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La «compagna comunis» nel secolo XII.

IL COMUNE CONSOLARE (1099-1190)

I. Questioni istituzionali.

I.1. La «compagna comunis» nel secolo XII.

«Tempore enim stoli Cesarie, paulo ante, in civitate Ianuensium compagna trium annorum et sex consulorum incepta fuit»281. Con queste parole, asciutte e quasi incidentali, l’annalista Caffaro

descrive per la prima volta – riferendosi all’anno 1099 – quello che storiograficamente è considerato come il primo nucleo del comune genovese. Non si tratta di un vero e proprio organo istituzionale, ma di un’associazione di individui, i cui contorni rimangono per noi piuttosto indefiniti a causa di una situazione documentaria alquanto lacunosa. Proprio il punto di vista documentario – nonostante la scarsità di notizie – può essere comunque una base di partenza solida per illustrare in breve in cosa consista ciò che tutte le fonti di inizio secolo XII indicano con il termine compagna.

Già Renato Bordone, nel suo saggio sulle origini del comune genovese, ha dato una definizione di questo organo associativo, parlando di «una struttura originariamente commerciale e in quanto tale temporanea e consensuale, scelta come forma di individuazione politica da una società a bassa sensibilità istituzionale»282. Tale affermazione mette in evidenza due aspetti tra loro strettamente

collegati: la matrice principalmente economica – e dunque non politica in senso stretto – della

compagna, e la scarsa capacità, da parte della società genovese, di creare istituzioni forti per il

governo della città.

Non si tratta di un luogo comune, quello della debolezza delle istituzioni, ma di una tendenza ben riscontrabile, almeno a livello indiziario. Già si è detto, nel paragrafo precedente, di come nei

281 Annali Genovesi cit., I, p. 5.

282 Bordone, Le origini cit., p. 253; in maniera convincente l’autore contrappone la propria definizione di compagna a

quella proposta negli anni Cinquanta del secolo scorso da Vito Vitale, che ipotizza il carattere rionale dell’associazione e ne sposta il valore sugli aspetti militare e giudiziario: Vitale, Breviario cit., I, p. 15. Un’altra definizione è data da Giovanna Petti Balbi, che – alla luce di alcune osservazioni, ormai datate, di Ubaldo Formentini – parla di «un’associazione spontanea non di classe, ma di cittadini (gli «habitatores Ianue»), i quali si giudicano reciprocamente utili ai fini comuni, che inizialmente vive de facto e non de iure»: Petti Balbi, Caffaro e la

secoli X e XI né il vescovo né tantomeno il potere pubblico siano riusciti a ottenere un qualche controllo di carattere politico sulla città. Ciò non si verifica tanto per una pretesa tendenza all’autogoverno individualistico di una società economicamente in fermento, ma risulta essere in linea con quanto accade in molte altre città italiane: in questi anni il panorama politico pare dappertutto popolato da soggetti in competizione, che aprono per la società e le istituzioni urbane un ampio ventaglio di possibilità sperimentative. Per Genova si collocano dunque in tale contesto non soltanto i riconoscimenti pubblici delle consuetudines degli abitanti, l’apparente assenza del vescovo dal governo cittadino e la tendenza a una stratificazione sociale su base prevalentemente patrimoniale ed economica, ma anche una generale situazione politica improntata da una tensione che – almeno nella seconda metà del secolo XI – si avverte come costante283.

Proprio le contraddizioni di questa situazione politica rendono possibile il lento e progressivo sviluppo di una auto-regolamentazione che sfocerà nella compagna e nell’istituzione consolare. Già dalla metà del secolo si ha la sensazione – non supportata da certezze documentarie – che un gruppo di esperti di diritto, notai e iudices, garantisca l’amministrazione della giustizia in città nell’assenza di poteri pubblici o pubblicamente delegati284. È tuttavia attorno agli anni 1080-1090 che si coglie il

vero cambiamento in corso a livello socio-politico. Un documento datato 1087, con cui il vescovo Corrado II dona ai suoi canonici una chiesa urbana distrutta «quorumdam iniquorum invasione», è letto come desiderio di ricompattamento a livello ecclesiastico, dopo le tempestose vicende che avevano portato a una spaccatura tra il presule e i clerici vescovili285. A prescindere dalle ambiguità

interpretative che porta con sé, la donazione è certamente sintomo di uno sforzo vescovile mirato a rimettere in sesto l’immagine della Chiesa locale, attraverso il ricorso a una struttura che assumerà

283 Oltre al citato documento del 1052, in cui l’accordo di presunta riappacificazione tra vescovo e ceppi viscontili

sembra essere artificioso e poco spontaneo, lasciando intravedere sullo sfondo un attrito non del tutto eliminato, nel 1134 un’altra fonte informa, che per tutta la seconda metà del secolo XI, la situazione a livello ecclesiastico è stata alquanto agitata. È infatti il papa Innocenzo II che riferisce di aver ascoltato, durante la composizione di una lite tra il monastero di San Siro e i canonici della sede vescovile San Lorenzo per alcuni diritti di decimazione, una testimonianza che parlava di una serie di vescovi (da Oberto ad Airaldo, dunque per il periodo 1052-1097), «alios procubitores, alios vero barbaros», che si sono succeduti per settant’anni sulla cattedra genovese senza allinearsi alle posizioni gregoriane, procurando così profondi dissidi con una parte – evidentemente filo-riformatrice – dello stesso clero, tanto che «multi etiam canonicorum Ianuensium pro malis et oppressionibus que sibi inferebantur extra civitatem longo tempore remansissent»: Le Carte del Monastero di San Siro cit., I, doc. 92, pp. 142-146.

Alle agitazioni sul piano ecclesiastico si affianca poi – come rileva Renato Bordone – una generale propensione della società genovese all’azione poco coordinata, specchio dell’assenza di una guida politica forte. Ciò è riscontrabile in maniera particolare nelle operazioni militari intraprese sempre durante la seconda metà del secolo XI: laddove – per esempio – gli abitanti di Pisa organizzano la spedizione anti-saracena del 1087 «in forma ufficiale e unanime», guidati dal visconte Ugo – vero e proprio capo politico della città –, le forze genovesi si presentano piuttosto frammentate, caratterizzate da un modello di partecipazione esclusivamente privato: Bordone, Le origini cit., pp. 250-252; sulla vicenda e con un’analoga interpretazione si veda anche Polonio, Da provincia a signora del

mare cit., pp. 132-133.

284 Così ipotizza Renato Bordone, sulla base di testimonianze dell’attività in città – soprattutto in qualità di scrittori e

autenticatori di documenti – svolta da questi individui: Bordone, Le origini cit., p. 248, in particolare la nota 32.

285 Polonio, Istituzioni ecclesiastiche cit., pp. 120-121; il documento in questione è edito in Liber privilegiorum

sempre più il ruolo di rappresentante, anche a livello pubblico, dell’intera città: la canonica della «ecclesia mater» di San Lorenzo286.

È probabile che una tale azione, non importa se diretta all’intera comunità canonicale o alla parte di essa politicamente allineata al sicuro anti-riformismo vescovile, si configuri comunque come volontà di affermare – anche simbolicamente – la necessità di un ricompattamento che vada oltre le questioni ecclesiastiche. Non è infatti da trascurare il valore che possono avere la donazione di una chiesa urbana, distrutta in circostanze verosimilmente da collegare ai disordini in città (le «quorumdam iniquorum invasiones», dove gli iniqui sarebbero gli esponenti del partito avverso al vescovo), e la raccomandazione fatta ai canonici di celebrarvi «cum summa diligentia» le liturgie per i cittadini: sembra essere il tentativo di attribuire un ruolo di pacificazione sociale alle istituzioni ecclesiastiche urbane.

In tale contesto matura il nuovo clima che porterà all’istituzione della compagna. Ancor prima del 1099 – anno in cui, come si è visto, Caffaro riferisce per la prima volta di questa forma associativa –, si ha notizia di Amico Brusco che, probabilmente nell’aprile 1098, «erat consul civitatis»287. Alla luce di questa attestazione, risultano cariche di significato le parole dello stesso

Caffaro, che parla di un periodo, anteriore alla partenza per Cesarea (coincidente con la ricordata istituzione di una «compagna trium annorum»), in cui la città rimane «sine consulatu et concordia», in balia di lotte e guerrae interne288. Proprio sulla base di queste affermazioni è stata ipotizzata la

presenza a Genova, negli ultimi anni del secolo XI, di un vero e proprio «regime di concordia», un’intesa tra gli abitanti volta a tenere a freno le continue discordie e a garantire un ordine politico alla città, probabilmente anch’essa fondata sul ricorso alla struttura stessa della compagna289.

Sarebbe pertanto da leggere in una prospettiva di relativa continuità rispetto al recente passato la notizia dell’istituzione di una struttura retta da sei consoli appena prima della partenza della spedizione “ufficiale’’ in Terrasanta, conclusa nel 1101 con la partecipazione all’assedio vittorioso di Cesarea290. Un’associazione di persone dunque, fortemente improntata dalla pratica mercantile,

286 Il documento si colloca infatti nel contesto descritto dai testimoni ascoltati da Innocenzo II nel 1134, di cui si diceva

alla nota 36: la donazione di Corrado – diretta a un soggetto, la «canonica Sancti Laurentii», che trascende da ogni riferimento all’individualità dei clerici coinvolti – potrebbe così essere interpretata non tanto come concessione magnanima a una parte contrapposta, ma come volontà di appoggiare un’istituzione, quella dei canonici rimasti in città, di sicura affidabilità politica. A questo proposito si veda quanto detto in L. Filangieri, La canonica di San

Lorenzo cit., in particolare le pp. 13-14, riferite alla donazione del 1087.

287 A. Olivieri, Serie dei consoli cit., p. 67; la datazione del documento è proposta dubitativamente in M. Calleri, Gli usi

cronologici genovesi nei secoli X-XII, in «ASLI», n. s., XXXIX/1 (1999), pp. 25-100, disponibile in formato digitale

in <http://scrineum.unipv.it/biblioteca/scaffale-ae.html#Marta%20Calleri>.

288 Cafari, De liberatione civitatum Orientis, in Annali Genovesi cit., I, pp. 99-124 (il passo citato è a p. 111). 289 Bordone, Le origini cit., pp. 252-253; la citazione è a p. 252.

290 Sulle partecipazioni genovesi alla prima crociata si vedano Polonio, Da provincia a signora del mare cit., pp. 131-

136 e M. Balard, I Genovesi in Siria-Palestina (secc. XII-XV), in Genova, una’’porta’’ del Mediterraneo, a cura di L. Gallinari, Genova 2005, pp. 1-29 (in particolare le pp. 3 sgg.).

che si presenta con forme strettamente private: lo stesso Caffaro, affermando che la compagna del 1099, con cui si aprono i suoi Annales, è istituita «paulo ante» la partenza verso Cesarea, lascia intuire il carattere transitorio e probabilmente anche congiunturale di un’istituzione che sembra – almeno per questo primo periodo – costituire nulla più di un embrione di ordinamento comunale.

Per poter meglio comprendere come, partendo da una forma così provvisoria e privata di accordo, si giunga alla definizione di una struttura veramente definibile come’’comunale’’ è necessario prestare uno sguardo al lessico usato dalle fonti documentarie e – naturalmente – annalistiche. Proprio Caffaro, per i primi tre decenni del secolo XII, usa il termine compagna per scandire il susseguirsi degli accordi politici in città, con il significato di’’compagine di governo’’: si tratta della stessa scelta lessicale fatta nel 1099, che è reiterata fino al 1122. In questo senso l’annalista presenta le vicende politiche cittadine come un susseguirsi quasi automatico di

compagnae: dopo il primo accordo triennale si hanno così quelli a scadenza quadriennale, per il

periodo 1102-1121291.

La stessa costruzione del testo degli Annales lascia trasparire quale sia il valore che Caffaro sembra voler dare a questo termine, un valore in primo luogo politico292. Non è infatti da

sottovalutare la collocazione del riferimento alla compagna del 1099 proprio all’inizio del testo annalistico, in modo da dare la sensazione di una subordinazione della partenza verso la Terrasanta all’accordo politico in città. In realtà – a prescindere dalle ragioni ideali che spingono Caffaro ad accostare in maniera deterministica la partecipazione alla crociata con le prime notizie sul nascente maggiore di Caffaro, infatti, è probabilmente parte di un testo più ampio redatto dall’annalista che, forse neppure ventenne, partecipò di persona alle operazioni militari intraprese nel 1100 sotto la guida di Guglielmo Embriaco. Da questo primo testo sarebbero derivati sia l’inizio degli Annales – la cui scrittura è ufficializzata dal comune soltanto nel 1152 –, sia il Liber de liberatione civitatum Orientis, racconto più dettagliato che narra le vicende crociate fino al 1109: si vedano in proposito G. Arnaldi, Uno sguardo agli annali genovesi, in Studi sui cronisti della Marca

Trevigiana nell’età di Ezzelino da Romano, Roma 1963, pp. 225-245; G. Petti Balbi, Caffaro e la cronachistica cit.,

in particolare le pp. 24-26 e 108-111; Ead., Caffaro, in Dizionario Biografico degli Italiani, XIV (1973), pp. 256- 260; M.Montesano, Genova e la Terrasanta. La fondazione di un mito, in Gli Annali di Caffaro cit., pp. 31-48; F. Sweppenstette, Die Politik der Erinnerung. Studien zur Stadtgeschichtsschreibung Genuas im 12. Jahrhundert, Frankfurt am Main 2003, recensito da P. Guglielmotti in «Studi medievali», s. III, XLVI/1 (2005), pp. 207-217. L’attenzione posta da Caffaro alla partecipazione genovese alle crociate – tanto da farne momento fondante dell’istituzione del comune – andrebbe comunque valutata nell’ottica della costruzione di una storia comunale che segue un percorso molto linearizzato e semplificato, una sorta di immagine fatalistica dell’evoluzione istituzionale in città: in questo senso la crociata rappresenterebbe un ideale punto di partenza, un’occasione che permette all’annalista di presentare una società unita e pacificata impegnata militarmente in maniera concorde, in grado di far maturare le proprie istituzioni di fronte alle esigenze belliche. In realtà è evidente come Caffaro non soltanto tenda a mantenere sotto silenzio o quantomeno a edulcorare – soprattutto negli Annales – i conflitti interni alla società cittadina (su questo aspetto C. Wickham, The sense of the Past in Italian communal narratives, in Id., Land and

Power: studies in Italian and European social history, 400-1200, London 1994, pp. 295-312), ma usi la crociata

come prestigioso trampolino di lancio per una evoluzione istituzionale che indubbiamente è già in atto da tempo.

291 Annali Genovesi cit., I, pp. 14-18.

292 In questo senso si possono leggere anche le parole di Gabriella Airaldi, che come «ai consoli» – espressione diretta

della compagna – «rinvia la scelta del sistema cronologico sul quale è costruito il racconto; il riferimento culturale all’uso antico trova però, proprio nella scelta d’imprimere un’’tempo consolare’’ all’andamento della storia genovese, la volontà di rispettare i ritmi della vita cittadina»: G. Airaldi, Elogio della diversità, in Gli Annali di

comune – tutta la prima parte degli Annales rimanda alla centralità assunta, nel panorama politico cittadino, da una struttura come la compagna: per i primi due decenni del secolo XII, il testo è infatti diviso non tanto in blocchi corrispondenti a un anno, ma in paragrafi più ampi, relativi ai quattro anni dell’accordo politico. Ogni paragrafo ha inizio con il riferimento all’istituzione di una nuova compagna293, che da un lato mette in rilievo la continuità con il recente passato, in un

susseguirsi ciclico che richiama paradossalmente – sia pure nella sua provvisorietà – un’idea di stabilità, dall’altro lascia intravedere proprio la dimensione politica degli ordinamenti che reggono il governo cittadino.

Quest’ultimo aspetto, che può dare inizialmente un’impressione di ovvietà, merita una breve puntualizzazione. Non esiste infatti una sola fonte, documentaria o annalistica, che faccia luce su quale sia la reale fisionomia della compagna: risulta evidente come l’attribuzione di un carattere politico a questa struttura debba basarsi su congetture desunte dalle fonti in maniera quasi impressionistica. In tal senso i costanti richiami di Caffaro ai rinnovi dell’istituzione, e alla nomina di nuovi consoli, sono le attestazioni che più di ogni altra pongono in maniera chiara la compagna al centro delle vicende politiche cittadine. Il testo annalistico mostra l’immagine di una città in cui il ricorso all’accordo temporaneo, attraverso la consueta struttura, è la base politica necessaria su cui si fondano le possibilità di azione interna ed esterna dell’autonomia urbana.

Tuttavia, se il racconto di Caffaro lascia intuire come la compagna sia un imprescindibile motore politico (almeno per i primi due decenni del secolo XII), ancora oscuri rimangono la sua struttura istituzionale e i suoi funzionamenti. Certamente degna di nota è la svolta lessicale operata negli Annales in corrispondenza dell’inizio del consolato del 1122294: da quest’anno in poi – assieme

all’annualizzazione del consolato – si assiste a una vera e propria sparizione del termine compagna dal vocabolario di Caffaro. Il governo cittadino cessa di essere identificato nella “compagine’’ che esprime i consules, così come questi stessi ultimi, ormai essi soli posti idealmente al vertice della politica urbana, cessano di essere accostati in maniera sistematica alla compagna. Se le evidenze documentarie non imponessero prudenza, si sarebbe persino portati a ipotizzare il definitivo declino del ricorso a questi accordi temporanei, in favore di una articolazione istituzionale più solida da parte della nascente res publica genovese, le cui tracce si avvertono forti nella comparsa – proprio nel 1122 – di figure come i «clavarii scribanique» e il cancellarius295.

Un esame dei documenti prodotti dal comune soprattutto nel corso dei decenni centrali del secolo XII mostra tuttavia in maniera chiara come la struttura della compagna sia presente – almeno

293 Solitamente Caffaro usa un’espressione simile a quella riferita all’anno 1104: «expletis predictis .IIII. annis, incepta

fuit alia compagnia similiter...», op. cit., p. 14.

294 Op. cit., p. 18.

295 «Clavarii scribanique, cancellarius, pro utilitate rei publice, in hoc consulatu primitus ordinati fuerunt»; op. cit., p.

fino agli anni Settanta – nel panorama politico cittadino296. Nel febbraio 1174 infatti Drogo di

Buonconsiglio e i suoi fratelli Gerardo, Giovanni e Guidotto rivolgono una supplica ai consoli con l’intenzione di acquisire i diritti propri dei «cives Ianue»297. A prescindere dai motivi contingenti

della richiesta – apparentemente legati al matrimonio tra Gerardo e una «nobilem Ianuensem civem» –, sembrano interessanti le condizioni che i quattro fratelli si propongono di rispettare in cambio della concessione di quanto richiedono. In primo luogo essi si propongono di «iurare compagnam civitatis Ianue», lasciando intendere come il ricorso al giuramento politico secondo le forme consuete sia l’imprescindibile presupposto per l’ottenimento dello stato di civis. All’indicazione di questo proposito seguono poi una serie di precisazioni che, se non possono essere ricondotte con certezza all’ingresso nella compagna, sono senza dubbio da considerare come azioni caratterizzanti in senso politico, veri e propri attestati di compatibilità con la comunità urbana: i quattro fratelli si accordano infatti con i consoli manifestando la volontà di contribuire «sicut Ianuenses» alle imposizioni dirette – indicate come collecta (per la quale si impegnano a versare la cospicua somma di 200 lire) e dispendium298 – e di prestare servizi di carattere militare in qualità di

cavalieri nell’esercito comunale299.

Gli impegni presi da Drogo e dai suoi fratelli non sono comunque volti solo all’acquisizione della cittadinanza che, anzi, sembra rimanere quasi sullo sfondo: il vero interesse dei quattro sembra essere la concessione – accordata da parte dei consoli – del diritto a «portare vel mittere per mare in pelagus, quocumque voluerint, valens librarum quadringentarum, sicuti proprii cives Ianue», senza essere tassati se non al pari degli altri abitanti di Genova. Si tratta in buona sostanza di un vero e proprio scambio tra la possibilità di commerciare una quantità di merci dal valore cospicuo, a condizioni sicuramente favorevoli, e gli impegni finanziario e militare nei confronti del comune.

296 Si intende qui, naturalmente, la compagna come struttura politica, dalla quale promana il governo comunale, e non

la distrettuazione territoriale urbana cui fanno riferimento in maniera consueta le fonti fin dagli anni Trenta del secolo XII. È l’annalista Caffaro che riporta, riferita all’anno 1130, la notizia dell’istituzione di sette compagnae che suddividono la città in distretti rionali per l’amministrazione della giustizia; nel 1134 è poi aggiunta una nuova compagna: Annali Genovesi cit., I, pp. 25 e 27. Già nel gennaio 1137 il racconto annalistico trova riscontro documentario: I Libri Iurium cit., I/1, doc. 31, dove si menziona un intervento «duorum hominum per compagnam».

297 I Libri Iurium cit., I/1, doc. 217.

298 Sull’uso dell’imposizione diretta e indiretta nel secolo XII si veda G. Felloni, Note sulla finanza pubblica genovese

agli albori del comune, in Comuni e memoria storica cit., pp. 329-351 (in particolare la p. 342 per il riferimento a collecta e dispendium). Un altro esempio di accostamento tra l’ingresso nella compagna e l’imposizione fiscale (in

questo caso indiretta) si ha nel 1201, quando i domini di Lagneto e Celasco – due piccole località finitime a Framura, nella Riviera di Levante, a circa settanta chilometri di distanza da Genova – promettono di giurare la