continuato a interrograrci.

E sono “nate” le scritture raccolte in questo nuovo volume.

Si può certamente essere riconoscenti a chi si è speso per il raggiungi- mento di una maggiore libertà, di cui soprattutto in quanto donne possia- mo godere nella vita privata e pubblica: con il proprio marito, ad esempio, oppure nel confronto con le nostre madri e nelle innumerevoli opportunità che si hanno di conoscere il mondo. D’un lato possiamo ammirare oggi la bellissima conidenza che i bambini sanno intrattenere con i propri genitori

glio maschio sia della iglia femmina. Frequentemente per stereotipi culturali di genere ci si rifà ai gender studies che esplorano il signiicato dei generi maschili e femminili. Av- viati negli anni Sessanta negli Stati Uniti, essi rappresentano una prospettiva interessante sul piano sociologico e culturale, perché restituiscono all’identità di genere la sua comples- sità, mentre contribuiscono a superare distinzioni discriminatorie; non sono nati per nega- re la differenza sessuale o per favorire la sovrapposizione dei ruoli. Vedi Giuseppe Mari, Alio Tommasi, 2012, p. 129.

e una libertà nell’esprimere i propri sentimenti, anche da parte dei genitori e in particolare dei padri, forma di libertà un tempo impensabile. E quale responsabilità e bellezza ci riserva la consapevolezza che dal rispecchia- mento nel volto benevolo dell’Altro, in prima istanza quello della madre (Fressoia, 2018), prende forma la soggettività umana.

Allo stesso tempo il conformismo della società contemporanea ci im- pone spesso comportamenti, principi, categorie astratte a cui siamo legati da tempo e a cui consegniamo il nostro pensiero critico, senza entrare più nel merito delle realtà umane e politiche concrete. Veniamo “regolati” da principi normati da leggi sempre più numerose, orientamenti e direttive che entrano sempre più spesso anche nella nostra sfera più privata e ri- schiano di ridurre la nostra libertà umana più profonda. Allora, anche nei casi in cui avvertiamo e ammettiamo a noi stessi una verità diversa, ci ri- duciamo al silenzio nel timore di essere chiamati intolleranti o per paura di essere addirittura offesi. Si va incontro così al rischio di un’oppressione del soggetto, deprivato della propria responsabilità e dunque spesso inconsape- volmente disponibile a consegnarsi ad un pensiero supericiale dominante e in quanto tale rassicurante. Pensiero però destinato ad entrare in crisi non appena s’incaglia nei fatti concreti della vita reale delle persone in carne ed ossa (Ricci, 2019).