Capitolo 2: LE RETI MIGRANT
3.3 ESPERIENZE COMPARATE
3.3.2 L’esempio della Catalogna
La politica migratoria della Catalogna, una delle diciassette regioni autonome spagnole, si fonda su due colonne portanti, stando a quanto afferma Josep Maria Pallàs della Segreteria della Generalitat de Catalunya130. Da una parte, in una logica di potenziamento del decentramento, vi è l’impegno in ambito regionale a gestire in maniera autonoma dall’impostazione dell’amministrazione centrale le questioni migratorie al fine di assumere una responsabilità sempre più ampia, che inizia ad essere riconosciuta anche a livello comunitario. Dall’altra, invece, in qualche modo antesignana in Spagna per essere stata la prima regione ad avviare politiche pubbliche per l’integrazione degli immigrati, quando ancora il fenomeno dell’immigrazione non era stato inscritto all’interno dell’agenda politica nazionale perché poco visibile, la Catalogna intende proseguire lungo il percorso di promozione di strumenti operativi che facilitino e strutturino al meglio l’accoglienza riservata alle comunità straniere. Per evitare la dispersione delle iniziative pubbliche destinate all’integrazione degli immigrati al livello sociale ed economico, fin dai primi esperimenti di gestione del fenomeno risalenti al 1993 si è cercato di fare in modo che i diversi dipartimenti dell’amministrazione pubblica lavorassero in maniera coordinata, previa consultazione anche dei vari soggetti della società civile interessati alla tematica, fra cui le associazioni migranti, le organizzazioni non governative ed i sindacati. Si è sviluppato seguendo questo metodo, quello che viene definito “modo catalano per l’integrazione”, a cui anche dall’estero si guarda con interesse e che è “volto a realizzare un equilibrio massimo fra il rispetto per la diversità e il senso di appartenenza ad una singola comunità” (Pallàs, 2001, pag. 70). Perché tutto questo possa essere davvero incisivo deve necessariamente collegarsi sia con le misure di ammissione degli immigrati sul suolo nazionale che con le politiche di cooperazione con i paesi di provenienza dei flussi migratori, in particolar modo della sponda meridionale del Mediterraneo. In questo senso sono stati promossi anche investimenti nelle infrastrutture locali e progetti di co-sviluppo. Nel piano interdipartimentale sull’immigrazione 2005-2008 elaborato dal governo della Catalogna si afferma che l’immigrazione è un fattore d’arricchimento,
130 Pallàs J., La politica migratoria della Catalogna per il co-sviluppo del Mediterraneo, contenuto in
Stocchiero A., Dossier politiche migratorie e di cooperazione nel Mediterraneo, ASCOD – MIGRACTION/MAE, 26 ottobre 2001.
non solo economico, ma anche sociale, culturale e politico per tutte le società che ne sono investite, tanto quelle di partenza che quelle d’arrivo. Gli immigrati, inoltre, sono riconosciuti come nuovi attori transnazionali.
È in un contesto di una tal fatta che si colloca e trova linfa vitale il caso particolarmente significativo anche dal punto di vista temporale, visto che fin dal 1996 ha definito una strategia per il co-sviluppo, del Fons Català de Cooperaciò al Desenvolupament. E’ un’agenzia locale per la cooperazione internazionale sorta nel 1986 per volontà delle 283 municipalità che vi partecipano, e che rappresentano ben l’80% della popolazione residente, di contribuire in maniera collettiva ai processi di sviluppo dei paesi del Sud del mondo. Dopo dieci anni di attività, in cui gli enti locali coinvolti sono stati accompagnati verso l’attivazione di politiche pubbliche di cooperazione coerenti con le priorità territoriali, per promuovere la costruzione di una cittadinanza più integrata si è giunti ad una definizione esplicita del co-sviluppo inteso come potenziamento del ruolo del migrante in quanto vettore importante dello sviluppo nei paesi d’origine e allo stesso tempo mediatore nella cooperazione decentrata nord/sud come attore chiave della gestione del fenomeno migratorio. Operativamente questa teoria si traduce in un percorso di accompagnamento finanziario e formativo continuo rivolto principalmente alle associazioni di immigrati interessate a realizzare progetti di co-sviluppo nella madrepatria nei diversi settori della vita sociale, culturale ed economica (Bayes, 2006)131. La cooperazione con i collettivi stranieri indica la volontà di gestire congiuntamente i problemi legati allo sviluppo locale. A tutto ciò si aggiungono anche percorsi di sensibilizzazione per rendere i cittadini consapevoli delle cause profonde dei processi contemporanei di migrazione in modo da farli partecipi del sostegno allo sviluppo delle comunità territoriali da cui provengono i migranti. Includere attivamente i migranti nello sviluppo delle aree di provenienza, in effetti, potrebbe avere un duplice effetto. Contribuire allo sviluppo locale, più direttamente, ed aiutare anche a combattere l’ignoranza diffusa sull’argomento nelle società d’accoglienza che spesso porta a vedere lo straniero come derelitto incapace d’iniziativa sono gli esiti possibili di una strategia condivisa di co-sviluppo. Rafforzare il ruolo del migrante allora non ha più solo lo scopo di realizzare interventi per lo sviluppo della madrepatria ma di creare, allo stesso
131 Bayes S., Quale politica a partire dal basso su migrazioni e sviluppo, il caso della Catalogna, Fons
tempo, rapporti strutturati nel territorio d’accoglienza che restano anche dopo la fine del progetto. Senza però un’azione incisiva per la salvaguardia dei diritti umani degli immigrati nei paesi in cui hanno scelto di eleggere la loro residenza, non ha senso parlare di co-sviluppo. “Nella convinzione che ad un maggior inserimento nel contesto di approdo corrisponda una maggiore capacità d'intervento nei paesi d'origine” (Bono, 2006, pag. 1)132. É proprio seguendo questa logica che si muove l’azione del governo della Catalogna sul tema migrazioni ed affini.