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I valori riscoperti grazie alla rivoluzione silenziosa

Postfazione La rivoluzione silenziosa

3. I valori riscoperti grazie alla rivoluzione silenziosa

Resilienza

Ci accorgiamo di poter contare su una grande capacità di resilienza, proprietà radicata nell’essere umano che, nel caso speciico, ha reso i sog- getti in grado di attrezzarsi da un punto di vista spaziale, economico, psi- cologico e spirituale.

L’isolamento dal mondo esterno, la separazione dai propri cari e dai contesti abitualmente frequentati, hanno generato in un primo momento incredulità, in mezzo a molto dolore tra coloro che si sono ammalati o che hanno perduto un parente, un amico, in chi non ha più potuto seguire i propri genitori anziani o raggiungere i propri familiari. Oltre a questo, però, non possiamo fare a meno di registrare come ciascuno sorprenden- temente e radicalmente abbia saputo modiicare la propria vita adattandosi a una situazione grave autoproducendo nuove risorse. Le conseguenze del cambiamento in atto hanno comportato un immediato rallentamento dei ritmi di vita spesso troppo accelerati cui si è sottoposti nelle nostre città, tra programmazioni, spostamenti, incontri, contesti ogni volta diversi, in cui ci si muove magari all’interno di una stessa giornata. Di colpo chiusi in

casa per settantacinque giorni consecutivi, ci si è accorti con stupore che nella propria casa di sempre, si può fare molto, con ciò che già si ha; ci si è accorti che è possibile vivere le ore, i giorni, le settimane facendo a meno di moltissime cose che prima parevano indispensabili, che si può vivere, anche più intensamente, con poco, soprattutto con meno oggetti. Improvvi- samente ci si è trovati a condividere quasi ogni momento con i propri cari e abbiamo imparato a riconoscere il legame profondo che ci unisce a loro. In certi casi sono venuti in aiuto i mezzi tecnologici a disposizione, così che è stato possibile coltivare, a volte addirittura intensiicare, i rapporti con parenti o amici che non potevano essere accanto.

Intimità

Improvvisamente ci si è potuti dedicare a cose, alle quali, nella vita di prima, non si riusciva a concedersi, altre allora erano evidentemente le priorità. Sorprende quasi il piacere provato nel vivere quei momenti. È la scoperta del valore dell’intimità, la sfera di sentimenti che ha anche fare con la vita interiore; una dimensione che abbisogna di tempo, di dedizione: “ci siamo seduti insieme a vedere ilm scelti insieme al proprio coniuge, a giocare, divertendoci, con il proprio iglio, a fare il pane in casa, a legge- re con continuità, magari alle undici del mattino o nel primo pomeriggio nella bella luce che arriva in balcone, un libro o più libri di quell’autore che da tempo si voleva, “ma…”. Senza l’imposizione del “tutti a casa” per mesi, senza la circolazione di quel male invisibile, non avremmo realizza- to questo cambiamento dagli effetti incalcolabili nelle nostre vite e nella società intera. Si è prodotto infatti un capovolgimento delle priorità da assegnare agli spazi e ai tempi di azioni che riempiono di senso le giornate di migliaia di persone e che costringono a rivedere la stessa organizzazione del lavoro.

Natura ed “ecologia integrale”

Nel tempo del lock-down abbiamo vissuto uno strano isolamento, ma non necessariamente un estraniamento dalla vita.

Un aspetto fondamentale salito in primo piano è quello della natura che, nel profondo trambusto causato dalla pandemia, ci è rimasta accanto e ci ha parlato. L’ambiente naturale è infatti un grande tema su cui si con- centrano gli interessi delle donne intervistate. Colpite dal fatto di non poter frequentare i luoghi a proprio piacimento, viaggiando o spostandoci libe- ramente, ci si è potuti accorgere, da una posizione forzatamente stanziale, del trasformarsi della natura, del tranquillo forse indifferente incedere della

primavera, apparsa improvvisamente struggente, per renderci conto, quasi con una certa invidia, di come la natura continui la sua opera incurante del lockdown. Abbiamo potuto osservare come in soli tre mesi essa si sia ripresa spazi occupati, anche in modo maldestro, dall’uomo: sono tornati a farsi vedere le balene o i delini nel nostro mare, i cervi, gli anatroccoli nei parchi, le nutrie nei navigli, così come le acque dei iumi e l’aria sono tornate ad essere pulite. Abbiamo potuto constatare da vicino ciò di cui abbisogna il nostro ambiente per rimanere sano e, con esso, noi stessi, i nostri igli e nipoti. È così che il lagello del virus ci ha aiutato ad avvi- cinarci alla verità. E cioè all’idea che abbiamo bisogno di una “ecologia integrale”4, che sappia diventare sostenibile nei riguardi dell’ambiente e

dell’umano che lo abita; abbiamo bisogno, ci dicono le testimonianze rac- colte, di un nuovo modello di individualità, che sappia difendere l’ambiente naturale da un inquinamento rovinoso, a volte nascosto ma persistente; allo stesso tempo abbiamo bisogno di un essere umano che sappia riconoscere la sacralità della vita, la ricchezza dell’essere umano, certamente non inse- guendo modelli funzionali alle leggi del consumismo, invece riferendoci a un comune visione antropologica capace di tornare a dare valore e come tale a considerare via elettiva di formazione il principio della solidarietà, su cui poggi il senso di res publica e quindi di bene comune. Così pure va riconsiderato il signiicato del concetto di dono e quello incommensurabi- le ad esso legato della maternità nella sua dimensione sociale e non solo privata. Un’ecologia, dunque, in cui la dimensione etica e la concezione di antropologia umana non debbano sottostare unilateralmente alle leggi dell’autodeterminazione o alla voracità dell’homo oeconomicus. Il vecchio modello di sviluppo, quello della globalizzazione economica e culturale, ha mostrato proprio di non aver saputo tener conto dell’“umano”, causando, in conseguenza, enormi ingiustizie e squilibri sociali.

In particolare la morte di un alto numero di anziani (27.000 i dece- duti sopra i 70 anni su un totale di 33.000) è un dato della pandemia che pone a tutti un grave e inquietante interrogativo: quale tipo di umanità è quella in cui intendiamo riconoscerci e per la quale può valere la pena impegnarsi? Quali sono i principi a fondamento della comunità di cui si fa parte o della società che si vuole costruire? La crisi scatenata dal virus diventa così l’occasione per un appello inalizzato proprio a ri-umanizzare le nostre società, mettendo in guardia da una sanità selettiva e da un’eco- nomia dello scarto5, cui si unisce l’invito a non dimenticare i nonni e tutti

4. Papa Francesco, Laudato si’. Testo integrale dell’enciclica, Piemme, Milano 2015. 5. Si veda l’appello lanciato dalla Comunità di Sant’Egidio, che mette in guardia da una sanità selettiva, dall’emergere di un modello pericoloso che considera “residuale” la vita degli anziani.

quegli anziani che si prendevano cura dei nostri igli (come nel caso di bambini orfani o di genitori assenti, oggi ancora più soli).

Corpo

Mentre crescono le preoccupazioni per le dificoltà economiche e occu- pazionali che la nostra società è e sarà chiamata ad affrontare, ci vengono incontro nuove pratiche informatiche affermatesi in questo tempo di pan- demia sia in campo lavorativo sia in campo scolastico: lo smart working e la didattica a distanza. I mezzi informatici hanno supplito all’impossibilità di proseguire le attività lavorative, anche in piena emergenza sanitaria. In particolare nel nostro paese, dove si era abituati a misurare il rendimento professionale con la presenza isica sul posto di lavoro, le tecnologie ten- dono ora a ridisegnare il modello di sviluppo chiamando in causa il tema della conciliazione delle due dimensioni del lavoro e della famiglia, en- trambe parimenti decisive per la nostra società. Cresce infatti l’esigenza di un’organizzazione che preveda forme agili di lavoro che non siano quelle coninate ai luoghi domestici. Rispetto agli spazi e ai tempi di vita del la- voratore il sistema economico si è mostrato infatti inora sempre più rapa- ce, con conseguenze dannose sia per la vita del lavoratore stesso, sia per la qualità delle relazioni che possono vivere in seno alla famiglia.

Nel sistema-scuola si è ricorso in questo tempo di lockdown ai mezzi tecnologici e i docenti si sono impegnati con generosità nell’uso dei nuovi strumenti, così che si è assistito ad un incremento delle competenze infor- matiche da parte di tutti gli attori coinvolti nel processo formativo, dagli insegnanti, agli allievi, ai genitori. Pur essendo una pratica particolarmente utile e preziosa in situazioni di momentanea emergenza quella della didat- tica a distanza presenta tuttavia numerose limitazioni. La separazione isi- ca tra gli interlocutori rende di fatto più fredda la comunicazione effettuata tramite video, così come più distanti e di conseguenza meno coinvolgenti e interessanti risultano agli studenti i contenuti di studio. Con il mezzo infor- matico lo scambio tra allievi e insegnanti avviene infatti su un piano quasi esclusivamente cognitivo e razionale, in quanto il corpo rimane di fatto assente nella comunicazione, mentre va a perdersi la maggior parte dei se- gnali sensoriali che rendono invece più calda ed eficace la comunicazione. Viceversa a scuola alla presenza di insegnanti e compagni offre la possibi- lità di condividere il quotidiano, favorisce l’intensiicarsi delle relazioni e il soggetto può spontaneamente far tesoro di tutti i segnali sensoriali della comunicazione non verbale e paraverbale che il corpo veicola (gesti, pause, silenzi, sguardi, sfumature, espressioni delle emozioni). Nessuna piatta- forma digitale può dunque sostituire la lezione in classe in presenza, se

l’obiettivo perseguito dev’essere quello di un percorso di crescita integrale della persona. Accanto a questi aspetti e limitazioni legati all’apprendi- mento si aggiunge il problema degli allievi (il 20%) che non hanno potuto seguire le lezioni in quanto non sono in possesso dei mezzi informatici necessari, di coloro che non vengono quindi raggiunti da alcun programma didattico per quanto promosso dalla scuola di appartenenza. Dimodoché la didattica a distanza ha permesso di portare alla luce, anche in questi tempi di emergenza sanitaria, l’ingiustizia sociale legata al mancato rispetto del diritto all’istruzione. Vale qui la pena menzionare l’articolo 3 della nostra Costituzione repubblicana, che ricorda come sia compito dello Stato “ri- muovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”.

Spiritualità

C’è un nuovo bisogno di spiritualità che si è manifestata con la pre- ghiera, un atto attraverso cui si può chiedere aiuto o ringraziare il cielo dei doni ricevuti. La fede va qui intesa non tanto come rifugio quanto come capacità di afidamento della propria e altrui vita a qualcuno più grande di noi. Ma la preghiera è possibile per esempio anche attraverso la poesia o la ricerca di bellezza e di bene, declinati nei diversi ambiti dell’esistenza. La poetessa Mariangela Gualtieri riconosce come in questo tempo, in cui dobbiamo convivere con la pandemia, “tutti avvertiamo l’agire di forze che non conosciamo e che ci stanno imponendo una rilessione, una maggiore consapevolezza e dunque un cambiamento”. Émile Durkheim, padre della sociologia, ha posto in evidenza come il sacro e con esso la religione diano stabilità e coesione ad una società. La perdita di queste dimensioni por- ta facilmente con sé una lettura riduttiva, in quanto solamente razionale, della realtà e della natura, che diventano dato oggettivato, quindi descri- vibile e materiale ma privato del senso di mistero, ovvero di quella sfera che trascende il piano sensibile e materiale. Alla luce di ciò il persistente pregiudizio antireligioso caratteristico delle società moderne compromet- te ogni rapporto con il sacro e il divino, alimentando un atteggiamento mentale discriminante e screditante ogni discorso che abbia un qualsiasi riferimento religioso. Una pratica del comportamento che inibisce la libertà d’espressione e inisce per impoverire le narrazioni così come paralizzare la politica (Muraro, 2018).

Messi a nudo dal nostro sentimento di fragilità, d’impotenza e di so- litudine provati con l’insorgere della pandemia, ci siamo accorti come l’umanità sia tornata a interrogarsi sul senso profondo della vita, quindi sul

mistero che l’avvolge. La potenza del “piccolo” virus ha messo sotto scac- co le nostre grandi certezze, e il nostro senso di onnipotenza si è incrinato di fronte alla lezione di umiltà che abbiamo subito. Provocatoria sembra ri- suonare allora la domanda di Gilbert Keith Chesterton: “Che se ne fa di un iore il superuomo?”, chiede lo scrittore a una società che non trova più né il tempo né lo spazio per vivere la dimensione del sacro nella propria esi- stenza. Le risorse femminili sembrano giungere a poter riempire una tale mancanza: sono la sensibilità e la cura per l’esistente, la cura dei legami e il sentimento di amore che li custodisce a poter rinverdire le prospettive di cambiamento. L’amore è come una danza amorosa che coinvolge l’intero universo, centro ordinatore di un cosmo che (…) ne fa percepire la verità di “naturalità trasigurata” (Lia, 2003): il corpo e lo spirito trovano unità nell’amore, in quanto la vita dell’uomo tende nella relazione d’amore al suo compimento.

Narra la leggenda, secondo la tradizione ebraica, così ricca di immagi- ni: quando il grande amore di Dio riempì il vaso del mondo, questo si rup- pe in innumerevoli pezzi, così ciascuno contiene ora una porzione dell’a- more divino. Forse è nostro “compito” custodire il senso del mistero, del miracoloso e del meraviglioso presenti nella terra che abitiamo, cercando e scoprendo il bene amoroso (questo è il divino) che è in noi, interpretandolo in famiglia, a scuola, nel lavoro, nella politica, dialogando con la scienza e con la fede religiosa, nel caso di chi l’abbia ricevuta in dono.