Capitolo 2: LE RETI MIGRANT
2.3 GLI EFFETTI ECONOMICI DELLE MIGRAZION
2.3.3 L’impatto sui paesi d’origine
La destinazione d’uso di questi flussi economici nelle terre d’origine segue, in modo non obbligatoriamente lineare, le tre direttrici di consumo, risparmio ed investimento. Lo studio degli effetti delle rimesse ha mostrato come inizialmente essi siano più significativi sul benessere dei nuclei famigliari dei migranti e sulle loro comunità d’origine, mentre hanno risultati meno marcati su scala regionale e nazionale. La valorizzazione delle rimesse attraverso impieghi esplicitamente produttivi può essere innescata solo dopo aver appagato i bisogni essenziali, dopo cioè aver provveduto al miglioramento del tenore di vita delle famiglie, attraverso l’acquisto di beni di consumo, la costruzione di abitazioni più decorose ma anche tramite il sostenimento dei costi per l’istruzione e la salute. I risparmi dei migranti tendono così a trasformarsi in una vera e propria assicurazione sociale, basilare per avviare iniziative di sviluppo. Come ricordano Barsotti e Moretti, poi, “l’impatto delle rimesse sulle condizioni economiche e sociali delle famiglie nel paese d’origine è fortemente condizionato dall’ammontare delle rimesse stesse e le modalità d’impiego sono anch’esse condizionate dal loro volume. Si può presumere infatti che, quanto più le rimesse sono
elevate, tanto più margini esistano per un loro impiego in investimenti produttivi o in capitale umano” (2004, pag. 36).
Tendenzialmente, come si può ben immaginare, quindi la maggior parte delle rimesse è destinata a soddisfare i bisogni famigliari, mentre una percentuale crescente ma che per ora si aggira intorno al 20 per cento viene reinvestita nel settore dell’imprenditoria, allocata in prodotti di risparmio o incanalata in investimenti produttivi. “Secondo le stime Ifad, infatti, tra l’80 e il 90 per cento delle rimesse serve per acquistare beni alimentari, di vestiario e casalinghi, sanitari e per l’istruzione” (Ghirardelli, 2008, pag. 32).
Gli effetti che i flussi finanziari avviati dai migranti hanno sulle nazioni di provenienza sono difficilmente quantificabili dal momento che i dati a disposizione presentano valori ampiamente sottostimati, come già è stato illustrato, anche se sicuramente vi è un impatto positivo in termini di riduzione della povertà, di promozione dei sistemi di welfare e di miglioramento della capacità di attrarre investimenti produttivi. Come giustamente osserva il Dossier statistico Immigrazione Caritas/Migrantes91, a differenza di quel che avviene per gli aiuti allo sviluppo, la funzione delle rimesse è sempre positiva e senza dispersioni di sorta, anche qualora esse vengano impiegate per il mero miglioramento del tenore di vita dei familiari e consumate per l’abitazione, il cibo, la scuola e la salute. Certamente un impiego di natura imprenditoriale potrebbe avere potenzialmente un impatto a più lungo termine, ma perché possa compiersi occorre che si verifichi una triangolazione virtuosa tra supporto bancario, collegamento con la normativa sulla cooperazione allo sviluppo e maggiore lungimiranza da parte dei governi dei paesi riceventi.
Dai dati raccolti dal CeSPI nella fase di ricerca92 del progetto MIDA per Ghana e Senegal (Migration for development in Africa) promosso dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), di cui si parlerà diffusamente più avanti, sono emersi elementi utili per una riflessione sul ruolo delle rimesse nelle economie dei paesi riceventi. L’impatto mirato sulla riduzione della povertà è assicurato dal fatto che, nella maggior parte dei casi, le rimesse sono destinate alla popolazione povera e giungono direttamente ai beneficiari. A livello macroeconomico, poi, l’influenza positiva si ha
91 CARITAS/MIGRANTES, Immigrazione. Dossier statistico 2006. XVI Rapporto, Idos, Roma, 2006. 92 Ferro A., Frigeri D., Strumenti finanziari per una valorizzazione delle rimesse per lo sviluppo, Strategy
grazie alla forte stabilità e bassa elasticità rispetto ai tassi di interesse e di cambio, all’anticiclicità rispetto alle crisi economiche ed alla crescita costante in ciascuna delle fasi d’integrazione dei migranti nelle società di destinazione. Sebbene l’impatto economico non sia l’unico fattore su cui si possa basare il giudizio sulla bontà dei migranti in qualità di promotori di sviluppo per la madrepatria, indubbiamente gli investimenti che essi fanno utilizzando i risparmi inviati ai propri familiari nel paese d’origine sono degli ottimi indicatori sia dei reali bisogni locali sia della forza del legame che gli stessi immigrati continuano a mantenere con la comunità di provenienza. “In tal senso, le rimesse dovrebbero mostrare un andamento inverso alla stabilizzazione ed integrazione delle comunità immigrate in quanto la ricomposizione del nucleo familiare potrebbe rendere meno intenso il trasferimento di capitali all’estero” (Strozza e Cibella, 2006, pag. 107)93. In effetti, il crescente inserimento dei cittadini stranieri in Italia di per sé comporta un drenaggio locale dei risparmi, trattenuti per garantire ai migranti una reale possibilità d’integrazione, pagando un affitto, acquistando beni di consumo, utilizzando mezzi di trasporti fino alla scelta di accendere un mutuo per l’acquisto di una casa. Nonostante quindi in madrepatria non sia possibile inviare periodicamente grandi quantità di denaro, a dispetto di ciò che si potrebbe pensare, i dati empirici a disposizione mostrano come l’integrazione e il transnazionalismo non siano assolutamente in opposizione, finendo piuttosto per alimentarsi spesso l’un l’altro. “Anche a fronte di spiccati processi integrativi nella società italiana, i migranti continuano a esprimere bisogni connessi con il contesto di origine e a destinare parte importanti delle loro energie e delle risorse economiche ai luoghi di provenienza” (Rhi Sausi, 2006, pag. 24)94. Quasi l’80 per cento delle persone intervistate nel corso della ricerca CeSPI – ABI rimpatria risorse finanziarie oltre il decimo anno di permanenza in Italia, mostrando chiaramente come il volume delle rimesse non sia destinato a decrescere in forma significativa con l’avanzare della permanenza. I fattori che possono aiutare nella comprensione di come, a distanza di anni, gli stranieri conservino stretti legami, oltre che affettivi e culturali, anche di natura economica con la comunità di origine sono, da un lato, la forte propensione al risparmio che avanza di pari passo con il miglioramento del reddito, l’orientamento sempre più diffuso a vivere la migrazione
93 Strozza S., Cibella N., Elementi e caratteri dell’integrazione, contenuto in Golini A. (a cura di),
L’immigrazione straniera: indicatori e misure d’integrazione, Il Mulino, 2006.
in una prospettiva transnazionale fatta di andate e ritorni circolari e, dall’altro, più pragmaticamente, le difficoltà burocratiche connesse al ricongiungimento familiare che scoraggiano le aspettative di riunire le famiglie all’estero e continuano, di conseguenza, ad alimentare in maniera considerevole il flusso delle rimesse destinate ai bisogni primari familiari, alla crescita e all’educazione dei figli rimasti in patria. Pur da lontano, poi generalmente i migranti guardano con grande attenzione ai cambiamenti e ai progressi economici e sociali che investono i territori di provenienza. “E quando risale la fiducia nel futuro del proprio paese di origine, anche la propensione a investirvi aumenta. Allora le rimesse possono cambiare sostanzialmente natura, trasformandosi da argine contro la povertà in capitale d’impresa e volano di sviluppo” (Pastore, 2004, pag. 87)95.
Alcuni studi realizzati negli anni scorsi si sono soffermati sull’analisi degli effetti distortivi delle rimesse, avallando l’ipotesi secondo cui esse sono foriere dell’accentuazione delle disuguaglianze sociali e delle dinamiche inflazionistiche nei paesi d’origine. Si guardava con preoccupazione al moltiplicarsi di investimenti in settori considerati del tutto improduttivi come l’edilizia ed i beni di consumo. Sebbene nell’immediato sembravano incidere positivamente sul benessere familiare, nel lungo periodo il maggiore impatto sembrava essere quello di innescare l’inasprimento delle disuguaglianze tra i redditi e processi emulativi, fondati su sentimenti di deprivazione relativa. “Diversi studi si sono soffermati sulle distorsioni dei comportamenti economici indotte dalle rimesse, accusate di generare dipendenza e crisi motivazionali, scoraggiando l’agricoltura di sussistenza e l’allevamento e favorendo così l’abbandono delle campagne” (Ibidem, pag. 84).
Il caso dell’emigrazione nicaraguese in Costarica e negli Stati Uniti è emblematica dell’impiego perverso delle rimesse in patria che, alterando la cultura delle comunità rurali, possono favorire la diffusione di atteggiamenti di passività e dipendenza dall’esterno (Martinelli, 2006)96. Questo, insieme ad altri esempi delle possibili valenze negative delle rimesse, fra cui l’eclatante e drammatica crisi albanese del 1997 indotta dal crollo di subdole società finanziarie alimentate in maniera abnorme dai risparmi
95
Pastore F., Dobbiamo temere le migrazioni?, Laterza, 2004.
96 Martinelli L., Il Sud visto da Sud, contenuto in Lepratti M., Martinelli L., Petitti G., Cittadini di nuove
degli emigrati all’estero, debbono servire da monito per strategie d’impiego delle rimesse che vogliano avere un impatto tangibile e quantificabile.
Una crescente consapevolezza delle potenzialità insite ai trasferimenti finanziari dei migranti sulle società d’origine ed un’approfondita conoscenza del fenomeno migratorio hanno condotto negli anni gli studiosi ad elaborare una visione più articolata e positiva, giungendo a mettere in discussione il concetto stesso di impiego produttivo delle rimesse, “mostrando come anche gli investimenti in costruzioni e migliorie edilizie, o persino certe spese voluttuarie, abbiano un effetto moltiplicatore, alimentando un indotto economico di piccole imprese locali e fornendo un importante sostegno indiretto alla domanda interna” (Pastore, 2004, pag. 85).
Un’esperienza lodevole e degna di nota è quella delle rimesse collettive, con cui alcune comunità immigrate hanno finanziato e patrocinato iniziative di sviluppo comunitario, progetti di pubblica utilità e sviluppo nei villaggi di provenienza, fra i quali l’edificazione di nuove scuole o strutture sanitarie e la costruzione di infrastrutture. La forza delle organizzazioni di migranti sta proprio nella capacità di mettere in un rapporto costante il territorio d’origine con quello d’accoglienza, attraverso anche l’opportunità di ricreare una fitta trama di associazioni che hanno come riferimento territoriale i singoli villaggi di provenienza. Alcune rilevazioni hanno evidenziato come gli interventi strutturati dalle associazioni di migranti si indirizzino in via prioritaria verso le zone rurali in cui scarseggiano gli interventi pubblici, quasi a voler riempire con i fondi messi a disposizione dalla migrazione i consistenti vuoti istituzionali nella direzione del miglioramento sociale ed economico delle collettività locali. Il risparmio collettivo inteso come risorsa per lo sviluppo è lo strumento con cui meglio si esprime il transnazionalismo delle associazioni di migranti, che spesso e volentieri per il perseguimento di risultati prefissati in direzione di progetti di cooperazione, si mettono in rete sia localmente che a livello internazionale.
Come già ribadito, per moltiplicare iniziative di questo genere occorre che i soggetti promotori siano supportati da pratiche di cooperazione allo sviluppo idonee a rafforzarne le potenzialità esprimibili nel campo dell’assistenza tecnica e sociale, oltre che finanziaria, rivolta alla madrepatria. “A questo proposito la cooperazione tra soggetti dei territori del Nord e del Sud armonizzata dalle rispettive autonomie locali presenta un alto valore aggiunto per il rafforzamento istituzionale e il miglioramento
delle capacità dei partner dei paesi cooperanti, per il sostegno alla democratizzazione e alla governabilità dei processi di cambiamento, per la capacità di promuovere e intensificare i rapporti politici e istituzionali fra le collettività locali (Mezzetti, Rotta e Stocchiero, 2003, pag. 12). Si rileva allora necessario concertare una comune visione dello sviluppo che sappia fondarsi su una governance condivisa a più livelli. Pur trattandosi di trasferimenti di risparmio privati, le rimesse rappresentano infatti il più capillare sistema di cooperazione che il Nord mette a disposizione per il Sud. Affinché questa forma di cooperazione venga indirizzata non solo al consumo, pur necessario al sostentamento delle famiglie, ma sia impiegata in modo fruttuoso anche in direzione dello sviluppo tanto in termini micro, inteso come sviluppo delle famiglie, sia in termini macro, per lo sviluppo del tessuto imprenditoriale economico e sociale, occorre individuare i canali e gli strumenti che offrono le migliori opportunità di canalizzazione e valorizzazione. Sperimentazioni in questo senso, con gradi diversi di successo, non mancano, né sul versante europeo né nella realtà italiana. A scapito delle buone e fruttuose prassi che con significativi sacrifici vengono messe in campo localmente, però, a livello nazionale, le cose potrebbero peggiorare a breve, viste le recenti modificazioni normative. Dopo aver buttato al macero anni di lavoro sulla riforma della normativa italiana sulla cooperazione allo sviluppo, che si avvale di una legge vecchia di ventun’anni e che avrebbe dovuto legittimare il ruolo svolto in sordina dalle associazioni di migranti, nei mesi scorsi dalle Camere del Parlamento italiano è stato dato il via libera al disegno di legge contenuto dal “pacchetto sicurezza” del Governo, approvato in via definitiva dal Senato il 23 luglio 2008, che impone al cittadino straniero che voglia trasferire dei soldi nella madrepatria di fornire, oltre al documento d’identità, anche copia del proprio titolo di soggiorno, pena la segnalazione all’autorità. Con l’intento di promuovere percorsi d’investimento trasparenti, si corre il rischio di vanificare gli sforzi compiuti verso una canalizzazione adeguata dei risparmi dei migranti che, in situazione irregolare, si vedranno costretti per aiutare le famiglie in patria a rivolgersi a canali informali e di dubbia natura. Sotto il cappello della crociata contro la clandestinità sono state introdotte norme di dubbia utilità che rischiano solo di rendere più difficile la vita ai tanti stranieri regolari o irregolari che lavorano e vivono in Italia.