Capitolo 2: LE RETI MIGRANT
3.3 ESPERIENZE COMPARATE
3.3.3 Il 3x1 del Messico
Prima si pensava che le migrazioni fossero connesse inestricabilmente solo alla povertà dei paesi d’origine e che la cooperazione servisse per agire sulle cause della diaspora. Oggi il binomio è rovesciato e si parla di sviluppo attraverso le migrazioni.
Dimostrazione palese di ciò è l’esperienza della diaspora messicana negli Stati Uniti. Col tempo, essa ha raggiunto ampie dimensioni numeriche e si è ben radicata sul territorio di residenza, dato che la vicinanza geografica e la tradizione hanno consolidato una consuetudine oramai secolare a considerare l’America del Nord come meta privilegiata dei latinoamericani in cerca di lavoro all’estero. Anche se ciò naturalmente non significa che la comunità migrante messicana sia allo stesso tempo ben integrata, continuando a mantenere occupazioni in attività dequalificate e bassi livelli salariali rispetto alla popolazione locale. A scapito, però, di un’esperienza migratoria non scevra dalle difficoltà, i messicani in emigrazione hanno sviluppato una forte capacità associativa indirizzata alla fondazione di una rete di organizzazioni di mutuo aiuto che hanno come base di riferimento le comunità locali e le città d’origine. É nata così, dalla disponibilità di un discreto capitale sociale, unita al risparmio di una parte consistente del capitale economico guadagnato con fatica da destinare alle rimesse a casa, l’idea dei fondi 3x1.
I migranti provenienti dalla Zacatecas, una delle regioni centro occidentali del Messico a cui appartiene una tra le più durature tradizioni d’emigrazione e che tutt’oggi registra alte percentuali di rimesse, si sono associati allo scopo di sostenersi reciprocamente e di contribuire collettivamente al benessere di quanti erano rimasti in patria. Dalle prime
iniziative sporadiche di assistenza e sostegno finanziario per le cure dei migranti feriti e per il rientro delle salme di quanti sono morti tentando di varcare il confine messicano, in seguito gli interventi si sono fatti più complessi e strutturati in direzione dello sviluppo locale delle comunità di provenienza. Tramite gli incentivi della politica intrapresa dal governo messicano per la valorizzazione delle rimesse, nel 1993 venne lanciato il primo programma 2x1 in base al quale per ogni dollaro proveniente dalle rimesse dei migranti il governo nazionale e federale si impegnavano ad aggiungere un dollaro ciascuno da destinare all’investimento in progetti per migliorare le strutture scolastiche, la sanità e le infrastrutture. Si rese così istituzionale il supporto alla rete di associazioni zacateche e si gettarono le basi per il riconoscimento ufficiale da parte delle autorità politiche del fatto che la forza delle organizzazioni di migranti sta proprio nella loro capacità di mettere in rapporto il territorio d'origine e quello di accoglienza. A questa prima esperienza positiva del fondo 2x1, nel 1999 seguì l’avvio del nuovo programma 3x1 con l’ingresso della municipalità di Zacatecas come terzo attore e la definizione di progetti di sviluppo più ambiziosi e capaci di un maggior impatto sul territorio da sostenere con i finanziamenti così raccolti. “Il Programma messicano 3x1 ha permesso di finanziare un numero sempre crescente di progetti, mostrando la sostenibilità dello strumento nel tempo e le sue potenzialità: dai 942 progetti finanziati nel 2002 con il coinvolgimento di 20 associazioni di immigrati in otto Stati USA, si è passati ai 1.438 progetti del 2004 con 527 associazioni messicane finanziatrici distribuite in 31 stati americani. L’urbanizzazione è stata l’area di maggiore investimento dei progetti a cui si sono aggiunti progetti per l’elettrificazione e l’acqua potabile e la costruzione di centri comunitari (Rhi Sausi, 2006, pag.22)133.
Come già si è avuto modo di sostenere, in un’ottica di totale indipendenza dagli orientamenti statali, già di per sé gli ambiti in cui i migranti investono i propri risparmi rappresentano indicatori concreti delle necessità delle aree da cui provengono. Se a ciò si aggiungono meccanismi di co-finanziamento del risparmio collettivo da parte delle istituzioni pubbliche, il risultato non può che essere positivo, anche con l’obiettivo di combattere la passività ed il senso di dipendenza che talvolta matura nelle comunità destinatarie delle rimesse, che nella logica del 3x1 assumono un ruolo attivo.
133 Rhi Sausi J. (a cura di), Il mercato delle rimesse in Italia: il caso degli immigrati latino-americani,
Perché tutto si sviluppi nel migliore dei modi, però, accorre avere delle accortezze. Le rimesse, infatti, rimangono risorse private impiegate secondo la libera scelta dei singoli che nessuno ha il diritto di deviare verso obiettivi che non siano condivisi dai legittimi destinatari. Occorre, quindi, che la decisione su quale sia la direzione in cui convogliare gli investimenti veda la partecipazione ed il diretto coinvolgimento delle comunità d’origine dei flussi migratori. Inoltre, riferendomi ancora al caso messicano, il fatto che le rimesse, insieme alle alterne fortune del mercato del petrolio, siano una delle voci di bilancio che reggono l’intera economia nazionale, implica una doverosa ammissione da parte delle autorità politiche del prezioso contributo che gli immigrati danno al loro paese d’origine, che passi non solo attraverso le parole ma anche ai fatti, promuovendo forme e strumenti che agevolino l’esperienza migratoria, come, ad esempio, l’esercizio di pressioni sugli istituti bancari per la riduzione dei costi di trasferimento delle risorse economiche.
La replicabilità di un sistema di questo tipo nel quadro della cooperazione internazionale richiede, come sostenuto e promosso da più parti, l’avvio di una solida collaborazione tra soggetti di diversa natura sociale e vario livello istituzionale che scelgano di impegnarsi in veri e propri partenariati territoriali.
Sulla scia del modello messicano, in Italia dallo scorso anno è attivo il fondo italo- andino 4+1, programma di solidarietà transnazionale che coinvolge la diaspora andina residente nel nostro paese e prevede che la raccolta di donazioni da parte di una ventina di associazioni di migranti sia moltiplicata da partner pubblici e privati italiani e andini per costituire un fondo destinato a finanziare la realizzazione di progetti sociali a sostegno delle comunità d’origini. Sulla base di un semplice meccanismo moltiplicatore, ad ogni euro raccolto dalle associazioni di migranti boliviani, colombiani, ecuadoriani e peruviani che si sono riunite nella struttura organizzativa denominata Juntos por los Andes, si aggiungono 4 euro donati dai partner che hanno aderito all’iniziativa: Regione Lombardia, Fondazione Cariplo, Banco de Credito del Perù, Interbank-Perù ed il sistema delle Banche di Credito Cooperativo italiano. Banca Etica ed Etimos poi si sono assunti la responsabilità di gestire il fondo rotativo. Peculiarità da rilevare di questo progetto italiano per la moltiplicazione delle risorse sono sicuramente sia l’impatto in un territorio che non è racchiuso da confini nazionali ma va ad abbracciare l’intera regione andina, favorendo la collaborazione e lo scambio
di buone pratiche tra le associazioni di diversa nazionalità, sia il coinvolgimento di soggetti politici e bancari nel paese di residenza, promuovendo così un reale co- sviluppo che impatti sia al Nord che al Sud.
Nonostante i buoni risultati che tali esperienze sembrano dimostrare non mancano naturalmente le voci critiche. “Gli scettici evidenziano infatti come la sostenibilità dei progetti, subordinata ad un flusso costante di rimesse, non sia garantita, e come le HTA [le associazioni messicane delle città natie] spesso non abbiano il know how per realizzare progetti di sviluppo, non potendo lavorare con soggetti della comunità locale (Solidar, 2007, pag. 15). Mariella Moresco Fornasier, inoltre, nell’articolo dal titolo Immigrati latini: risorse per i paesi d’origine o di destinazione? solleva il dubbio che i fondi degli immigrati servano a sgravare tanto gli stati di residenza quanto quelli di provenienza dei loro obblighi economici, servendosi delle rimesse per un uso strumentale, per coprire le spese da destinare alla cooperazione internazionale, da un lato, e agli interventi infrastrutturali necessari, dall’altro.
Insomma, probabilmente la ricetta vincente affinché si possa operare al meglio, dirimendo le questioni sollevate, dovrebbe mescolare all’individuazione di strumenti utili a garantire una reale ownership ai migranti coinvolti nella gestione dei progetti di co-sviluppo, la compartecipazione di molteplici attori con competenze specifiche e finalità accertate.