DELL’INTEGRAZIONE IN AMERICA LATINA E IN EUROPA
3.3. L’autonomia dell’ordinamento giuridico dell’Unione europea e il dialogo con le fonti nazionali
Il principio di autonomia dell’ordinamento giuridico dell’UE è stato elaborato dalla Corte di Giustizia ancora nel 1963, con la Sentenza Van Gend en Loos, che ha stabilito che “la Comunità economica europea costituisce un ordinamento giuridico di nuovo genere nel campo del diritto internazionale, a favore del quale gli Stati membri hanno rinunciato, seppure in settori limitati, ai loro poteri sovrani ed al quale sono soggetti non soltanto gli Stati membri, ma pure i loro cittadini”121.
In seguito, la Sentenza Flamino Costa, del 1964, ha affermato i principi di autonomia e di indipendenza del diritto comunitario, dimostrando la supremazia o preminenza del diritto comunitario su quello nazionale, nonché il principio di uniforme applicazione negli Stati membri122.
121 Unione europea, Sentenza 5 feb. 1963, Causa 26/1962, Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Tariefcommissie di Amsterdam, Massima, punto 3, Raccolta della
Giurisprudenza 1963-00003).
122 In questo senso, la Corte di Giustizia ha stabilito che “a differenza dei comuni trattati internazionali, il trattato CEE ha istituito un proprio ordinamento giuridico, integrato nell’ordinamento giuridico degli Stati membri all’atto dell’entrata in vigore del trattato e che i
74 Il principio di leale cooperazione (ex art. 10 TCE)123, secondo Alessandro Zanelli e Giuseppe Romeo, “statuisce, chiaramente, una superiorità del diritto comunitario su quello nazionale nonché afferma una necessità d’integrazione dello stesso concretizzando nell’architettura del TCE l’orientamento costante e consolidato di una giurisprudenza importante della Corte di Giustizia in materia. Non solo. Ma per misure di carattere generale e particolare si intende un’applicabilità del diritto comunitario piena e incondizionata nei sistemi nazionali”124.
giudici nazionali sono tenuti ad osservare. Instituendo una comunità senza limiti di durata,
dotata di propri organi, di personalità, di capacità giuridica, di capacità di rappresentanza sul piano internazionale, ed in ispecie di poteri effettivi provenienti da una limitazione di competenza o da un trasferimento di attribuzioni degli Stati alla comunità, questi hanno limitato, sia pure in campi circoscritti, i loro poteri sovrani e creato quindi un complesso di
diritto vincolante per i loro cittadini e per loro stessi. Tale integrazione nel diritto di ciascuno
Stato membro di norme che promanano da fonti comunitarie e, più in generale, lo spirito e i termini del trattato hanno per corollario l’impossibilità per gli Stati di far prevalere, contro un ordinamento giuridico da essi accettato a condizione di reciprocità, un provvedimento unilaterale ulteriore, il quale pertanto non è opponibile all’ordinamento stesso. Scaturito da una fonte autonoma, il diritto nato dal trattato non potrebbe, in ragione appunto della sua specifica natura, trovare un limite in qualsiasi provvedimento interno senza perdere il proprio carattere comunitario e senza che ne risultasse scosso il fondamento giuridico della stessa comunità (corsivi nostri) (Unione europea, Sentenza 15 lug. 1964, Causa 6/1964, Domanda di pronuncia pregiudiziale Flaminio Costa contro E.N.E.L., Massima, punto 3, Raccolta della
Giurisprudenza 1964-01129).
123 L’art. 10 del Trattato che istituisce la Comunità europea (TCE), successivamente cambiato in Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) all'entrata in vigore del Trattato di
Lisbona, stabiliva che “gli Stati membri adottano tutte le misure di carattere generale e
particolare atte ad assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dal presente trattato, ovvero determinati dagli atti delle istituzioni della Comunità …”. Attualmente, il comma 1 dell‘art. 291 TFUE dispone che “gli Stati membri adottano tutte le misure di diritto interno necessarie per l'attuazione degli atti giuridicamente vincolanti dell'Unione”.
124 Zanelli, A., Romeo, G., Profili di diritto dell’Unione europea, Ed. Rubbettino, Soveria Mannelli 2002, pp. 221-2.
75 In questo senso e come abbiamo già analizzato, le norme del diritto derivato europeo munite di efficacia diretta (c.d. norme self-executing), non necessitano, per produrre effetti giuridici negli ordinamenti statali, di recezione interna, attribuendo ai singoli situazioni giuridiche soggettive da far valere innanzi ai giudici nazionali, sia nei confronti dei pubblici poteri (c.d. efficacia verticale) sia nei confronti di altri singoli (c.d. efficacia orizzontale), al fine di ottenere la disapplicazione di un provvedimento nazionale o la cessazione di una condotta in contrasto con la normativa del Trattato125.
In base a quanto esposto, possiamo riassumere le caratteristiche del diritto dell'Unione europea affermando che si tratta di uno strumento dell'interesse comune dei popoli e degli Stati dell'Unione, che non è un diritto straniero o addirittura un diritto esterno (se così fosse, le sue caratteristiche legali sarebbero incomprensibili e inaccettabili): esso rappresenta il diritto proprio di ogni Stato membro, applicabile sul suo territorio così come nella sua legislazione nazionale, con quella qualità in più che corona la gerarchia degli atti normativi di ciascuno di essi. Per sua natura, infatti, il diritto dell'Unione ha una forza di penetrazione specifica nell'ordinamento giuridico interno degli Stati membri e possiede le seguenti proprietà: a) applicabilità o integrazione immediata: la norma europea acquisisce automaticamente lo stato di diritto positivo nell’ordinamento interno degli Stati membri; b) applicabilità diretta o effetto diretto: la norma dell’Unione può creare, di per sé, dei diritti e dei doveri per i privati; c) primato o supremazia: le norme dell'Unione hanno rango superiore rispetto a qualsiasi norma nazionale; tutto questo è possibile soltanto perché il diritto dell’UE costituisce un ordinamento giuridico autonomo126.
125 Michetti, M., L’ordinamento europeo – Le politiche dell’Unione (a cura di Mangiameli, S.), Ed. Giuffrè, Milano 2008, p. 56.
126 Isaac, G., Blanquet, M., Droit général de l’Union européenne, Decima edizione, Ed. Sirey/Dalloz, Parigi 2012, pp. 367.
76 3.4. La Corte di Giustizia dell’Unione europea
La Corte di Giustizia dell'Unione europea (CGUE), con sede a Lussemburgo, è stata creata nel 1952 dai sei Stati membri fondatori dell’allora Comunità europea del carbone e dell'acciaio (CECA), sotto il nome di “Corte di Giustizia della CECA” e con il ruolo di garantire il rispetto del diritto comunitario, di farlo applicare uniformemente da tutti gli Stati membri e di risolvere le controversie provocate dalla sua applicazione127.
Il ruolo e la potestà della Corte di Giustizia vengono disciplinati attualmente dagli artt. 251 a 281 TFUE.
La Corte è un organo unitario, suddiviso in tre nuclei di attuazione: la Corte di Giustizia, il Tribunale e il Tribunale della funzione pubblica, quest’ultimo, creato nel 2004, con competenza per giudicare le cause che coinvolgono l’Unione e i propri dipendenti.
Conformemente a quanto stabiliscono gli artt. 253 e 254 TFUE, la Corte è composta di un giudice per ciascuno Stato membro, i giudici vengono assistiti da otto avvocati generali, designati dagli Stati membri, che hanno il compito di presentare pareri motivati sulle cause sottoposte al giudizio della Corte. Sia i giudici che gli avvocati generali sono scelti tra personalità che offrano tutte le garanzie di indipendenza e che riuniscano le condizioni richieste per l'esercizio, nei rispettivi paesi, delle più alte funzioni
127 Con i Trattati di Roma, del 25 marzo 1957, istitutivi della Comunità economica europea (CEE) e della Comunità europea dell'energia atomica (EURATOM), la Corte di Giustizia della CECA fu ribattezzata Corte di Giustizia delle Comunità europee (CGCE), comune alle tre Comunità. Infine, in seguito al Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1° dicembre 2009, la corte ha cambiato il nome in Corte di Giustizia dell'Unione europea (CGUE).
77 giurisdizionali, ovvero che siano giureconsulti di notoria competenza. Tanto i giudici quanto gli avvocati generali hanno un mandato di sei anni, rinnovabile.
L’esercizio della funzione giudiziaria all’interno dell’UE prevede un’articolazione dei lavori tra Corte di Giustizia e Tribunale. Quest’ultimo si pronuncia sulle cause promosse da privati cittadini, imprese ed organizzazioni, e su cause in materia di concorrenza. Le sue decisioni possono essere impugnate davanti alla Corte di Giustizia128.
La Corte, invece, oltre a giudicare i ricorsi contro le sentenze del Tribunale di primo grado, dispone di un’ampia competenza giurisdizionale che comprende: a) il ricorso per inadempimento, avviato dalla Commissione, quando essa “reputi che uno Stato membro abbia mancato a uno degli obblighi a lui incombenti in virtù dei trattati” (art. 258 TFUE); b) il ricorso per annullamento, nell’ esercizio “del controllo di legittimità sugli atti legislativi, sugli atti del Consiglio, della Commissione e della Banca centrale europea che non siano raccomandazioni o pareri, nonché sugli atti del Parlamento europeo e del Consiglio europeo destinati a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi”, così come “il controllo di legittimità sugli atti degli organi o organismi dell'Unione destinati a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi” (art. 263 TFUE); c) il ricorso per carenza intrapreso dagli Stati membri e dalle altre istituzioni dell'Unione (art. 265 TFUE) “qualora, in violazione dei trattati, il Parlamento europeo, il Consiglio europeo, il Consiglio, la Commissione o la Banca centrale europea si astengano dal pronunciarsi”; d) il rinvio pregiudiziale sull'interpretazione dei trattati oppure sulla validità e l'interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli
128 Cavino, M., Conte, L., Il diritto pubblico, Ed. Maggioli, Santarcangelo di Romagna 2014, pp. 236-7.
78 organismi dell'Unione, dopo che la questione specifica sia stata sollevata dinanzi ad una giurisdizione di uno degli Stati membri (art. 267 TFUE)129.
Va sottolineato che dal 1979 la Corte di Giustizia ha consolidato la convinzione che, in virtù del principio della preminenza del diritto comunitario, “il giudice nazionale, incaricato di applicare, nell’ambito della propria competenza, le disposizioni di diritto comunitario, ha l’obbligo di garantire la piena efficacia di tali norme, disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, anche posteriore, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale”130-131.
Andrea Sirotti Gaudenzi pone l’attenzione sul fatto che la consacrazione del primato del diritto eurounitario rende il giudice nazionale vero protagonista dell’applicazione del diritto dell’Unione senza, tuttavia, che sia possibile dar vita a improbabili automatismi, in virtù della possibilità che egli ha di rivolgersi
129 Unione europea, Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea, Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, 26.10.2012, c 326, pp. 47-390.
130 Unione europea, Sentenza 9 mar. 1978, Causa 106/1977, Domanda di pronuncia pregiudiziale Amministrazione delle finanze dello Stato contro S.p.A. Simmenthal, Massima, punti 3 e 4, Raccolta della Giurisprudenza 1978-00629.
131 Celotto, A., La prevalenza del diritto comunitario sul diritto degli Stati: ambito e portata della disapplicazione, in Revista iberoamericana de derecho procesal constitucional, n. 8, pp. 113-129, 2007, p. 113.
79 al giudice comunitario ai sensi dell’art. 267 TFUE o qualora la contrarietà sia evidente ictu oculi132-133-134.
3.5. L’adattamento dei diritti nazionali al diritto dell’Unione