Postfazione La rivoluzione silenziosa
4. Quale rotta adesso?
Ci è dato di vivere in un tempo eccezionale, del quale è importante la- sciar traccia e memoria. Costretti a rallentare, ci è data ora la possibilità di “abitare” questa lentezza e di far emergere la fragilità e la sofferenza che ci hanno colpiti. Siamo tutti “nella stessa tempesta” e siamo chiamati a rive- dere vecchi paradigmi culturali ed economici, consapevoli della crisi pro- fonda che avanza, ma che può trasformarsi anche in una grande occasione per affrontare la sida di un vero cambiamento, sentito oltremodo necessa- rio da tempo. La pandemia – rileva oggi Edgar Morin6 con i suoi novan-
tadue anni – ci ha mostrato che l’umanità è un unico continente e che gli esseri umani sono profondamente legati gli uni agli altri. Come accomu- nati allo spirito internazionalista romantico della precedente stagione ses- santottina, pur se in contesti drammaticamente diversi, gli uomini di oggi
6. Edgar Morin (intervista), Fratelli del mondo, di Nuccio Ordine, “Corriere della Se- ra”, 5 aprile 2020.
sono ancora alla ricerca di un forte legame di solidarietà fra tutti i popoli della Terra: siamo più consapevoli che abbiamo bisogno gli uni degli altri, che ogni persona è chiamata a fare la propria parte, che ciascuno è indi- spensabile e importante, spesso a dispetto di gerarchie sociali consolidate. Nel giro di poche settimane milioni di persone hanno cambiato stile di vi- ta, dimostrando una straordinaria resilienza, generosità e responsabilità. È la banalità del bene (Bregman, 2016) quella che i media spesso non sanno raccontare e che secondo lo scrittore e storico olandese Rutger Bregman le scienze umane degli ultimi decenni invece dimostrano: gli esseri umani sono fondamentalmente altruisti e con grandi capacità di collaborazione e questo ci consente di ripensare anche in modo radicale sistemi economici e sociali dati per immutabili e una politica dotata di dimensione etica. Anco- ra attuali suonano a questo proposito le parole di Camus7: “chiunque oggi
parli dell’esistenza umana in termini di potere e d’eficienza, di ‘compiti storici’ cui bisogna sacriicare i propri scrupoli morali, diffonde il veleno della violenza e dell’oppressione”.
Sulle modalità di ripresa si pronuncia ancora Edgar Morin: “è neces- saria una coscienza planetaria su basi umanitarie: incentivare la coopera- zione tra le nazioni con l’obiettivo principale di far crescere sentimenti di solidarietà e fraternità tra i popoli, uno spirito comunitario (…). Non fac- ciamo in modo che la ragione economica sia più importante e più forte di quella umanitaria, in modo da opporsi al darwinismo sociale”, è l’appello del ilosofo francese, richiamando così tutti all’impegno politico. Un richia- mo che ci riporta immancabilmente al Sessantotto, ovvero a un periodo storico e a un movimento politico-culturale caratterizzati dal forte bisogno di partecipazione e di assunzione di responsabilità. Pur con i propri limiti, quel periodo e quel movimento hanno prodotto cambiamenti importanti, che le storie di questo libro consegnano a un oggi dominato invece da una generalizzata indifferenza o siducia nei confronti della politica. Ed ecco che il dibattito e il cambiamento che si auspicano oggi al confronto con quanto rivendicato negli anni Sessanta e Settanta si arricchiscono di consapevolezze nuove: la rilessione ancora in corso su libertà individuali e autodeterminazione dovrà necessariamente trovare un equilibrio con la dimensione comunitaria, dell’essere-con (Heidegger, 2005)8, in cui si in-
seriscono adesso il nuovo forte interesse e l’urgenza di un impegno rivolti
7. Albert Camus, conferenza alla Columbia University, 28 marzo 1946.
8. L’essere-con include l’Altro da sé (compreso il creato) nel rapporto di cura che rivol- giamo verso gli enti. Sapremo prenderci cura dell’altro solo se gli riconosciamo pienamen- te la libertà di prendersi cura di se stesso. A partire da qui potremo disporci a prenderci insieme cura del mondo.
all’ambiente, coscienza negli anni Sessanta e Settanta non ancora maturata. Oggi come allora la ripresa e il cambiamento non potranno avvenire senza il contributo delle donne, risorsa ancora non suficientemente riconosciuta. Più consapevoli delle nuove libertà di cui possono godere, le donne non in- tendono tenere per sé le risorse di cui sono portatrici. Si tratta dunque ora di occupare lo spazio pubblico e della politica abitando la propria lingua (Muraro, 2018). Si proila così una sida culturale, incentrata sul riiuto di adattarsi acriticamente a modelli precostituiti e desideri sempliicati, in tal modo facendo un torto sia a se stesse sia alla vita pubblica. È la lingua dei legami affettivi, concreta e alta, che si esprime nel prendere posizione in un contesto di cui si è parte; che diventa espressione di una responsabilità personale e di una propria ricerca del vero e del giusto; che diventa capa- ce di disfare ogni scenario di competizione, di promuovere creatività e di disegnare altri paesaggi e orizzonti; una lingua, inine, che ci aiuta a stare nella vulnerabilità: si può allora accettare, accogliere la fragilità e le pro- blematicità con cui ci confrontiamo ampiamente oggi.
Nella vita pubblica le donne sono state storicamente deboli e tale debolezza ha inito per cancellare svariati contributi femminili. Oggi la politica delle donne ci suggerisce di parlare senza ricorrere a maschere ed etichette, per poter guardare, interrogare, discutere, trasformare la re- altà, con la cura di rispettare in ciascuno, uomini e donne, le dimensioni interiori di libertà, di autorità, di spiritualità. Già nel XII secolo Ildegarda di Bingen ebbe a riconoscere: “Alle donne non è dato occupare il mondo con le parole (…). Il mio parlare a poco a poco mi riscaldò, vincendo quel pudore che alle donne restringe sempre il mondo intorno (…)” e più avanti “non leggevo più il mio scritto, parlavo liberamente. E allo stesso tempo comunicavo con la gente di fronte a me che mi porgeva gli occhi: pensili e bagnati d’umore quelli dei vecchi, occhi buoni quelli delle madri con gli infanti al collo, sospirosi quelli dei giovani, sospettosi di certuni dai denti implacabili” (Tancredi, 2009). D’altra parte, le donne, da sempre abituate a gestire situazioni complesse, sono capaci di far fronte a esigenze molteplici (famiglia, lavoro, interessi personali), come molteplici sono le esigenze e i piani presenti nella società.