IL COMUNE CONSOLARE (1099-1190)
I. Questioni istituzionali.
I.2 La magistratura consolare: una lenta affermazione.
L’apertura degli Annales di Caffaro, con il racconto dell’istituzione della compagna nel 1099 e della partenza verso Cesarea nel corso dell’anno successivo, pone sulla scena cittadina un nuovo soggetto politico: si tratta naturalmente dei sei consules, che l’annalista mostra alla guida della compagine appena giurata316. In realtà, si è già detto, i consoli menzionati da Caffaro non sono
certamente le prime persone a rivestire questa carica in ambito urbano; prima della loro attestazione infatti, un documento databile forse nell’aprile 1098 ricorda un «Amicus Bruscus, qui tunc erat consul civitatis»317. Un console della città dunque, un individuo la cui presenza – a un primo esame
– potrebbe far pensare all’esistenza, già negli ultimi anni del secolo XI, di un ordinamento di carattere politico che faccia riferimento alla civitas. Il tenore della menzione di Caffaro è invece diverso: più che l’intera città essa richiama la struttura della compagna, alla quale l’annalista rimanderà l’immagine dei consules per tutti i primi due decenni del secolo XII. Almeno fino al 1122 infatti, i consoli menzionati negli Annales sono caratterizzati dall’appartenenza diretta alla
compagna, con la quale sembrano formare un unico ˝corpo˝ istituzionale318.
L’incidentalità dell’accostamento alla città del primo console genovese di cui si ha notizia, che proprio per questo non può essere considerato espressione di un governo già istituzionalmente attrezzato319, permette quindi di tentare di definire l’identità dei magistrati comunali partendo dalla
loro primitiva funzione di referenti del gruppo sociale che si pone al centro della politica cittadina, affermando la propria supremazia in maniera molto graduale. Ancora una volta si porranno al centro del discorso le fonti, sia annalistiche sia documentarie, per mettere in evidenza come, da una situazione di autorità precaria e non del tutto riconosciuta, il consolato – verosimilmente attraverso salti e contraddizioni non sempre documentabili – diventi il soggetto principale della rappresentanza politica in città.
Situazione di autorità precaria e non ancora riconosciuta, si è detto. Nei primi decenni del secolo Non farò società commerciale con nessuno che abiti fuori dai confini e in nessun modo acquisterò fraudolentemente né cambierò merci da qualche estraneo. […]
Non condurrò mercanti estranei per mare, né le loro merci, in concorrenza alle nostre dall’Arno a Genova, a meno che non siano Pisani».
316 Annali Genovesi cit., p. 5.
317 ASG, Archivio Segreto, 1508/71. Il documento è pubblicato in Olivieri, Serie dei consoli cit., p. 67.
318 L’annalista parla – con una formula cristallizzata – di «compagna quatuor annorum et quatuor consulum»: Annali
Genovesi cit., pp. 13-16.
319 Proprio la menzione del consul è considerata da Vito Vitale, secondo una lettura che risulta essere ormai sorpassata,
nel senso di una organizzazione del potere secondo le forme tipiche del comune: Vitale, Breviario cit., I, pp. 17 sgg. Per l’ipotesi che l’attestazione del 1098 sia da mettere in relazione con una qualche struttura atta a mantenere la
XII infatti, i pochi riferimenti fatti dalle fonti alla presenza dei consules in città, rimandano a una organizzazione del potere che pare piuttosto fluida, in cui i referenti politici della compagna non sembrano avere un ruolo di esclusività. L’annalista Caffaro li menziona, fino agli anni Venti, soltanto per presentarne i nomi, legandoli all’appartenenza alla compagine politica. In questo primo periodo il titolo di consul è anche riservato dal compilatore degli Annales a Guglielmo Embriaco, ma è riferito all’«exercitus Ianuensium», al ruolo di guida militare per la spedizione genovese che partecipa all’assedio vittorioso di Cesarea: un ruolo dunque privo di qualsiasi connotazione politica320.
I consoli della compagna rimangono invece sullo sfondo delle vicende narrate dall’annalista; la loro presenza è sostanzialmente limitata a scandire i tempi quadriennali del racconto, coincidenti con le scadenze degli accordi politici321. Anche l’unica definizione che potrebbe far pensare alle
funzioni di questi primi magistrati ha un valore francamente piuttosto ambiguo. La precisazione sulle funzioni dei primi magistrati che «fuerunt consules de comuni et de placitis», fatta da Caffaro già a proposito della compagna del 1099, e reiterata poi per tutti i consoli fino al 1130, è infatti poco in linea con il linguaggio usato dagli Annales per i primi tre decenni del secolo XII. Soltanto con il 1130, dopo l’istituzione delle sette compagnae distrettuali per l’amministrazione della giustizia, il consolato si distingue nettamente il proprio elemento politico da quello giudiziario: è solo in questa occasione che si può parlare di «consules de comuni» e «consules de placitis» come di soggetti con competenze distinte e ben determinate322. Risulta pertanto evidente come i richiami di Caffaro a
questa distinzione precedenti il 1130 siano da leggere nell’ottica della rielaborazione del testo annalistico operata dopo il 1152, in seguito all’ufficializzazione della narrazione della storia comunale323. Tuttavia, sebbene la menzione dei consoli del comune e dei placiti sia, per i primi tre
decenni del secolo XII, del tutto anacronistica, la scelta lessicale di Caffaro lascia ipotizzare che le competenze dei primi consules facciano anch’esse riferimento agli stessi ambiti politico-
320 Il nome di Guglielmo Embriaco non figura infatti tra quelli dei consules della compagna giurata nel 1099: Annali
Genovesi cit., I, p. 11.
321 I consoli sono sei per la compagna triennale del 1099, quattro per quelle quadriennali giurate nel 1102, 1106, 1110 e
1114, e otto per la compagna del 1118, quattro per ogni biennio: op cit., pp. 5-16.
322 Op. cit., pp. 24-25.
323 Gli Annales si aprono infatti con l’immagine dello stesso Caffaro che, nel 1152, «in consilio pleno scriptum istud
ostendit»: si tratta degli appunti relativi alla prima metà del secolo XII, redatti in forma informale quasi alla stregua di appunti personali, che ora sono inseriti, per decisione dei consoli del comune, «in comuni cartulario». Questo primo testo è quindi oggetto di una trascrizione che Giovanna Petti Balbi – sulla base delle sempre valide considerazioni diplomatistiche di Girolamo Arnaldi – definisce anche come «rielaborazione delle memorie giovanili» curata dallo stesso Caffaro, ormai «lontano dalla vita pubblica, ma sempre attento alle vicende della città» (Petti Balbi, Caffaro e la cronachistica cit., p. 104; Arnaldi, Uno sguardo agli Annali cit.). Proprio nell’ottica di una – seppur minima – rivisitazione del testo potrebbero essere lette queste menzioni dei «consules de comuni et de placitis» nei primi tre decenni del secolo XII: si avanzerebbe quindi l’ipotesi di un intervento a posteriori, volto a riqualificare, in maniera piuttosto teleologica, le figure dei primi consoli della compagna secondo un modello che rispecchia l’effettiva struttura istituzionale del governo cittadino soltanto dopo la distinzione, operata nel 1130, tra consoli del comune e consoli dei placiti.
amministrativo e giudiziario.
Si tratta di una situazione fluida e ancora in evoluzione, sulla quale la scarsità delle fonti non permette purtroppo di fare piena luce. Nonostante ciò si avverte chiaramente, e talvolta in maniera esplicita, la lentezza dell’affermazione istituzionale del comune consolare come guida riconosciuta della politica cittadina. Ancora nel 1137, quando già la struttura del governo risulta essere meglio articolata rispetto alle prime esperienze consolari324, un documento ci informa di come sia ritenuta
prevedibile l’eventualità di un’assenza dei consules dalla guida politica della città, a cui si farebbe fronte con un intervento politico dell’arcivescovo e degli stessi abitanti325. Riguardo a questa
circostanza trovano un indubbio riscontro le recenti considerazioni di Giuliano Milani riguardo alla latenza delle prime esperienze comunali, che avrebbe procurato nei primi decenni del secolo XII una intermittenza nella presenza dei consules alla guida della città326.
È evidente che la considerazione di una simile possibilità mette in luce una situazione di fluidità e debolezza istituzionale che può in parte spiegare il silenzio delle fonti. Un rapido esame dei documenti contenuti nei Libri Iurium del comune mostra infatti come in una sola occasione i consoli si propongano – nei confronti di interlocutori esterni alla città – come rappresentanti politici del nascente comune: si tratta di un documento databile probabilmente agli anni attorno al 1104- 1105, in cui i «consules Ianuensium» giurano a Baldovino I, re di Gerusalemme, fedeltà e rispetto personale e politico327. In tale occasione i consoli sembrano effettivamente rappresentare
politicamente l’intera città e agire a nome di tutti gli abitanti.
Vale tuttavia la pena di cogliere alcune sfumature del documento per tentare di inserire l’intervento consolare nel suo reale contesto. Anzitutto degno di attenzione è il tenore di tutto il testo, costruito come un giuramento fatto in prima persona dai consoli al re gerosolimitano, che rimane passivamente sullo sfondo: in buona sostanza si tratta con tutta probabilità di un testo
324 Oltre alla definizione delle competenze politiche e giudiziarie dei consules, va ricordata ancora una volta
l’istituzione delle figure di clavarius, scribani e cancellarius, avvenuta nel 1122: con l’organizzazione, seppur embrionale, di un apparato di produzione e conservazione documentaria, il nascente comune inizia a porre solide basi per l’affermazione della propria egemonia politica. Sul rapporto tra comune e documentazione a Genova si vedano A. Rovere, L’organizzazione burocratica: uffici e documentazione, in Genova, Venezia e il Levante cit., pp. 103-128; Ead., Comune e documentazione, in Comuni e memoria storica cit., pp. 261-298 (in particolare le pp. 264 sgg.); Ead., Sedi di governo, sedi di cancelleria e archivi comunali a Genova nei secoli XII-XIII, in Spazi per la
memoria storica. La storia di Genova attraverso le vicende delle sedi e dei documenti dell’Archivio di Stato,
Genova, 7-10 giugno 2004, Genova 2009 (Pubblicazioni degli Archivi di Stato, Saggi, 93), pp. 409-426.
325 I Libri Iurium cit., I, doc. 38 (gennaio 1137): «Ego Ferraria iuro quod ab hac die in antea castrum Albiçole neque
curiam eius non vendam nec dabo nec cambibo nec ulli persone pignori supponam nisi licencia maioris partis consulum comunis Ianue aut licencia Ianuensis archiepiscopi et duorum hominum per compagnam si tunc consules non essent».
326 Milani, L’Italia dei comuni cit., pp. 24-25, con riferimento – riguardo alla definizione di «istituzione latente» – a M.
Douglas, Come pensano le istituzioni, Bologna 1990.
327 Op. cit., doc. 60; l’ipotesi di una datazione attorno agli anni 1104-1105 si ricava dall’inserimento del documento
nelle vicende relative al ritorno dei genovesi dalla crociata e alle relative trattative per ottenere dal re Baldovino I una ricompensa per gli impegni militari intrapresi.
redatto a Genova da scrivani locali. Proprio la genesi genovese del documento permette di guardare alla definizione degli attori, i «consules Ianuensium», come a un’espressione certamente soppesata e consapevole; il fatto quindi che non si usino i termini comunis e compagna è una ulteriore conferma della consapevolezza della fluidità istituzionale in cui vive la città di inizio secolo XII. Semplicemente i consoli agiscono vestendo un ruolo che pare davvero poco istituzionalizzato, o perlomeno troppo poco autorevole per essere proposto in termini forti di fronte a Baldovino.
L’intervento consolare del 1104-1105 rappresenta dunque un’eccezionalità incidentale nel panorama documentario genovese della prima età comunale. Nei primi decenni del secolo infatti, la stessa associazione che rappresenta la compagine di governo sembra ancora incapace di svolgere il ruolo di indiscussa rappresentante politica di tutta la città328. In questo contesto sono la sede
vescovile di San Lorenzo e i suoi canonici i veri referenti dell’immagine politica che l’autogoverno genovese riflette verso l’esterno. Sempre nell’ambito delle ricompense per l’impegno militare in Terrasanta per esempio, nel novembre 1101, Tancredi, reggente di Antiochia, concede in donazione a San Lorenzo la terza parte di Solino e la terza parte del porto di Laodicea, e conferma i diritti sulla chiesa di San Giovanni e sugli altri beni concessi tre anni prima da Boemondo di Taranto329. Nel
1104 è lo stesso re di Gerusalemme Baldovino I a indirizzare «Ianuensi ecclesie Beati Laurentii» la concessione di una piazza in Gerusalemme e in Giaffa, della terza parte di Assur, Cesarea e Acri e di altri diritti in Terrasanta330. Una situazione analoga si riscontra anche nei documenti relativi ai
rapporti intessuti fin dai primi decenni e per tutta la durata del secolo XII tra Genova e le istituzioni di governo sarde331.
Risulta quindi evidente che, almeno nei confronti dei soggetti esterni alla città, i consules si affermino con molta gradualità e in modo talvolta contraddittorio come guide esclusive della
328 Sul ruolo di rappresentanza politica svolto da San Lorenzo e dai suoi canonici si veda Filangieri, La canonica di San
Lorenzo cit., pp. 18 sgg.
329 Liber Privilegiorum cit., doc. 25, p. 42.
330 I Libri Iurium cit., I/1, doc. 61. Si vedano anche op. cit., doc. 119 e Liber Privilegiorum cit., doc. 26 pp. 42-43,
relativi alle donazioni di Gibelletto, del castello del conestabile Ruggero e della terza parte di Tripoli fatte nel 1109 a San Lorenzo da parte del conte Bertrando di Saint-Gilles.
331 Il contesto è per molti aspetti analogo a quello che ha visto la Chiesa genovese come destinataria dei privilegi
ottenuti dai cittadini in Terrasanta. Anche in questo caso infatti si destinano al clero della chiesa di San Lorenzo privilegi che sono senza dubbio indirizzati alla collettività urbana. Ciò si può notare in maniera chiara osservando l’episodio della spedizione di Ottone Fornario − che sarà console del comune negli anni 1106-1109 e 1118-1119 –,
partito da Genova nel 1107 con sei galee per soccorrere il giudice cagliaritano Torchitorio di Laconi, che aveva richiesto l’intervento genovese perché probabilmente in lotta contro forze appoggiate dai pisani. È proprio per sdebitarsi di questo «magnum servicium» che il giudice inaugura una lunga serie di donazioni e riconoscimenti indirizzati a Genova da parte dei potentati sardi, donando nel 1107 alla chiesa di San Lorenzo sei unità agricole poste sull’isola (Puncuh, Liber privilegiorum cit., doc. 33, pp. 49-51). A partire da questo episodio, per tutto il secolo XII (l’ultimo atto data 1192), i giudici sardi indirizzeranno con costanza alla chiesa o ai canonici di San Lorenzo privilegi destinati a sancire e rafforzare l’intesa politica con il comune. Si vedano a tal proposito op. cit., docc. 33- 41, pp. 49-60; I libri iurium cit., I/1, doc. 42; Codice diplomatico della Repubblica di Genova cit., II, doc. 3.Per un quadro dei rapporti tra Genova e i giudicati sardi si vedano G. Pistarino, Genova e la Sardegna nel secolo XII, Sassari 1980, e Polonio, Istituzioni ecclesiastiche cit., p. 483.
politica urbana. Nonostante la documentazione prodotta dal comune non permetta purtroppo di fare piena luce sull’evoluzione delle competenze e del peso politico della loro autorità, è comunque palese il fatto che, accanto alla scarsa rappresentatività verso l’esterno della magistratura consolare si possa rilevare una tendenza opposta, sia pure rapportata a tutt’altro genere di interlocutori.
Soltanto con gli anni Trenta del secolo XII si hanno le prime attestazioni dell’attività consolare in ambito politico e amministrativo. Nel 1130 i consules riconoscono la validità dei contratti di matrimonio stipulati secondo le consuetudines proprie delle zone di provenienza dei due coniugi332.
Sempre nello stesso anno si rivolgono in termini decisamente impositivi ad Alberto, marchese di Gavi, ordinandogli di proteggere i genovesi e gli uomini dei castelli di Voltaggio, Fiaccone e Montalto, posti nell’immediato oltreappennino, lungo la valle del fiume Scrivia333. L’ambiguità
delle scelte istituzionali è messa bene in rilievo da un accordo che «universus populus»334
dell’attuale Novi Ligure stringe nel gennaio 1135 con Genova, rappresentata da un notaio, Buongiovanni Cainardo, «a consulibus et populo ibi directo»335. Nonostante l’intervento attivo dei
consoli di Genova, che si propongono come guide politiche di un comune la cui autorità sembra essere manifestamente riconosciuta anche da parte novese336, l’accordo tra le due parti è sancito dal
riconoscimento di un censo di valore assolutamente simbolico, versato – ancora una volta – alla sede vescovile di San Lorenzo337.
Non stupisce il fatto che sia la sempre forte presenza delle strutture ecclesiastiche a mettere in luce la difficoltà di affermazione istituzionale da parte del consolato. Oltre che nei rapporti con i soggetti esterni, la Chiesa vescovile sembra conservare anche in città il riconoscimento di un ruolo di spicco anche a livello politico. Ciò risulta evidente dalla vicenda che vede come protagonista Filippo de Lamberto, per quattro volte console del comune nel periodo 1141-1161338. Accusato tra il
febbraio e l’aprile del 1147 di essere responsabile di una perdita di beni subìta in Sicilia da un
332 I Libri Iurium cit., I/1, doc. 138.
333 Op. cit., doc. 141: «nos tres consules Ianue, ... qui sumus positi pro comuni utilitate civitatis in concordia de nobis
tribus ad Albertum de Gavi tale facimus mandatum: precipimus igitur tibi, o Alberte de Gavi, ut ab hac die in antea salves et custodias homines civitatis Ianue eorumque episcopatus et homines Vultabii, Flaconis, Montisque Alti». I castelli di Voltaggio e Fiaccone, secondo il racconto di Caffaro, sono presi nel 1121 dai genovesi, passati oltre l’Appennino «cum magno exercitu militum et peditum»; nel corso del 1128 invece, «Monsaltus fuit captus a Ianuensibus»: Annali genovesi cit., I, pp. 17 e 24.
334 In maniera esplicita il documento intende il termine populus come «divites, mediocres et pauperes, milites et
pedites».
335 I Libri Iurium cit., I/1, doc. 47. Per la traditio e l’esegesi del testo di questo documento si veda G. Pistarino, Sulla
tradizione testuale dei trattati tra Genova e Novi del 1135 e del 1157, in «Rivista di storia, arte e Archeologia delle
province di Alessandria e di Asti», LXXX-LXXXI (1971-1972), pp. 195-205.
336 Degna di attenzione, a quest’altezza cronologica, è infatti l’espressione «non vetabimus castrum Novarum comuni
Ianue scaritum neque garnitum».
337 «Dandum censum singulis annis Ianuensi ecclesie ..., videlicet, in festivitate Sancti Laurentii, ecclesie Sancti
Laurentii minas polle tres»
338 Si tratta degli anni 1141, 1144, 1147 e 1161. Filippo è anche console dei placiti nell’anno 1138: Olivieri, Serie dei
gruppo di cittadini genovesi339, Filippo è escluso da ogni ufficio di carattere pubblico: in sostanza di
decide che egli non sia «consul Ianue, nec guida oste Ianue, nec consiliator Ianue, nec legatus Ianue»340. Si tratta di una decisione dalle conseguenze politiche rilevanti, poiché sappiamo che
proprio nel febbraio 1147 lo stesso Filippo era stato eletto console del comune; assume così un rilievo ancora maggiore il fatto che il provvedimento non sia preso dai soli consules e colleghi dell’accusato, ma da questi ultimi affiancati dall’arcivescovo Siro. Lo stesso presule interviene assieme ai consoli anche pochi mesi dopo – tra il maggio e la metà di giugno dello stesso anno –, riabilitando Filippo dopo aver avuto garanzie riguardo alla sua estraneità ai fatti contestati341.
Tra il settembre 1164 e il febbraio 1165 l’intervento arcivescovile nella politica interna alla città risulta ancora più esplicito. Proprio in settembre, l’annalista Oberto Cancelliere riporta con sdegno la notizia relativa a Marchio Della Volta, console del comune, che «a quibusdam vilissimis personis et pauperibus fuit tempore vindemiarum occisus in villa, qua tamquam vir consularis stabat securus». Il delitto, per stessa ammissione dell’annalista, provoca il divampare in città «belli civilis», al punto che i consoli «parlamentum, ne cives ad bellum consurgerent, dubitantes incipere, consulatum more solito noluerunt advocare». La situazione è risolta dall’intervento dell’arcivescovo Ugo che, dopo aver richiamato a sé il clero urbano, «dubios per campanam in concione appellavit», e «consulatum intrantis anni viriliter suo ordinavit arbitrio»342.
La presenza del presule accanto ai consoli rimanda a una lettura delle prime esperienze consolari nell’ottica di una istituzionalizzazione “latente’’ e di una generale difficoltà di affermazione delle prime strutture comunali come punti di riferimento politico per la società urbana, una difficoltà riscontrabile in maniera generale osservando le dinamiche evolutive dei comuni dell’Italia centro- settentrionale. Le recenti considerazioni di Giuliano Milani su questi aspetti mettono in rilievo una tendenza – generata proprio dalla mancanza di legittimità delle prime istituzioni consolari – verso il ricorso alla figura vescovile, vista come punto di raccordo tra gli elementi della società urbana che ancora non accettano le nuove strutture del governo comunale e quelli che già concordano con il ricorso ai nuovi assetti istituzionali343. In questo senso la vicenda del 1147 potrebbe proprio
richiamare un contesto di tale genere: gli accusatori di Filippo de Lamberto sono infatti riuniti in una associazione (la rassa) che, istituita con ogni probabilità per scopi eminentemente commerciali, ancora negli anni Sessanta del secolo XII sembra porsi, quantomeno a livello economico, come
339 Si tratta di Alberto Vento – membro di una famiglia che, proprio a partire dagli anni Quaranta, riesce a inserire i
propri membri nel collegio dei consoli del comune –, e dei suoi figli: I Libri Iurium cit., I/1, doc. 93.
340 Op. cit., doc. 143.