Grafico 2: Immissione di nuove famiglie nel gruppo di governo (1099-1190).
III.2. Gruppo di governo e militia a Genova nel secolo XII: un’equazione verificabile?
Un recente studio, condotto sulla base di un complesso di indagini prosopografiche sui comuni consolari (che ovviamente non comprendono il caso genovese), ha permesso di identificare l’insieme degli individui che partecipano al governo delle città dell’Italia centro-settentrionale nel secolo XII come gruppo di milites, cioè di persone che fondano la propria eminenza sociale sulla superiorità nell’esercizio della guerra701. Tale superiorità è data dalla possibilità, tutta di natura
economica, di acquistare e mantenere un equipaggiamento idoneo al combattimento a cavallo, una possibilità costruita attraverso il possesso di terra, il commercio e la stessa attività bellica.
Alcuni dei profili famigliari presentati in questo capitolo (in particolare quelli dedicati a de
Mauro e Alberici) hanno tentato di dimostrare come, all’interno di un ambito sociale ben definito, le
capacità militari dei singoli individui – soprattutto di quelli che accedono al consolato – rappresentino motivi forti di identità e differenziazione. Certamente non si deve dimenticare come proprio all’incarico consolare siano strettamente connesse le qualità che gli Annales presentano come ideali modelli di comportamento per i governanti della città: l’immagine del console-guerriero è senza dubbio costruita in maniera artefatta, per scopi che potremmo definire “didattici”, e tende perciò a creare un paradigma ben riconoscibile, ma anche una potenziale causa di distorsione della realtà702. Tuttavia, a ben vedere, tale consapevolezza potrebbe anche essere intesa come ulteriore
rafforzamento della caratterizzazione in senso militare del gruppo di governo genovese; se si prescinde infatti dalle costruzioni retoriche degli Annali, è evidente come lo stesso strumento dell’elezione consolare possa implicitamente rappresentare una sanzione da parte della collettività (o meglio dello stesso gruppo dirigente) del possesso di quelle capacità militari che risultano indispensabili per essere ammessi a guidare l’esercito comunale.
Proprio alle occasioni in cui le fonti ci restituiscono l’immagine dei consoli alla guida delle operazioni militari condotte si è finora fatto riferimento per osservare nello specifico l’attività militare svolta dagli esponenti delle famiglie de Mauro e Alberici. In buona sostanza, lo svolgimento di indagini di carattere prosopografico concentrate su un singoli gruppi famigliari mostra come la possibilità di ricostruire un’identità militare per i componenti dell’élite consolare genovese sia profondamente influenzata dalle fonti narrative, le quali da un lato offrono un’immagine certamente stereotipata dei consules-condottieri – conformati all’esempio offerto dalla
701 Si fa naturalmente riferimento a Maire-Vigueur, Cavalieri e cittadini cit. Tuttavia, sull’importanza del modello
cavalleresco tra quelli che caratterizzano la società comunale italiana, occorre ricordare almeno R. Bordone, Uno
stato d’animo: memoria del tempo e comportamenti urbani nel mondo comunale italiano, Firenze 2002, pp. 177-219
(il volume è disponibile all’indirizzo web [03/2010] <http://fermi.univr.it/rm/e-book/titoli/bordone.htm>).
figura di Guglielmo Embriaco durante la prima crociata –, ma dall’altro identificano le stesse famiglie che accedono al consolato come ambiti-modello nei quali si trasmettono le capacità militari.
Così soprattutto l’esperienza della guerra in mare ritorna nella narrazione annalistica, distinguendo in maniera piuttosto netta l’eminenza sociale del gruppo di coloro che possiedono le conoscenze necessarie per guidare la flotta e l’esercito. Quando nel 1125 – per citare un esempio di datazione alta – il console Caffaro decide di lanciarsi all’inseguimento di sette imbarcazioni pisane e di distruggere in seguito il castello e il borgo di Piombino, egli agisce «cum multis nobilissimis viris, scilicet cum Idone de Carmadino et Marino de Porta, cum Marchione de Cafara et aliis multis»703. I molti nobiles non sono scelti soltanto in virtù di uno status sociale effettivamente
illustre, ma con ogni probabilità la loro menzione all’interno del testo annalistico rimanda al contesto generale, che è un contesto di carattere marcatamente bellico: essi godono di una posizione di spicco all’interno della flotta genovese, verosimilmente perché in possesso di particolari capacità di comando.
Tale affermazione trova riscontro per tutto il secolo XII in una quantità di esempi che non si intende riportare per intero in questa sede. Tuttavia si farà menzione almeno dell’episodio del figlio di Ottone Ruffo, esponente di una famiglia che accede al consolato fin dai primi decenni del secolo, il quale – definito da Caffaro «de nobilioribus Ianuensium» – rimane ucciso durante uno scontro con i Pisani avvenuto a Costantinopoli nel 1162. «Ut ad tantam nequiciam et superbiam vindicandam velociter properent», i consoli preparano una flotta di dodici navi da combattimento, con la quale «ad Portum Pisanum iverunt, et Pisane urbis viris ac mulieribus intuentibus turrem de portu destruxerunt, et plurimas naves cum hominibus et peccunia magna ceperunt». Il padre del ragazzo ucciso invece, «pro ultione interempti filii sui», dirige la propria azione vendicatrice verso una categoria particolare di nemici, i meliores, molti dei quali sono uccisi da Ottone e dai suoi
sodales704. Proprio l’appellativo di meliores – nel linguaggio usato da Caffaro – compare in maniera
quasi esclusiva come sinonimo di nobiles705: Ottone Ruffo rivolge dunque il desiderio di rivalsa
contro i Pisani che, come lui, sono parte dell’élite politica e militare della città di appartenenza, e sono dunque direttamente responsabili della morte del suo giovane figlio, avvenuta peraltro sotto forma di iniuria, cioè senza alcun rispetto da parte pisana delle comuni regole di ingaggio militare.
Tuttavia, non è solo l’azione di Ottone a risultare degna di nota in questa vicenda. Le parole di Caffaro sembrano infatti particolarmente eloquenti anche riguardo al comportamento generale di
703 Annali Genovesi cit., I, p. 22. 704 Op. cit., I, pp. 68-69.
705 Si veda per esempio quanto scritto dall’annalista in occasione della fine del mandato dei consoli eletti per il 1155: i
magistrati, dopo aver terminato il tempo delle proprie azioni politiche «ad honorem» della città, «consules de melioribus, qui post eos civitatem regerent, eligere fecerunt» (op. cit., I, p. 45): è evidente come i meliores coincidano con i componenti del gruppo di governo, quegli stessi individui ai quali sono sempre affidate responsabilità di carattere militare.
quella parte di popolazione genovese che ha la possibilità di partecipare all’armamento di imbarcazioni da guerra, una possibilità che – come accade per la dotazione dei cavalieri – dipende in maniera esclusiva dalla condizione economica della famiglia di appartenenza. Quando la notizia delle razzie pisane nel quartiere genovese a Costantinopoli e dell’uccisione del giovane Ruffo giunge in città, essi si commuovono per l’affronto fatto ai propri vicini e consanguinei, e dimostrano in maniera molto concitata la propria solidarietà: «galeas continuo armare, et sursum cum armis et cibo et remis, sicut sicientes ad aquam, unanimiter ascendere ceperunt»706. I concetti di
vicinanza e consanguineità, che richiamano in maniera evidente il linguaggio notarile707, rimandano
in questo contesto a una condizione di parità sociale, e dunque al gruppo dei nobiles e meliores. Sono pertanto questi ultimi a lanciarsi «come assetati all’acqua» verso la possibilità di un scontro armato con Pisa.
L’uso di un’espressione così patetica, sia pure inserito all’interno di un apparato retorico complesso e non privo di elementi di artificiosità, fa pensare alla prospettiva di un cospicuo guadagno che potrebbe aver spinto a decidere un’azione in maniera così immediata e vigorosa. Infatti, è lo stesso testo di Caffaro a sottolineare come i Genovesi, giunti a Porto Pisano, «plurimas naves cum hominibus et peccunia magna ceperunt, et homines quidem ac peccuniam Ianuam miserunt, sed naves combustas dimiserunt». Coloro che possiamo identificare come «nobiles Ianuenses» ci appaiono perciò come un gruppo di combattenti che si dimostrano pronti a mettere in campo le proprie risorse economiche e le proprie capacità militari di fronte alla possibilità di razziare un abbondante bottino di guerra. In sostanza, essi si conformano del tutto ai codici di comportamento dei milites, con la differenza sostanziale che, invece di combattere esclusivamente a cavallo, la militia genovese è composta dagli uomini che sono in grado di partecipare con il proprio denaro (evidentemente in quantità rimarchevole) all’armamento delle galee.
Un altro brano degli Annali, quasi contemporaneo a quest’ultimo, impone tuttavia l’adozione di una prospettiva più ampia, che non rinunci al legame tra appartenenza alla militia e conduzione della guerra a cavallo. Ci si riferisce all’anno 1173, quando i consoli e il consilium in carica decidono di creare e addestrare più di cento milites cittadini, non tanto perché le spese per l’ingaggio di cavalieri forestieri siano diventate ormai onerose per il comune, ma soprattutto per una questione di prestigio dell’intera città e di efficacia militare. Le argomentazioni proposte dal governo consolare per spiegare la decisione di formare nuovi milites di provenienza locale fanno infatti riferimento alla necessità di «laudem, nobilitatem vel demum quietem conservare, ac vicinos hostes funditus de medio extirpare»708. Se si leggesse soltanto questo passo sembrerebbe di capire
706 Op. cit., p. 68.
707 In particolare ci si riferisce al formulario relativo alla tutela delle azioni giuridiche svolte dalle donne, che per essere
valida deve essere garantita dal consilium prestato da parenti o vicini.
che, prima del 1173, a Genova non esista una militia organizzata in maniera ufficiale dal comune709.
Sappiamo tuttavia che l’appellativo di miles è compreso prima di quella data nel linguaggio degli Annali: si è già visto l’episodio che riguarda Ruggero de Maraboto e i suoi socii, chiamati nel 1169 a guidare l’esercito inviato in aiuto di Lucca contro i Pisani, «quia res militaris erat et miles in his operandis convenientior videbatur»710, ma è possibile trovare riferimenti ancora anteriori.
L’annalista Caffaro per esempio, nella sua opera scritta per narrare la «historia captionis Almarie et Turtuose», descrive la figura del «miles Ianuensis» Guglielmo Pelle, impegnato nel combattimento contro i Saraceni nel 1147 e distintosi in modo particolare per l’ardimento in battaglia711. Tale
episodio è inserito in un contesto che non dovrebbe lasciare dubbi riguardo all’organizzazione dell’esercito genovese. Caffaro ricorda infatti di come da Genova partano verso la penisola Iberica 63 galee da combattimento e 163 naves da trasporto, che caricano a bordo gli equipaggiamenti necessari alla conduzione della guerra: «cibum multum competens sine penuria, arma multa et honesta tentoria, et vexilla pulcra et honesta valde, et omnia que ad tale opus sunt necessaria, uti castella et machina et omne opus instrumentorum capiendi civitatem».
Non si fa perciò alcun accenno all’imbarco di un consistente numero di cavalli e cavalieri. Giunti nei pressi di Almeria, i Genovesi si incontrano con il re di Castiglia, Alfonso VII, il quale tuttavia, al momento dell’arrivo della flotta, ha già dato «licentiam recedendi exercitu suo, et non habebat secum ultra .cccc. milites et pedites mille». Nonostante ciò, il console Baldovino di Castello – il solo che si è recato presso Alfonso – «mandavit ad socios, scilicet Oberto Turri et Phylippo et Ansaldo de Auria, ut venirent ad bellum faciendum Almarie». L’invito non è accolto con soddisfazione dai colleghi di Baldovino, che preferiscono aspettare «donec milites haberent»: si decide così di unirsi all’esercito iberico soltanto quando «comes Barchinonensis cum tanto navigio venit, quod duxit secum milites cum equitibus .liii.»712.
Se ci si basasse su questo racconto, si dovrebbe di nuovo riconoscere come i consoli genovesi non dispongano sotto il proprio comando di un reparto di cavalieri, ma uniscano le proprie forze con quelle castigliane e catalane. Tuttavia, il testo degli Annali, scritto dallo stesso Caffaro, riporta una situazione opposta: a una spedizione inviata contro Minorca e Almeria, avvenuta nel 1146 (un anno prima dell’episodio relativo a Guglielmo Pelle), partecipano infatti «galeas .xxii. et golabios .vi. cum multis machinis lignaminis de castelli, et cum centum militibus cum equis». Non si tratta del primo riferimento fatto dall’annalista all’impiego di milites nell’esercito genovese, poiché già
709 Sebbene si voglia ancora una volta ribadire la consapevolezza delle insidie che presenta una lettura del linguaggio
degli Annali che non tenga conto degli scopi per cui questi sono stati redatti, sembra comunque evidente come l’uso dell’espressione «creare militiam» alluda all’assenza di una cavalleria locale; allo stesso modo si possono intendere le parole «in urbe Ianue militiam vel milites esse statuentes», che presuppongono un intervento consolare volto a coprire la mancanza di un reparto specializzato nell’esercito cittadino (op. cit., I, pp. 258-259).
710 Op. cit., I, p. 222. Per un’analisi più approfondita dell’episodio si veda quanto detto in corrispondenza delle note 553
sgg.
711 Op. cit., I, p. 82. 712 Op. cit., I, pp. 80-81.
dagli anni Venti del secolo XII abbiamo notizie che rimandano senza dubbio alla presenza di cavalieri nel gruppo di coloro che combattono per il comune713. In sostanza, in maniera analoga a
quanto accade in tutti gli altri comuni italiani, a Genova è senza dubbio presente un gruppo di cavalieri cittadini, un insieme che, con ogni probabilità, presenta contorni per buona parte sovrapponibili con quelli dell’élite consolare.
A prescindere da considerazioni di carattere militare, importa notare la presenza ad Almeria di Genovesi che, sebbene non organizzati secondo una struttura propria714, sono comunque impiegati
in battaglia in qualità di milites. Si presuppone perciò che essi non soltanto godano di una condizione economica sufficiente a mantenere il proprio equipaggiamento, ma anche che abbiano ricevuto un’educazione e un addestramento idonei, verosimilmente nello stesso ambito famigliare. Purtroppo le informazioni relative a Guglielmo Pelle si riducono soltanto alla notizia della sua elezione a console del comune, avvenuta nel 1149, senza che né lui stesso né qualche altro personaggio identificato con tale cognome abbia lasciato nella documentazione disponibile tracce dello svolgimento di attività economiche di rilievo, con l’eccezione del possesso di alcune terre sul medio corso del Bisagno alla fine del secolo XII715: senza dubbio i Pelle, dopo il consolato di
Guglielmo, non rivestono più incarichi all’interno delle istituzioni comunali, neppure in qualità di
consiliatores o di pubblici testimoni. Tuttavia, si è già visto in precedenza come alcuni milites
cittadini menzionati dagli Annali nel 1169 appartengano a famiglie di censo indubbiamente elevato, anche se non sempre impiegate ai massimi livelli della politica cittadina716.
Alla luce di queste evidenze, si potrebbe dunque proporre per l’episodio del 1173 una lettura meno diretta, facendo uso di una chiave più politica che militare. È infatti noto come proprio quegli anni rappresentino il momento più aspro dello scontro tra Federico I e i comuni dell’Italia settentrionale. In tale contesto, nonostante la fredda cordialità che caratterizza i rapporti tra Genova e l’imperatore dopo la concessione del diploma del 1162717, la creazione da parte del comune di un
713 Si veda, per un esempio relativo agli anni 1119-1122, op. cit., I, pp. 16-17. Già nel 1097 comunque, Caffaro parla di
un gruppo di venticinque «Ianuenses qui equitaturas habebant» impegnato in Terrasanta: op. cit., I, p. 103.
714 Riguardo all’azione eroica di Guglielmo Pelle, infatti, Caffaro narra di come egli «sine licentia comitis ceteris cicius
precurrit, et prima fronte Sarracenum unum prius lancea interfecit» (op. cit., I, p. 82). Il riferimento al comes di Barcellona rimanda senza dubbio a un’autorità di comando (si noti il termine licentia) che quest’ultimo riveste nei confronti di Guglielmo.
715 Nel settembre 1186, Ottone Pelle stipula un contratto di accomendacio con Bonifacio de Volta, per un valore che
tuttavia rimane ignoto a causa di una lacuna nel manoscritto [Oberto Scriba de Mercato (1186) cit., doc. 30, p. 11]. Quattro anni dopo un altro documento notarile ci informa della esistenza in Fontanegli (val Bisagno) di un terreno «olim Nicole Pellis» [Oberto Scriba de Mercato (1190) cit., doc. 428, p. 169]. Lo stesso Nicola possiede terra anche in Struppa, villaggio posto a pochissima distanza da Fontanegli (Guglielmo Cassinese cit., II, doc. 1400, pp. 112- 113). Sembra comunque che la famiglia possieda in val Bisagno interessi patrimoniali non limitati allo stretto ambito nucleare di Ottone e Nicola (dei quali, peraltro, non conosciamo il grado di parentela), ma collegati a un contesto famigliare più largo: un atto datato 1192 mostra infatti come i fratelli Ottone, Ugo e Nicola, figli del defunto Ferrario di Castello (con ogni probabilità non si tratta di membri della famiglia consolare de Castro), si accordino sull’eredità paterna – una terra in Premanico, sempre sul medio corso del Bisagno – con il consiglio di Ingo Pelle, loro zio paterno, e alla presenza di Armando e Giacomo Pelle, figli del defunto Nicola (op. cit., II, docc. 1868-1869, pp. 294-295).
716 Si veda ancora quanto affermato nel testo in corrispondenza delle note 553 sgg. 717 A tale proposito si veda Polonio, Da provincia a signora del mare cit., pp. 157-158.
gruppo di cento milites assume comunque un significato particolare. Da un lato essa rimanda infatti a una presa di posizione politica in senso autonomistico718 e dall’altro costituisce un deciso
allargamento di un gruppo sociale comunque privilegiato, un allargamento che va nella stessa direzione di quello rilevato riguardo al gruppo di famiglie che accedono al consolato.
Se i riferimenti alla militia cittadina contenuti negli Annali non forniscono informazioni utili a identificare come gruppo di cavalieri l’insieme delle famiglie che governano il comune consolare, altri passi permettono di fare qualche considerazione più approfondita, anche se non sufficiente per dare una risposta definitiva al quesito da cui si era partiti. Si tratta dei riferimenti alle lotte interne alla città, che mostrano un clima di latente violenza che caratterizza la città soprattutto a partire dalla seconda metà del secolo XII719. Anche in questo caso, la situazione genovese sembra del tutto
paragonabile a quella delle altre realtà comunali dove, soprattutto dopo l’inizio dello scontro con Federico I, si è verificata un’analoga recrudescenza di conflitti interni che si erano già verificati nei decenni precedenti720. Si è parlato di recrudescenza perché pure a Genova è documentata l’esistenza
di lotte interne al gruppo dei cittadini ancor prima della comparsa del regime consolare: si allude a quelle «guerras et discordias quas inter se habebant» che secondo Caffaro sono accantonate soltanto dopo la decisione di organizzare una spedizione crociata721.
Alla fine del secolo XI dunque, le élites cittadine sembrano caratterizzate da una specifica inclinazione allo scontro e alla guerra, dalla quale traggono benefici non soltanto politici, ma anche economici: lo stesso passo di Caffaro rende noto come la spedizione “ufficiale” che segue il giuramento della compagna consolare sia organizzata soltanto dopo il ritorno di un gruppo di uomini guidati dai fratelli Guglielmo e Primo Embriaco, i quali, partecipando alla presa di Gerusalemme, «multam et inmensam peccuniam auri et argenti atque gemmarum de principe Babilonie ceperunt»722. Evidentemente il bottino, oltre alle motivazioni spirituali e alla prospettiva
di un possibile sfruttamento commerciale (valutabile soltanto alla luce di sviluppi posteriori), rappresenta lo stimolo più immediato per i combattenti genovesi, uno stimolo che coincide con la più comune pratica di auto-sostentamento che caratterizza la militia pieno-medievale723.
718 Sebbene Ottone di Frisinga si dimostri scandalizzato non tanto dal fatto che un comune – e non l’imperatore – abbia
creato dei cavalieri, quanto dalla condizione umile dei nuovi milites, la decisione consolare sembra comunque proporsi come “strappo” alla regola, stabilita dallo stesso Federico I , che impone di escludere dalla militia individui ritenuti indegni, per esempio i figli di ecclesiastici o i rustici (si tratta della Constitutio contra incendiarios, in MGH,
Leges, Costitutiones et acta publica imperatorum et regum, I, Hannoverae 1893, n. 318, c. 20, pp. 451-452,
richiamata da Gasparri, I milites cittadini cit., pp 93-95).
719 Le notizie relative agli scontri tra fazioni si concentrano soprattutto nei due periodi compresi tra gli anni 1164-1169
e 1189-1194: Annali Genovesi, I, pp. 157-229; II, pp. 29-53.
720 Si veda a tale proposito quanto sintetizzato in Milani, I comuni italiani cit., pp. 51-53.
721 Le discordie potrebbero essere causate dall’avversione di una parte degli abitanti al regime consolare: lo stesso
Caffaro sottolinea come, a causa di questi scontri, «per annum et dimidium sine consulatu et concordia steterunt» (Annali Genovesi cit., I, p. 111).
722 Assieme a questo bottino di guerra, da Gerusalemme giungono anche le richieste di aiuto scritte dal patriarca
Daiberto e da Goffredo di Buglione: op. cit., I, p. 111.
723 Tale affermazione è applicabile naturalmente sia per quanto riguarda l’ambito comunale italiano (sul quale si veda
Non è un caso che, parlando del ritorno dei Genovesi dopo l’assedio vittorioso di Cesarea, Caffaro riporti con precisione le cifre relative alla divisione della peccunia tra gli ottomila combattenti: la decima parte di spettanza ecclesiastica, il quinto riservato alle spese sostenute per