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2. Parole fort

2.1. Il “potere” della narrazione

Questo libro origina da un lavoro precedente, da me curato, La coda della cometa. Donne di Milano. Storie degli anni Sessanta e Settanta (Fressoia, 2013) consistente nella raccolta di storie autobiograiche scritte di proprio pugno da dieci giovani donne all’epoca delle contestazioni ses- santottine.

Le microstorie di quel libro, esattamente come quelle raccolte in questo nuovo volume, ci restituiscono eventi sia privati sia pubblici: avvenimenti che hanno fatto la “Storia” di quel periodo che fu attraversato da profondi cambiamenti nel mondo del lavoro, della cultura, della politica e dei rap- porti di coppia. Un’epoca ancora forse troppo vicina perché se ne possa davvero comprendere la portata ma che, attraverso le storie raccolte, ovve- ro attraverso il racconto dei diretti vissuti delle autrici, possiamo penetrare nelle pieghe profonde e partecipate del tempo, avvertito oggi come “glorio- so” da alcuni, “minaccioso” da altri.

Queste storie di donne scritte da donne consentono di entrare in punta di piedi nella Storia uficiale, riattraversando e indagando gli ultimi cin- quant’anni attraverso stili narrativi e punti di vista soggettivi.

La scrittura autobiograica è un genere letterario particolarmente vicino all’universo e alla sensibilità femminili. In questo senso la nota ilosofa Luisa Muraro spiega come le donne utilizzino parole non neutre, bensì aderenti alla vita di relazione con le persone e col mondo, spesso in grado di rompere schemi, operare cambiamenti o cambiare criteri di giudizio. La studiosa osserva inoltre come le donne, e anche quelle coinvolte nella presente ricerca paiono confermare una tale analisi, leggono e scrivono la

storia non attraverso un senso di inferiorità o di superiorità, di rivincita, di competizione o di imitazione, ma attraverso un’eloquenza calda di affetti e sentimenti che spesso diventano poesia (Muraro, 2011). Una verità sog- gettiva1, a cui con le storie si può attingere, che non è da assimilarsi a una

forma di narcisismo, anzi ne è il migliore antidoto, in quanto rilancio della contingenza che, nella pratica del partire da sé e dall’esperienza vissuta, è messa in parola senza egocentrismo. Esperienza di un sentire e di un sapere, un godere nella prossimità con altro da sé. Il vantaggio di questo atteggiamento è quello di sviluppare una duplice conidenza: con la propria interiorità e con la storia umana (Muraro, 2018).

Si tratta d’altro canto di storie aderenti alla realtà in quanto con questa mantengono un rapporto diretto, così come le vite narrate risultano colle- gate ogni volta al contesto storico e culturale in cui si inseriscono.

Raccontare di sé acquista, allora, un valore politico alternativo alla politica del potere.

Per le stesse ragioni le storie di vita possono risultare istruttive per i giovani nello studio e nel percorso di maturazione, in quanto arricchiscono la Storia uficiale rendendola più vicina ai problemi esistenziali e concreti della propria vita.

La scelta del metodo di raccontare tali storie ne inluenza in modo rile- vante la scrittura.

Le narrazioni raccolte si inquadrano in una cornice speciica, generata da una metodologia condivisa, quella narrativo-autobiograica, che ha al suo centro la scrittura di sé. Tale scrittura consente di produrre materiali che si rivelano documenti “storici” a tutti gli effetti, quindi utili alla stessa ricerca scientiica.

La scrittura autobiograica si situa di fatto all’interno delle metodolo- gie di ricerca qualitativa, relativamente a quel settore che viene deinito “ricerca biograica o narrativa”. Entrando nel merito della metodologia utilizzata, possiamo invero constatare i molteplici processi che essa ha attivato nel corso della ricerca. Innanzitutto ha permesso alle autrici delle storie (e a me che ho condotto il gruppo) di intrattenere un dialogo con la propria interiorità, da cui sono scaturiti testi che, pur riferendosi al passato, esprimono una consapevolezza di sé nuova e acquistano una freschezza e un’autenticità godibili anche oggi. Il metodo adottatto ha previsto, inoltre, dopo il momento individuale della scrittura, il confronto e la condivisione nella dimensione di gruppo. Ciascuna, ascoltando il racconto dell’altra, ha

1. La ilosofa femminista Luisa Muraro riconosce alla verità soggettiva sommo valore di conoscenza nella sfera d’inluenza delle parole, sfera che abbraccia ovviamente anche le scienze che studiano i rapporti fra le cose, come dimostra la loro storicità.

così ripensato alla propria storia, trasformando i signiicati e il valore che avevamo assegnato “in solitudine”. Grazie al confronto il gruppo ha pre- so coscienza degli aspetti di “comunanza” e di “differenza” delle storie e quindi delle nostre vite: aspetti che possono cambiare o permanere, ma che nondimeno si rivelano fonti di arricchimento per se stessi e per gli altri, in quanto espressione della complessità e della pluralità del mondo che ci circonda. I signiicati profondi emersi con le scritture e il confronto delle diverse visioni del mondo hanno permesso di valorizzare le reciproche dif- ferenze.

Il metodo, dunque, è diventato esso stesso il “progetto” in cui le di- mensioni individuale e collettiva si sono intrecciate e all’interno del quale si è ingenerato un processo di auto-apprendimento. Possiamo osservarci ed accorgerci di ciò che succede in noi mentre scriviamo, delle operazioni che compie la nostra mente: essa ricorda, assembla, riordina i sentimenti e le emozioni che prova e le parole che sceglie per esprimerli; siamo favoriti nella produzione di elaborazioni nuove e di nuovi contenuti culturali. Di- venta possibile allora rivedere le proprie opinioni inserendole in un quadro più ampio, confrontare i diversi punti di vista. È un circolo virtuoso quello che si crea tra singolo e gruppo, che si alimenta di relazioni spesso caratte- rizzate da solidarietà e senso di responsabilità verso l’“Altro”.

In ultima analisi la ricerca ci ha confermato che il gruppo è dimensio- ne strutturale del metodo, preziosa anche per consentire all’autobiografo- ricercatore di superare tentazioni narcisistiche o solipsistiche, cui potrebbe condurre il solo racconto centrato su di sé. La dimensione intersoggettiva conferita dal metodo al percorso formativo consente di stringere relazioni che, oltre al piacere che esse producono per i sentimenti di socialità che sviluppano e a cui la natura umana aspira, si rivelano indispensabili per tenere in equilibrio l’interesse su sé e sull’Altro (diverso da sé), ed evitare gabbie generalizzanti o fuorvianti nell’interpretazione della realtà persona- le e sociale.

Questo intenso lavorìo tra “dentro e fuori di sé” genera trasformazio- ni nel soggetto, dovute propriamente all’atto di trasferire i propri pensieri nelle parole scritte sul foglio, allora la mente riesce a distanziarsi dai con- tenuti della propria esperienza di vita, a guardare i fatti che sono accaduti e ripensarli con una maggiore lucidità (Demetrio, 1995; Cambi, 2010)2. La

2. Demetrio spiega il concetto di bilocazione cognitiva: quando ci dedichiamo alla scrittura di sé facciamo esercizio di pensiero: innanzitutto ci separiamo dai fatti, cioè ci decentriamo. La presa di distacco avviene quindi due volte: in primo luogo quando, scri- vendo, ci si separa dai fatti della propria storia per ripensarla; la seconda volta quando la persona pensa a se stessa mentre scrive e narra, cioè ai processi psichici e mentali che in quel momento ha attivato. E aumenta la consapevolezza di sé, degli altri, del mondo.

dimensione rilessiva e formativa che si produce con l’impegno autobio- graico, a partire dal movimento della presa di parola che la scrittura di sé comporta, rappresenta una esperienza di emancipazione essa stessa, che arricchisce di nuova forza progettuale il soggetto che scrive. È infatti un itinerario euristico di ricerca sapienziale in quanto consente di accrescere la conoscenza ma soprattutto di approfondire, ampliare, formare la co- scienza. Inoltre permette di sapere in funzione di cosa prendiamo le nostre decisioni (Perla, 2006).

Chi racconta si rivolge sempre a un interlocutore e avvia un movimento che conduce il soggetto ad aprirsi al proprio mondo interiore e alla realtà esterna. E ancora di più: mentre scriviamo il nostro racconto, ci si espone al mondo degli altri. Gli scritti, quando vengono comunicati, non si limita- no più a essere solo atti privati, così come le storie diventano a loro volta narrazioni pubbliche, cioè acquistano un valore sociale; riuscendo spesso a trasmettere e ispirare perino un senso di comunità, capace, a volte, di rompere schemi mentali rigidi e giudicati indiscutibili. Anche l’atto della restituzione acquista in una tale prospettiva un valore politico.