Capitolo 2: LE RETI MIGRANT
2.1.2 Implicazioni e prospettive
Il transnazionalismo, da intendersi più come prospettiva d’analisi del fenomeno migratorio che come costante del comportamento dei migranti, è stato interpretato dai diversi autori secondo due concezioni prevalenti che spaziano da una dimensione più strutturale, definendolo come processo di costruzione di comunità translocali, ad una più affine al percorso dell’azione sociale, classificandolo in quanto impegno attraverso i confini dei singoli soggetti. Con riferimento alle pionieristiche indagini condotte da Portes, Guarnizo e Landolt68, le successive analisi sul tema hanno distinto tra tre livelli intersecabili ma differenti di transnazionalismo: economico, politico e socioculturale (Ambrosini, 2006)69. Seguendo proprio quest’impostazione si è pensato di articolare questo secondo capitolo, in cui si tenterà di esaminare più nel dettaglio le implicazioni pratiche, oltre che teoriche, di una condotta transnazionale, andando quindi ad esaminare il ruolo giocato dal capitale sociale e quali effetti esistono da un punto di vista finanziario.
Prima di affrontare questioni più particolareggiate occorre però accennare ai caratteri più generali delle reti transnazionali. Pur con le differenze poste dalla strutturazione interna che può essere di tipo orizzontale, i cui membri si pongono in un panorama di mutua reciprocità e sostegno diffuso, oppure di forma verticale/gerarchica, in cui un soggetto preminente, individuale o istituzionale, ridistribuisce con gradi difformi di discrezionalità le informazioni tra i partecipanti, ciò che accomuna le svariate reti etniche è il fatto di occupare, in maniera pregnante o meno, spazi lasciati vuoti dagli attori pubblici preposti, nel sostegno al percorso d’integrazione non solo sociale ma anche economica dei migranti appena arrivati. “Li occupa a volte in modo inadeguato, altre volte in forme non disinteressate, spesso con comportamenti non competitivi con
67 Riccio B., Migranti per il co-sviluppo tra Italia e Senegal: il caso di Bergamo, COOPI-CeSPI, febbraio
2006.
68
Portes A., Guarnizo L., Landolt P., The Study of Transnationalism: Pitfalls and Promise of an
Emergent Research Field, in Ethnic and Racial Studies, vol. 22, n.2, 1999.
69 Ambrosini M., Delle reti e oltre: processi migratori, legami sociali e istituzioni, Working Paper del
altri network etnici e comunque in modo non universalistico, favorendo i connazionali e svantaggiando altri. Ma in ogni caso li occupa rispondendo ad una domanda sociale che non trova altre e più convincenti risposte” (Ambrosini, 2003, pag. 9)70. Le reti dei connazionali, con i vincoli ed i limiti che portano con sé, nel tragitto che porta alla costruzione di comunità propriamente transnazionali, restano dunque punti di riferimento per la socializzazione sia che evolvano verso forme di regolazione maggiormente istituzionalizzate sia che mantengano nel tempo strutture deboli e scarsamente formalizzate. È questo un punto particolarmente significativo dal momento che non si può tacere quanto il dispiegamento delle potenzialità transmigranti sia direttamente condizionato dalla messa in opera d’interventi concreti ed efficaci in vista di un processo d’integrazione che sappia offrire condizioni di stabilità sociale, lavorativa, abitativa e finanziaria. Inoltre è bene ricordare che l’impegno richiesto è considerevole visto che talvolta, in mancanza di un quadro coerente di politica nazionale, le misure adottate a livello locale rischiano di essere inutili.
La possibilità di offrire occasioni di mobilità ai suoi membri, prevedendo l’opportunità di ritorni in patria e nuove partenze verso lo stesso o altri paesi d’accoglienza, dipende dalla dotazione e dall’impiego interno alla comunità transnazionale del capitale umano, fisico e sociale. Nel contesto di approdo, i caratteri che il network migrante assume possono tanto ostacolare quanto rafforzare nei singoli componenti il mantenimento di molteplici livelli d’identità e la contemporanea persistenza del senso d’appartenenza ai sostrati culturali originari. Almeno cinque sono le dimensioni dell’azione delle reti etniche che giocano un ruolo rilevante nella creazione di percorsi transnazionali. La concentrazione di tipo abitativo od occupazionale, la composizione che risente delle caratteristiche sociali e culturali dei soggetti che vi partecipano ed influenza la dotazione delle risorse disponibili, la coesione interna con cui si intende la forza dei legami esistenti tra i componenti, la capacità di esercitare forme autorevoli di controllo sociale e il grado di accettazione promosso dalla società ricevente sono gli ambiti in cui si gioca il supporto alla propensione dei migranti ad avere una doppia appartenenza. Dagli esiti delle ricerche condotte all’estero emerge con chiarezza il fatto che non
70
Da Per un inquadramento teorico del tema: il modello italiano di immigrazione e le funzioni delle reti
etniche contenuto all’interno del testo di La Rosa M., Zanfrini L. (a cura di), Percorsi migratori tra reti etniche, istituzioni e mercato del lavoro, FrancoAngeli, 2003.
necessariamente tutte le comunità diasporiche sono allo stesso tempo comunità transnazionali, attente o attivamente coinvolte cioè nelle questioni politiche della madrepatria. Qualora però le due identità coincidano la possibilità di esercitare un ruolo attivo è dato dalla forza indirizzata in questa direzione dai network. Tanto più una rete etnica è organizzata e in grado di sostenere l’inserimento equilibrato nel mercato del lavoro dei partecipanti, tanto più sarà in grado, ad esempio, di promuovere attività imprenditoriali che coinvolgano sia l’area d’insediamento che quella di partenza. A questo proposito, un limite nell’implementare strategie imprenditoriali di una tal fatta è dato dalla concentrazione di talune comunità in nicchie lavorative dequalificate, nelle quali se, da un lato, l’ingresso è facilitato dall’informalità e dalla carente regolazione con cui operano, dall’altro, l’etnicizzazione di segmenti scarsamente produttivi e la segregazione occupazionale impediscono la mobilità lavorativa a chi dispone di capitale umano altamente qualificato, favorendo processi cosiddetti di brain waste.
L’Università Bocconi di Milano in collaborazione con l’University College di Londra ha condotto recentemente uno studio su 38mila stranieri irregolari che, tra il 2000 e il 2006, si sono rivolti al Naga, un’associazione volontaria di assistenza socio sanitaria e per i diritti di stranieri e rom, con sede a Milano71. Come dimostrato da tale ricerca, nonostante vi sia per i migranti irregolari, una sorta di convenienza economica nell’entrare in Italia e lavorare in forma non legale, garantita dal grado di efficacia dell’economia sommersa nell’attrarli offrendo loro lavoro mal pagato e a diritti zero, ciò rischia di tradursi in sperpero dei talenti di cui gli stranieri sono portatori. Sovente accade, infatti, che il flusso in ingresso di migranti qualificati e con alti livelli d’istruzione venga sprecato in occupazioni di bassa specializzazione con condizioni lavorative rifiutate dai cittadini del paese d’accoglienza, con conseguente dispersione di capitale culturale, a scapito non solo del soggetto dequalificato ma anche dell’intero sistema produttivo d’approdo. Tradizionalmente, nel mercato del lavoro italiano gli stranieri vengono impiegati in attività scarsamente stimate, anche se una percentuale non indifferente è in possesso di requisiti ben più alti rispetto a quelle necessarie al lavoro che svolge. Secondo alcune ricerche condotte dall’IRPPS72 nel comune di Roma, inoltre, il fenomeno della sottoccupazione è in netta crescita. Il brain waste finisce
71 Devillanova C., Fasani F., Frattini T. (a cura di), Cittadini senza Diritti. Abitare e lavorare a Milano da
clandestini, Naga, 2008.
dunque per sommarsi al brain drain tipicamente prodotto dalle migrazioni, processo per cui al paese d’origine vengono sottratti, insieme alle competenze professionali, individui con titoli di studio elevati. Tale fenomeno è alimentato dal fatto che la propensione ad emigrare, in particolar modo nei paesi meno avanzati, è molto più alta tra gli individui qualificati. Si configura così una condizione di doppio spreco. Dal punto di vista dei paesi esportatori di saperi e capacità, questa situazione è dovuta al fatto che l’emigrazione di personale qualificato, oltre a ridurre nell’immediato l’offerta professionale per la cui crescita qualitativa e quantitativa si investe un volume non indifferente di risorse monetarie e non, nel lungo periodo limita anche lo sviluppo economico e sociale nazionale, in particolar modo ostacolando la specializzazione dei settori tecnologicamente più all’avanguardia. Nei contesti d’accoglienza, di conseguenza, seguendo logiche perverse, si contraggono le occasioni di utilizzo produttivo della manodopera straniera, in un circolo vizioso che si autoalimenta. Le forme di pendolarismo migratorio che si generano all’interno delle comunità migranti possono divenire un efficace antidoto al propagarsi di dinamiche di fuga e spreco dei cervelli. Sebbene il panorama politico italiano sia ancora ( e forse sempre di più, stando alle ultime proposte di contrasto all’emigrazione emerse nella nuova compagine governativa e contenute nel pacchetto sicurezza in discussione al parlamento) ben lontano dal poter offrire ai migranti, anche blandi, incentivi per gettare le basi di un vero e proprio brain gain, nel tentativo di attrarre e servirsi di competenze altamente qualificate, è indubbio che percorsi di brain circulation abbiano un effetto positivo. La valorizzazione dello scambio di conoscenze con immigrati preparati e competenti può divenire il terreno fertile in cui far germogliare nuove occasioni di crescita e condivisione. Molti studi recenti hanno dimostrato come la brain circulation sia in grado di contribuire in maniera significativa al progresso di una nazione. L’analisi delle esperienze positive di rientro in patria ha evidenziato come il bagaglio di conoscenze acquisite all’estero abbia un ruolo determinante nel processo di modernizzazione del paese d’origine. In questo senso allora acquistano ancora maggior valore gli schemi d’azione circolari e rotatori che si dispiegano tra madrepatria e contesto d’accoglienza. L’immagine dei migranti pendolari che alternano periodi all’estero con ritorni regolari a casa per gli scopi più disparati, da quello affettivo a quello economico, diventa l’emblema stesso della comunità transnazionale ben
integrata. È utile, infatti, ricordare che solo se accompagnate da ingranaggi istituzionali in grado di favorirne l’accoglienza nelle aree di destinazione, le migrazioni possono diventare fonte di risorse molteplici, e per lo più ancora inesplorate.