IL COMUNE CONSOLARE (1099-1190)
II. 2b La continuità nel governo: famiglie di successo in età consolare.
Parlare di continuità nel governo della città significa in primo luogo far riferimento a quel gruppo di famiglie che – talvolta senza la consapevolezza di un’eterogeneità in effetti non immediatamente rilevabile – è ormai unanimemente identificato come «socialmente più solido, composto da personaggi di origine viscontile e da grandi mercanti (anche di origine esterna)», un insieme che «attraverso la compagna si è fatto gruppo dirigente del giovane comune, affiancato da qualche elemento nuovo, probabilmente di fortune mercantili più recenti»430. L’attenzione che si
rivolgerà a questo gruppo non sarà tuttavia fondata sull’analisi delle provenienze sociali delle singole famiglie o delle loro fortune in campo mercantile, ma sarà piuttosto diretta verso uno sguardo d’insieme che, attraverso l’esame delle occorrenze documentarie, ne verifichi la tenuta in campo politico. Si ragionerà così per esempi, non potendo prendere in considerazione tutte le ventidue famiglie di cui si diceva in precedenza, cercando di privilegiare i casi più documentati e di individuare comunque tratti comuni e punti di disomogeneità.
Una prima osservazione, di carattere più generale, è in ogni caso necessaria per potere in seguito procedere all’esame particolare delle singole realtà. Si è detto che le famiglie che accedono al governo comunale nel corso dei primi tre decenni del secolo XII (in regime di consolato «de comuni et de placitis»431, dunque) sono ventidue, un numero non certo esiguo, soprattutto se
raffrontato a quello dell’intero gruppo dei partecipanti al governo della città fino al 1190 (114 famiglie), di cui rappresenta quasi il venti per cento. Tale consistenza numerica evidenzia in maniera lampante quanto sia pertinente l’immagine di un forte nucleo di continuità nella politica genovese di età consolare. Pertinente, ma non certo esclusiva: non sembra infatti fuori luogo rimarcare come l’idea di una chiusura elitaria del gruppo di governo consolare non sia, nel modo più assoluto, condivisibile, ma sia piuttosto da riconsiderare alla luce proprio della costante tendenza all’allargamento della base politica432. In un’ottica di lungo periodo, si potrebbe quindi
430 Si cita da Polonio, Da provincia a signora del mare cit., p. 159, che mette ben in evidenza la natura composita
dell’élite di governo del secolo XII.
431 È la formula – evidentemente frutto di una riscrittura del testo posteriore al 1130 – con cui gli annali di Caffaro
identificano il regime consolare fin dalla compagna del 1099: Annali Genovesi cit., I, p. 5.
432 In tale senso si richiameranno due posizioni che, pur distanti cronologicamente e metodologicamente, si configurano
entrambe per l’analoga ricezione di un paradigma storiografico che affonda le proprie radici nell’idea di un comune “aristocratico”, controllato da un’élite che paralizzerebbe la mobilità sociale. Vito Vitale nel suo Breviario, ben poco attento agli aspetti sociali della storia cittadina, dopo aver individuato la consueta «nobiltà di origine viscontile o avvocatizia», mescolata con elementi che derivano il proprio prestigio «dal ripetuto esercizio della magistratura consolare», e averla contrapposta a una «classe di armatori, di navigatori, di mercanti anche relativamente modesti, che non tollera d’essere interamente esclusa dal consolato o di avervi una parte assolutamente secondaria», afferma infatti che «l’aristocrazia di nascita che domina il Comune è tutt’uno con la plutocrazia che dispone dei capitali occorrenti» per il sostegno finanziario del comune, ammettendo di fatto la chiusura del gruppo di governo su una base sociale ed economica (Vitale, Breviario cit., pp. 29-30).
affermare – con consapevole ecumenismo – come il gruppo di governo genovese non sia mai votato all’esclusività e mantenga vive al suo interno le esperienze della continuità assieme a quelle altrettanto significative della mobilità e del rinnovamento.
I de Guidone.
Già all’interno del primo collegio consolare – quello ormai più volte nominato della compagna del 1099 – si trovano esponenti di famiglie che avranno un ruolo di prim’ordine nella politica comunale di tutto il secolo XII. Quello stesso Guido di Rustico, per esempio, di cui già si è parlato riguardo alla qualifica comitale di suo nonno Rizo, con le sue presenze tra i consoli degli anni 1099- 1101, 1102-1106 e 1110-1114, è infatti l’niziatore di una presenza famigliare nel governo cittadino che sarà assidua fino agli anni Cinquanta. Suo figlio Ogerio, che assume come vero e proprio cognome il patronimico de Guidone, trasmettendolo in seguito anche alla propria discendenza, sarà console del comune per più volte, anche se l’esistenza di un «Ogerius Ogerii de Guidone», menzionato nel 1158 e in quell’anno certamente già maggiorenne433, non ci permette di distinguere
con precisione l’effettiva partecipazione di questo o quell’altro membro della famiglia alla politica cittadina434.
È comunque con buona probabilità il figlio di Guido quell’Ogerio che risulta fra gli uomini che giurano un trattato di alleanza stipulato, verosimilmente nel settembre 1146, tra i Genovesi e il conte di Barcellona Raimondo Berengario IV435. Allo stesso modo possiamo pensare che il
medesimo figlio del console del 1099 sia colui che accede al governo per due volte nel corso degli anni Trenta e per tre volte nel decennio successivo; qualche dubbio rimane invece sui consolati del 1154 e 1159, per i quali – ragionevolmente – si dovrebbe prendere in considerazione anche la possibilità che ad accedere alla massima carica del governo cittadino sia l’omonimo figlio di Ogerio. Ancora a metà degli anni Cinquanta, tuttavia, gli atti del notaio Giovanni scriba ostentano una indubbia sicurezza nell’individuare proprio nel figlio di Guido il punto di riferimento, e probabilmente l’individuo più anziano, dell’intera famiglia. Tra il 1154 e il 1158, Ogerio compare tra i testimoni di ben nove documenti privati, che riguardano naturalmente – come la maggior parte monopolio di una aristocrazia che sceglieva al proprio interno gli amministratori dello Stato», da cui consegue che «tale ceto, poiché deteneva la supremazia economica e il monopolio politico, può dunque essere legittimamente definito classe dirigente, così come il governo che ne era emanazione, Comune aristocratico» (Pavoni, Aristocrazia
e ceti dirigenti cit., pp. 345-346).
433 Egli è infatti testimone di un atto rogato da Giovanni scriba: Il Cartolare di Giovanni Scriba cit., I, doc. 381, pp.
199-200.
434 Un Ogerio de Guidone fa parte del collegio consolare negli anni 1132, 1139, 1142, 1145, 1147, 1154, 1159. 435 I Libri Iurium cit., I/6, doc. 934.
degli atti di questo notaio – membri dell’élite di governo cittadina: con tutta evidenza, la forza di un prestigio politico ormai affermato da parecchi anni si traduce anche nella fiducia da parte degli attori e dell’estensore dei negozi giuridici, oltre che nell’aperto riconoscimento di autorità in ambito famigliare da parte dei propri figli, che usano il nome del padre come elemento identificativo436.
Pochissime sono le notizie a nostra disposizione che permettono di inquadrare la famiglia de
Guidone in un preciso contesto sociale ed economico. Tuttavia, proprio la menzione di Ogerio senior437 e di suo figlio Guido come protagonisti di un’operazione commerciale di valore cospicuo
apre uno spiraglio non trascurabile per ipotizzare la fortunata affermazione dei discendenti del console del 1099 nell’ambito dei traffici marittimi: certamente sappiamo che nell’agosto 1156 il figlio e il nipote di quel Guido di Rustico sono in affari con il mercante salernitano Solimano, dimostrano dimestichezza con strumenti anche sofisticati come sono i contratti di cambio marittimo, dispongono di capitali di valore non trascurabile438 e partecipano alla navigazione
commerciale affrontando in prima persona i pericoli del mare439. Sebbene tutto questo faccia
pensare a una pratica della mercatura non certo episodica, ma anzi ben sperimentata e probabilmente anche fonte di alti profitti, mancano altre testimonianze per far luce sull’attività economica dei de Guidone.
Di Ogerio (presumibilmente il figlio di Guido) sappiamo ancora che possiede una casa in Genova, con un porticato che funge da luogo d’incontro per dirimere le questioni famigliari. È qui che nell’ottobre 1157 Giovanni scriba roga l’atto con cui Simone Doria – membro di una famiglia
436 Il Cartolare di Giovanni Scriba cit., I., doc. 3, p. 2; doc. 4, pp. 2-3; doc. 8, pp. 4-5; doc. 14, p. 7; doc. 94, pp. 50-51;
doc. 193, p. 100-101; doc. 226, p. 121; doc. 301, pp. 160-161; doc. 302, p. 161; doc. 363, p. 189-190. Guido figlio di Ogerio è menzionato nell’agosto 1156 in op. cit., I, docc. 113-114, pp. 60-61. Il nome di Ogerio «Ogerii de Guidone» compare invece tra i testimoni di un atto datato aprile 1158: op. cit., I, doc. 381, pp. 199-200.
437 La precisazione è un semplice artificio per facilitare la distinzione tra il figlio di Guido, che le fonti sempre
identificano come «Ogerius de Guidone», e l’omonimo figlio di quest’ultimo, «Ogerius Ogerii de Guidone».
438 La somma di 140 lire in pepe e spezie, con cui si quantifica l’ammontare dell’investimento e del guadagno ricavato
dal cambio marittimo su Alessandria d’Egitto è senza dubbio cospicua. Per un raffronto semplice e consapevolmente ingenuo si presenta una veloce ricognizione del prezzo medio di una tavola di terra da esponenti del gruppo di governo cittadino, basata sulle testimonianze desunte dal cartolare del notaio Giovanni scriba: se si prescinde dal valore proprio di ciascun appezzamento – ovviamente legato a fattori variabili mai valutabili per intero –, circa 27 metri quadrati (secondo le stime di Rocca, Pesi e misure cit., p. 107) alla metà del secolo XII costano da un minimo di 3 soldi (terra in Trasta, sul medio corso del Bisagno: Il Cartolare di Giovanni Scriba cit., I, doc. 397, p. 210) fino a un massimo di 7 lire e sei soldi (proprietà disgiunta di una terra edificata posta «prope ecclesiam Sancti Ambrosii»: op. cit., I, doc. 621, pp. 336-337); il valore medio ponderato è invece di 10 soldi per tavola. Sul sistema monetario genovese nel pieno medioevo si vedano P. F. Casaretto, La moneta genovese in confronto con le altre
valute mediterranee nei secoli XII e XIII, in «ASLI», 55 (1928); M. Chiaudano, La moneta di Genova nel secolo XII, in Studi in onore di A. Sapori, t. I, 1957, pp. 187-214; R. S. Lopez, Prima del ritorno dell’oro nell’Occidente duecentesco: i primi denari grossi d’argento, in «Rivista Storica Italiana», LXXIX (1967) (ora in Id., Su e giù per la storia di Genova, Genova 1975, pp. 305-312).
Una stima del valore di alcuni beni di consumo a Genova nel Duecento è disponibile in G. Petti Balbi, Il libro nella
società genovese del secolo XIII, in «La bibliofilia», LXXX (1978), p. 16. Al valore intrinseco delle merci trafficate
nella Genova pieno medievale, e al relativo concetto di pregio, ha dedicato ampio spazio S. Viel, La circolazione dei
manufatti pregiati a Genova nei secoli XII e XIII, tesi di dottorato, Università degli studi di Torino, A. A. 2008-2009, tutores R. Bordone e M. Gallina.
che proprio nella prima metà del secolo XII pone le basi di un prestigio politico che durerà per secoli – promette di fare in modo che Burdella, verosimilmente appartenente anch’essa alla famiglia Doria, riconosca a Ogerio le 40 lire dell’antefactum ricevute per il matrimonio con un figlio di quest’ultimo, con buona probabilità già defunto440. Si tratta di notizie frammentarie, talvolta
addirittura incidentali, ma che aprono comunque qualche possibilità di comprensione. La casa con
porticu non è un tipo abitativo comune, in una città ancora per buona parte occupata da edifici in
legno441, bensì una sorta di spazio di comunicazione, a metà tra una dimensione domestica e una più
marcatamente pubblica, nel quale i membri dell’élite cittadina (poiché essi sono i proprietari dei porticati menzionati dalle fonti) sanciscono giuridicamente gli episodi delle proprie attività economiche.
Neppure la menzione del possesso di un modesto appezzamento di terra in Nervi, poco a est rispetto alla città, risulta un elemento illuminante per inquadrare economicamente la discendenza di Guido di Rustico442. Tuttavia essa dimostra come, anche in un contesto dove la pratica commerciale
risulta l’unica attività economica documentata, esistano forme di possesso fondiario che cogliamo ancor più incidentalmente dei traffici marittimi, soltanto in caso di transazioni e comunque sempre con molta approssimazione riguardo al valore e alla reale ampiezza. La disponibilità di un unico registro notarile, scritto da un professionista operante nel pieno centro della città con una clientela decisamente selezionata verso l’alto e con una spiccata disposizione verso la trattazione di negozi commerciali443, rende difficili da valutare la consistenza e persino l’esistenza stessa di nuclei
patrimoniali fondiari. Comunque, la conservazione di un documento riguardante il possesso di terra, lungi dal rappresentare una implicita conferma della tendenza – da parte del gruppo di governo genovese della metà del secolo XII – a privilegiare gli investimenti economici invece di quelli fondiari, potrebbe assumere ancor più valore proprio per il contesto in cui si trova.
La visibilità documentaria dei discendenti di Guido di Rustico registra una netta flessione dopo la metà del secolo. Certamente, per quanto riguarda gli atti privati, si deve sempre tenere presente la possibilità della dispersione della maggior parte dei registri dei notai attivi in ambito urbano. Tuttavia, la prospettiva cambia radicalmente se si considera l’aspetto della partecipazione alla
440 Non si può tuttavia escludere che il matrimonio sia stato annullato per una causa diversa dalla morte del figlio di
Ogerio, di cui non conosciamo il nome. op. cit., I, doc. 302, p. 161.
441 Si veda a tale proposito quanto osservato in Grossi Bianchi-Poleggi, Una città portuale cit., pp. 55 sgg.
442 Nel dicembre 1160 Ogerio vende queste 25 tavole di terra a Ruggerone de Castro, ricavandone poco meno di 6 lire:
Op. cit., I, doc. 791, pp. 424-425.
443 Così come è innegabile l’eccezionale concentrazione di atti di carattere commerciale in alcuni notai (primo fra tutti
Giovanni scriba), rilevata dalla totalità di coloro che si sono avvicinati negli ultimi cinquant’anni alla storia di Genova nel secolo XII, esistono anche notai con “specializzazioni” non afferenti al mondo marittimo: si possono citare, a titolo esemplificativo, i casi dei cartolari di Guglielmo Sapiens (A. S. G., Notai Antichi, cartt. 7, 59), contenente numerosi documenti concernenti la compravendita di muli, o quello del notaio Matteo de Predono (A. S. G., Notai Antichi, cartt. 18/II, 31/I, 31/II, 32, 129), che si dedica principalmente al mondo artigianale.
politica cittadina: dal 1159, quando Ogerio de Guidone è menzionato per l’ultima volta fra i consoli del comune, al 1190, quando Bonifacio quondam Ogerii de Guidone accede al consolato dei placiti, non si hanno infatti notizie di alcun tipo di rapporto fra i membri della famiglia e le istituzioni pubbliche. La continuità genealogica non è ovviamente in discussione, poiché anche il problema che si presenta nell’individuare i nessi di discendenza non risulta davvero trascurabile. Già nel 1179 abbiamo infatti notizia dell’esistenza in vita e della maggiore età di un Bonifacio figlio di Ogerio, testimone di un contratto di societas stipulato da due membri dell’élite consolare444. Il dubbio sta,
ancora una volta, nell’identificazione – assai probabile – di questo Ogerio Guidonis con il figlio del console del 1099, che non permette tuttavia di escludere anche la possibilità di un riferimento al nipote di quest’ultimo, il quale avrebbe assunto il nome del nonno come vera e propria forma cognominale.
Le notizie che possediamo riguardo a questo Bonifacio risultano assai scarse. Nello stesso anno in cui accede al consolato dei placiti, il 1190, lo sappiamo parte attiva in un’operazione dai contorni piuttosto netti. Nel mese di aprile infatti, assieme a Lanfranco Roza e Ansaldo Sardena, anch’essi appartenenti a famiglie che hanno avuto accesso al consolato già nei decenni precedenti, dichiara di dover pagare, per alcune merci che lui e i suoi soci avrebbero ricevuto, una somma di poco superiore a 58 lire in favore di Pietro de Canavaço di Piacenza. Con un atto immediatamente successivo, i tre si accordano invece con Airaldo, vescovo di Albenga, il quale promette di corrispondere loro la stessa somma di 58 lire. Dalle parole del presule si comprende come la vicenda si collochi nel contesto di un’azione vescovile di recupero delle decime patrimonializzate dai laici, una situazione del tutto analoga a quanto accade parallelamente a Genova. Bonifacio, Lanfranco e Ansaldo sono infatti intervenuti presso Pietro de Canavaço ricevendo in mutuo le 58 lire, che hanno in seguito girato ad Airaldo perché le spendesse «in solucione decime de Diano et Servo quam emi a Bonifacio Marchione de Gravexana»445. A prescindere dal significato politico che
potrebbe assumere una relazione di questo tipo fra alcuni abitanti di Genova e il presule ingauno, non sembra fuori luogo sottolineare il prestigio di cui godono i tre presso il vescovo. Airaldo si dichiara pronto a offrire in pegno «omnia bona ecclesie mee», mascherando dietro la freddezza di un formulario ricorrente una consapevole fiducia verso i propri interlocutori. In buona sostanza, egli sembra riconoscere a Bonifacio e ai suoi soci una certa familiarità con il prestito di denaro, che permette di avanzare cautamente l’ipotesi di una pratica non occasionale dell’attività feneratizia.
444 A. S. G., Manoscritti, n. 102, c. 19 v. I due attori del negozio sono Martino Burone e Guglielmo Burone,
quest’ultimo probabilmente nipote dell’omonimo Guglielmo, protagonista della politica cittadina dagli anni Trenta agli anni Sessanta del secolo XII.
445 Oberto Scriba de Mercato (1190), a cura di M. Chiudano e R. Morozzo della Rocca, Genova 1938, doc. 375-376,
pp. 147-148. Diano e Cervo sono due località litoranee – dell’ordine di grandezza di un villaggio – poste circa venti chilometri a ovest di Albenga, assai vicine a Porto Maurizio (l’attuale Imperia).
Anche quest’unica notizia riguardante il console dei placiti in carica nel 1190 ci mostra dunque una famiglia economicamente solida, ma dal profilo sempre piuttosto sfuggente. L’unica certezza risulta essere la capacità estemporanea di riacquisire una posizione politica che si era perduta dopo la metà del secolo: una capacità che tuttavia è da mettere in relazione con la vistosa difficoltà a esprimere più individui in grado di partecipare assieme alla politica cittadina e alle attività economiche. Tale dinamica va verosimilmente ricondotta a due ragioni fra loro complementari: da un lato la strutturazione della famiglia stessa, che porta alla preminenza ben definita di un solo individuo (ciò si è visto chiaramente nel caso di Ogerio figlio di Guido), dall’altro – in strettissima connessione con quest’ultimo aspetto – l’effettiva esiguità del numero di individui maschi presenti nella famiglia. L’estrema rarefazione delle menzioni documentarie infatti, a prescindere dal problema della dispersione dei cartolari notarili, potrebbe essere ricondotta molto banalmente all’esistenza in vita di pochi discendenti di Guido di Rustico, anch’essi evidentemente poco prolifici.
Tuttavia, non esiste alcun elemento che porti a escludere, anche in questo caso, l’ipotesi di un fallimento politico per cause che naturalmente ci rimarrebbero ignote. In questo senso, risulta interessante valutare quanto emerge da un manipolo di documenti datati luglio 1214. Nel porticus della casa di Donadeo de Guidone, Adalasia, moglie di quest’ultimo si accorda con suo fratello Ansaldo Tabacco, figlio del defunto Ido, per una questione relativa a una cospicua somma di denaro (100 lire) ricevuta in eredità dal padre: la donna rinuncia a metà del denaro in cambio dei diritti detenuti dal fratello su metà di una casa lasciatale in eredità dal padre446. Con un atto
immediatamente successivo, la stessa operazione è ripetuta anche dall’altra sorella di Ansaldo, Sibilia, moglie di Nicola Usodimare447. In stretta successione è poi la volta delle due sorelle:
Adalasia vende a Sibilia una terra dell’eredità paterna, di valore cospicuo (270 lire) ma di estensione sconosciuta, posta nel luogo detto Braida, poco fuori dalle mura a est della città448;
Sibilia invece, con il consiglio del marito, vende alla sorella una casa ricevuta dal padre, posta «in mercato grani», nelle vicinanze della chiesa di San Pietro de Porta e della ripa maris, in uno spazio abitativo che sembra rispecchiare ancora alla fine del secolo XII il riconoscimento dell’effettiva origine funzionariale di alcune famiglie449.
446 A. S. G., Notai Antichi, cart. 11, c. 10 v. (not. Simone Donato). La verosimiglianza del legame parentale tra Donadeo
e i discendenti di Guido di Rustico è resa evidente dalla presenza, tra i testimoni presenti, di Bonifacio de Guidone.
447 A.S. G., Notai Antichi, cart. 11, c. 11 r. 448 A. S. G., Notai Antichi, cart. 11, cc. 11 v.-12 v.
449 Luciano Grossi Bianchi ed Ennio Poleggi, a proposito dello spiazzo di mercato più antico della città, situato presso il
principale sbocco a ponente della cinta muraria di età carolingia, sottolineano come la geografia degli insediamenti famigliari e del possesso di immobili rimandi senza dubbi a famiglie di origine viscontile (Grossi Bianchi-Poleggi,
Una città portuale cit., p. 96). In effetti, attorno al mercato di San Pietro, possiedono case i Visconti, i Carmadino,