Capitolo 2: LE RETI MIGRANT
3.4 L’ITALIA E IL CO-SVILUPPO
3.4.4 L’azione delle ong per il co-sviluppo
La natura intrinseca delle ong dovrebbe indurle a fare molto di più che non a incanalare, semplicemente e direttamente, le rimesse dei migranti nei progetti di sviluppo strutturati insieme alle comunità d’origine. Il fatto stesso di essere gli interlocutori tecnici principali con cui le autonomie locali si confrontano per l’implementazione dei processi di cooperazione decentrata dovrebbe stimolare le ong italiane a ricoprire un ruolo rilevante di collegamento fra le istanze degli amministratori pubblici e i bisogni delle associazioni di immigrati che vogliono assumersi la responsabilità di contribuire alla determinazione del benessere della madrepatria. Le ong infatti, grazie alla loro esperienza, possono rappresentare l’anello mancante, tra le diverse esigenze dei nuovi attori della cooperazione, nell’edificazione di un dialogo costruttivo che porti alla definizione di sinergie efficaci ed efficienti per un modello di sviluppo che sia condiviso, co-costruito ed integrato. Tale funzione intermediaria può essere assunta, però, solo partendo dal riconoscimento del presupposto che esiste un legame indissolubile tra i processi di integrazione nei paesi d’accoglienza e quelli di sviluppo nei luoghi di partenza (Bono, 2006). Per sviluppare piena consapevolezza di tutto ciò, occorre che le organizzazioni non governative operanti in Italia si attivino, al di là dell’attività di mera progettazione in cui sono maestre, al fine di promuovere e dirigere azioni di lobby ed advocacy nei confronti delle istituzioni politiche e della società civile nel suo complesso. Solo così si potrà fornire al co-sviluppo capacità di futuro ed evitare che resti un inutile contenitore di buoni propositi privi di alcun valore pragmatico. Allo stesso tempo, la chiave di volta per il successo di progetti di cooperazione allo sviluppo nelle aree geografiche da cui hanno origine i flussi migratori si può individuare in una perfetta e approfondita conoscenza del contesto politico, sociale, economico, ambientale ed istituzionale. E chi meglio degli immigrati, che in quei luoghi sono nati ed hanno vissuto fino alla scelta decisiva di emigrare, può aiutare nella comprensione dei meccanismi taciti su cui si fonda una società, dai cavilli burocratici ai valori morali, dalla funzione dell’economia informale al peso delle tradizioni, dal rispetto delle gerarchie sociali al ruolo delle forze militari, e via discorrendo? Bisogna allora capire
che quando si dice che il migrante può apportare un valore aggiunto alla definizione di strategie di sviluppo per la madrepatria, non si parla ad un livello astratto, magari permeato da una vena di buonismo o qualunquismo, ma si fa riferimento ad apporti materiali e concreti, che si palesano nelle relazioni transnazionali che egli naturalmente mantiene tra paese di provenienza e di destinazione, vivendo un po’ qui e un po’ là e disponendo, di conseguenza, di un punto d’osservazione privilegiato da cui poter interpretare entrambe le realtà.
L’esperienza italiana ha mostrato come, sebbene molte realtà associative immigrate siano ancora impegnate in una fase di strutturazione agli stadi iniziali sia delle finalità da darsi che delle competenze da impiegare, non siano più così rare le iniziative di co- sviluppo che vedono i migranti indossare la veste di promotori principali ed artefici immediati. Il caso più eclatante sul territorio italiano è sicuramente quello di Ghanacoop, una delle più riuscite imprese sociali costituite dalla diaspora africana. La cooperativa, che nasce a Modena tre anni fa all'interno dell’associazione nazionale del Ghana, è un esempio concreto di impresa di comunità dal momento che si fonda sulla compartecipazione di tutti i suoi partner nelle diverse attività che porta avanti, siano essere di natura sociale, economica o commerciale. Come si legge nella presentazione150, il principale obiettivo di Ghanacoop è quello di valorizzare il fenomeno della comunità ghanese che vive in Italia e conta oltre quarantamila persone, come fattore di sviluppo tanto nel nostro paese quanto in quello di origine. Le fondamenta di quest’esperimento di successo risalgono alla strutturazione di un progetto di co-sviluppo all’interno del programma MIDA promosso dall’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni, di cui si è già parlato ampiamente. Grazie alla collaborazione con il Comune di Modena, Confcooperative Modena e la cooperativa Arcadia, la comunità ghanese modenese ha potuto gettare le premesse per la costituzione di un’impresa cooperativa di diritto ghanese di import-export di frutta esotica. Le attività progettuali hanno compreso sia l’attivazione di percorsi di formazione di tipo commerciale per i rappresentanti della comunità ghanese locale, sia l’istituzione di imprese sociali in patria, grazie anche al contributo finanziario degli stessi immigrati. Da allora il lavoro di Ghanacoop è proseguito in modo talmente proficuo da farla divenire, nel giro di un paio d’anni, leader nel campo della produzione
e della commercializzazione della frutta esotica equa e solidale, certificata con il marchio Fairtrade. Con l’obiettivo di costruire una relazione di reciprocità che si dispieghi su entrambi i territori che hanno dato vita a quest’iniziativa di successo, quello ghanese e quello italiano, è stata costituita nel 2005 anche Ghanital, una cooperativa controllata in Ghana che, in un’ottica di mutualità, si occupa dell’importazione in Italia di ananas certificati Fairtrade e dell’esportazione verso il mercato ghanese di prodotti agroalimentari tipici dell’area emiliano- romagnola, per una condivisione che vada al di là della sola comunanza d’intenti e si appoggi su basi tangibili. La forza di Ghanacoop sta nell’aver intuito le potenzialità, anche commerciali, offerte dai legami che la diaspora ghanese aveva saputo mantenere nel tempo con la madrepatria, conciliando gli interessi economici con il rispetto dei parametri ambientali più rigorosi, la tutela della sicurezza nel settore alimentare e la dignità dei lavoratori, andando ad incidere così, con le radici ben salde nel terreno della provincia modenese, in uno spazio più ampio che è quello dei due continenti, europeo ed africano, che in modo diretto e indiretto si va a coinvolgere. Una delle iniziative più recenti, a dimostrazione sia dell’attenzione rivolta alla sostenibilità ambientale sia dell’importanza della componente di cooperazione allo sviluppo, è il progetto “Metti in luce l’Africa” avviato in partenariato con il WWF Italia per promuovere la produzione e l’utilizzo di energia rinnovabile in alcuni villaggi rurali in cui sono in corso azioni di sviluppo agricolo orientate ai principi del commercio equo e solidale in Ghana, Togo, Camerun e Madagascar.
Stimolate anche dalla capacità d’iniziativa autonoma che le stesse comunità migranti hanno iniziano a dimostrare, le ong italiane non sono state a guardare ma si sono date il compito di coordinare ed orientare le pratiche di co-sviluppo nel nostro paese che altrimenti correvano il rischio di procedere in maniera disordinata ed inefficace. Sono sorte in questo modo delle buone prassi, a partire da alcune esperienze che vale la pena citare. Emblematico dei progressi compiuti nella collaborazione tra attori diversi in questo settore è il progetto Fondazioni4Africa, presentato al pubblico lo scorso mese di maggio. Quest’iniziativa vede, infatti, per la prima volta il concorso, in progetti di cooperazione allo sviluppo, di alcune comunità straniere in Italia con ben quattro fondazioni di origine bancaria, Compagnia di San Paolo, Fondazione Cariparma, Fondazione Cariplo e Fondazione Monte dei Paschi di Siena, coordinate da una moltitudine di ong, associazioni di volontariato e centri di ricerca operanti sulle aree
geografiche e tematiche d’implementazione delle attività. Alla riuscita della proposta progettuale concorreranno anche il Ministero degli Affari Esteri italiano, l’Ambasciata italiana in Senegal e il consorzio CTM – Altromercato, in particolare per la commercializzazione sul mercato italiano ed europeo di prodotti locali. Il finanziamento a disposizione per i primi tre anni andrà a promuovere interventi per sostenere il rientro degli sfollati del Nord Uganda, causati dagli scontri armati nella regione, dai campi profughi verso i villaggi d’origine o altri luoghi sicuri d’insediamento, anche attraverso percorsi di riconciliazione, e per migliorare le condizioni economiche e sociali delle popolazioni che vivono in ambito rurale e peri-urbano in Senegal, grazie al contributo decisivo delle associazioni di immigrati, con specifico riguardo alle filiere chiave per lo sviluppo del paese, dal turismo responsabile fino alla pesca. In attesa di cogliere i frutti maturati a partire da questa iniziativa, si può fin da ora affermare che la capitalizzazione delle variegate competenze ed esperienze acquisite dalla gran quantità di soggetti coinvolti sia un risultato di medio periodo decisivo per moltiplicare le risorse a disposizione e diffondere la capacità progettuale. Il superamento del campanilismo, dei contrasti e delle divisioni che, a scapito dei principi stessi su cui si dovrebbe fondare, non mancano certamente neppure nel mondo della cooperazione, al fine di fare sistema indica che le lezioni fornite dagli sbagli del passato sono state positivamente apprese. Importante è infine ricordare che parte consistente del progetto Fondazioni4Africa sarà incentrata su attività d’indagine e ricerca-azione sulle dinamiche migratorie che interessano le diaspore africane in Italia.
Il riconoscimento di quanto la ricerca empirica sia elemento fondante e necessario nella definizione di strategie vincenti di co-sviluppo è parte importante anche dell’approccio che l’ong milanese Coopi ha strutturato nel tempo per dare una risposta alla richiesta sentita di dare una dimensione pratica al nesso teorico tra migrazioni e sviluppo. In sinergia con il Centro Studi di Politica Internazionale, il più autorevole istituto di ricerca italiano che conduce riflessioni sul tema, ha dedicato, infatti, spazio e tempo al lavoro preliminare di indagine. A partire dal 2002, Coopi ha iniziato a lavorare sui finanziamenti europei della linea B7-667, in seguito rinominata AENEAS, per l’elaborazione dei primi progetti di intervento sui due fronti del percorso migratorio, il paese di destinazione, e quindi l’Italia, e i paesi d’origine, e in particolare Albania, Marocco, Nigeria e Senegal. L’attività progettuale si è inizialmente concentrata sul
supporto al rientro in patria di individui detenuti nelle carceri italiane e soggetti a provvedimento d’espulsione, offrendo loro piani di formazione professionale ed assistenza nella ricerca di prospettive lavorative nelle comunità d’origine, prima con il progetto ALNIMA e poi con ALBAMAR che ne ha raccolto l’eredità. Del sostegno dell’esigenza di produrre un quadro armonico tra politiche migratorie e politiche di cooperazione allo sviluppo in grado di coordinarsi per la creazione e gestione di micro- imprese, si è occupato il progetto “Il migrante marocchino come agente di sviluppo e innovazione nelle comunità di origine”. Il progetto dal titolo “Rafforzamento del capitale sociale nell’ambito del fenomeno migratorio senegalese”, di cui si parlerà più approfonditamente nel prossimo capitolo, invece, si è focalizzato sulla costruzione e attivazione delle reti di relazioni sociali, utili per il consolidamento delle risorse e delle capacità dei soggetti resi partecipi nelle azioni promosse nell’ambito dell’imprenditoria transnazionale e del commercio internazionale. Le comunità straniere sono identificate astutamente come portatrici di capitali importanti da mettere al servizio di partnership formali e sostanziali, che siano basate su rapporti fiduciari caratterizzati dalla continuità e dal riconoscimento istituzione del ruolo svolto dalle associazioni di immigrati. Come si sostiene nel documento programmatico per il 2007 di Coopi151, quello delle migrazioni è un settore strategico per il futuro della cooperazione internazionale dal momento che coinvolge aspetti innovativi di essa, dal tema del co-sviluppo, a quello delle rimesse e dei diritti umani, aprendo nuovi scenari grazie ai quali le ong possono radicarsi maggiormente nel proprio territorio, promuovendo in Italia forme di sviluppo locale, ma coniugando al tempo stesso lo spirito internazionalistico che le caratterizza. Inoltre l’affrontare il tema del legame tra migrazioni e sviluppo rientra sempre più diffusamente tra le priorità dei principali donatori.
Settore complesso e dinamico quello del co-sviluppo offre un panorama fatto di luci e di ombre che non risparmia certo le ong dal confrontarsi con limiti ed insidie. Un quadro chiaro di alcune delle difficoltà incontrate sul campo è delineato da uno studio intitolato Migrazioni e sviluppo: quale ruolo per una ONG?, di cui si cita un breve estratto: “sicuramente, per un progetto sulla migrazione, la ricerca è un punto fondamentale da cui partire, essendo comunque questo un campo in continua evoluzione; la maggiore difficoltà incontrata in questo senso è stata quella di far incontrare la teoria con la
151 Favaron S., Miccoli E., Soprano A. e Turati P. (a cura di), Coopi e la migrazione. Documento
pratica affinché la prima possa dare indicazioni precise per lo sviluppo di azioni concrete...Lavorando sul tema del rimpatrio esiste, però, il rischio di essere fraintesi da quella parte di società civile che, occupandosi di migrazione, potrebbe muovere l’accusa di appiattirsi sulle politiche di governo o europee che sembrano puntare di più a questo aspetto a scapito dell’accoglienza” (Leoni, 2006, pag. 26)152. Altra questione particolarmente delicata è quella della difficoltà riscontrata talvolta dalle organizzazioni non governative nel coinvolgere attivamente talune comunità straniere insediate in Italia, che sconta una palese sfiducia connessa alla paura, purtroppo in qualche caso non del tutto infondata, di venire strumentalizzati. Altrove, lo scarso coinvolgimento è legato, invece, più semplicemente da un lato, agli impedimenti pratici che spesso rendono difficoltoso per gli immigrati conciliare i tempi del lavoro con quelli dell’associazionismo, e dall’altro, alla carenza di personalità di spicco all’interno del tessuto associativo migrante che sappiano e vogliano farsi carico dell’impegnativa attività progettuale che sta dietro all’implementazione di attività di co-sviluppo.
Infine mi piace concludere con un’esperienza ancora in working progress di cui sono stata diretta testimone. Nell’ottobre del 2006, alla luce dell’interesse mostrato da parte della comunità internazionale, e per rispondere all’esigenza di affrontare con maggior chiarezza e capacità d’impatto le tematiche connesse al co-sviluppo, alcune ong italiane, quali Ucodep, ARCS, IPSIA e WWF Italia hanno deciso di condividere insieme ad alcuni organismi di carattere nazionale, quali ACLI, ARCI, Banca Popolare Etica, CeSPI e Consorzio ETIMOS, un percorso comune di riflessione sulle connessioni tra le migrazioni in atto su scala mondiale, le politiche transnazionali di cooperazione internazionale ed i flussi finanziari che tali fenomeni portano con sé. Il lavoro congiunto è proseguito nel tempo in modo proficuo, conducendo alla firma di un accordo per la creazione di un’associazione di secondo livello tra i soggetti enumerati al fine di strutturare in maniera più definita il percorso comune. Gli obiettivi che vengono indicati come prioritari da perseguire sono, fra l’altro, quelli di “approfondire e diffondere conoscenze teoriche e operative sull’impatto positivo delle migrazioni internazionali, sullo sviluppo umano, culturale ed economico dei paesi di origine come di quelli di destinazione e di individuare proposte affinché la politica comunitaria
152 Leoni S., Migrazioni e sviluppo: quale ruolo per una ONG?, Master in esperto dell’immigrazione,
dell’Unione Europea sull’immigrazione persegua con uguale intensità di investimenti non solo l’integrazione economica ma anche quella sociale e politica dei migranti in ciascuno dei Paesi membri”. Il consorzio, che è sorto proprio al fine di raggiungere gli scopi prefissati, attualmente sta promuovendo diverse iniziative di informazione e riflessione, nonché di azione progettuale, particolarmente stimolanti e significative per andare nella direzione di dare maggiore concretezza alle intuizioni teoriche sul nesso migrazioni e sviluppo e favorirne una migliore conoscenza di tipo scientifico. Importante è sottolineare che gli interlocutori diretti di tutte le attività realizzate o in fase di progettazione per il futuro sono i referenti delle comunità straniere residenti in Italia, che stanno mostrando grande interesse ed attenzione per il lavoro fatto finora, fornendo un apporto insostituibile in termini di confronto sui programmi e riflessione sugli orientamenti che andranno a determinare a quale evoluzione andrà in contro il cammino di condivisione avviato dal consorzio “Migrazione, Rimesse e co-sviluppo”.