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1.2.2 STORIA DELL’EVOLUZIONE DINAMICA DELLA COSTA: LE PALEO LINEE Per ciò che concerne la storia dell’evoluzione dinamica costiera durante il Quaternario, essa è

4. AREA ENOTRIA

3.1. B DEFINIZIONE DELL’AREA IAPIGIA ATTRAVERSO LE FONT

Questa selezione di fonti greche e romane, utili per l’inquadramento dell’area in esame, delinea un contesto etnico - territoriale iapigio abbastanza preciso, sebbene sia necessario tener presente della distanza temporale e culturale frapposta fra narratori e vicende narrate.

Come si evince dal precedente § 3.1.A., le fonti scritte sulla Iapigia, importanti per questa ricerca, giungono soprattutto dall’epoca romana, a partire dal I sec a.C. Le prime testimonianze raccolte risalgono al V sec a.C. e sono rappresentate dalle fonti erodotea e tucididea, mentre le ultime d’interesse sono quelle di II sec d.C., lasciate da Pausania. Osservando le testimonianze pervenute, la denominazione dell’area in questione come “Iapigia” si riscontra in quasi tutte le fonti greche e romane raccolte, le quali evidenziano una consapevolezza diffusa, più o meno simile, nell’utilizzo di questo termine e dei suoi aggettivi derivati per indicare un territorio affacciato sulla costa jonica dell’Italia Meridionale, abitato da un determinato gruppo etnico di persone. L’uso di questo termine fin dal V sec a.C. è confermato da Erodoto e Tucidide144

. Attraverso l’incrocio delle informazioni fornite dalle fonti è possibile stabilire la posizione geografica dell’area iapigia secondo la concezione antica: Erodoto (Storie VII, 170, 1-2) parla della Iapigia come di un territorio in prossimità di un mare “quando si trovarono in mare al largo della Iapigia”. Strabone (Geografia VI, 3,1), inoltre, introducendo il territorio iapigio ricorda che “i Greci la chiamano Messapia”, ovvero “terra tra due mari”. Come menzionato da Tucidide nella Storia della guerra del Peloponneso (VII, 33) uno dei mari sui quali si affaccia la Iapigia è lo Jonio. Questo viene confermato anche da Diodoro Siculo (Biblioteca Storica XIII, 3), che la pone in prossimità dello “stretto jonico”. Entrambi gli autori forniscono ulteriori dettagli riguardo alla collocazione dell’area sullo Jonio: infatti, trattando il percorso della spedizione ateniese verso Siracusa, raccontano ad un certo punto che l’armata ateniese aveva attraversato il Mar Jonio (in particolare lo “stretto jonico”, come sostiene Diodoro) dall’isola di Corcira, attuale Corfù, verso quello che Tucidide chiama “promontorio iapigio” e Diodoro “estremità della Iapigia”: identificabile con l’attuale Capo di Leuca (LE). Diodoro aggiunge poi che da quel preciso punto “costeggiarono la costa d’Italia”. Tale promontorio o estremità iapigia affacciato sullo Jonio costituisce, dunque, uno dei confini naturali, ad oriente, del territorio denominato “Iapigia”. Strabone (Geografia VI, 3,1) indica, inoltre, i confini occidentali dell’area: “Ora che ho attraversato i territori dell’Italia antica come quello di Metaponto, devo parlare di quelli che confinano con loro. E la Iapigia confina con loro”. Lo storiografo con queste parole definisce

144 Si vedano supra: E

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inequivocabilmente il confine tra “i territori dell’Italia antica145” e “la Iapigia”: il limite

orientale dell’ “Italia antica” è rappresentato infatti dal territorio di Metaponto, che, a sua volta, segna il confine occidentale dell’attiguo territorio iapigio. Lo storico in un altro passo del medesimo libro (Geografia VI, 1,4), riportando le parole di Antioco, ne ribadisce il concetto: “il territorio dei Tarantini, che confina con Metaponto, egli lo pone fuori dall’Italia e denomina i suoi abitanti Iapigi”. Soffermandosi ora proprio sugli abitanti denominati “Iapigi” e sulle loro origini, degni di nota risultano i racconti di Erodoto, Strabone e Plinio il Vecchio. Quest’ultimo nella sua Naturalis Historia (libro III, 16), descrivendo il territorio dei “Poediculi”146, corrispondente alla zona costiera jonica dell’area iapigia, sostiene che “nove giovani ed altrettante fanciulle, nativi dell’Illyria, divennero i genitori di sedici nazioni”. Lo storico, in questo modo, definisce una prima origine degli abitanti iapigi come di genti provenienti dall’Illiria. Ciò che viene descritto da Plinio corrisponde, infatti, alla più antica migrazione attestata sulla costa iapigia, che avvenne ad opera della popolazione illirica147. In un passaggio successivo, trattando i fiumi, egli menziona lo “Iapyx”: fiume “così chiamato dal figlio di Dedalo, che fu re lì, e che gli diede il nome di Iapigia”. L’autore con questa chiosa si sofferma sull’origine del luogo e riporta la tradizione toponomastica riguardante la Iapigia, indicando come eponimo il figlio di Dedalo, Iapyx, che aveva regnato su quel territorio. Anche Strabone (Geografia VI, 3,2), parlando degli Iapigi, dice che il loro nome fosse derivato da “Iapyx, che si diceva fosse stato il figlio di Dedalo”, aggiungendo inoltre che quest’ultimo lo aveva avuto “da una donna cretese” “e di essere stato il leader dei Cretesi”. Dunque entrambi gli autori, Plinio e Strabone, legano il toponimo Iapigia al mito del re cretese Iapyx, figlio di Dedalo, confermando così quanto descritto precedentemente, nel V sec a.C., da Erodoto: costui, infatti, nella sua opera (Storie VII, 170, 1-2) narra di un naufragio avvenuto sulle coste della Iapigia da parte di cretesi, che, non potendo fare più ritorno a Creta a causa della distruzione delle navi, fondarono lì la città di Hyria, identificabile con Oria. Lo storico scrive testualmente che essi “resero questa la loro dimora, mutando di conseguenza da Cretesi a Messapi di Iapigia e da isolani ad abitatori del continente”. Strabone (Geografia VI, 3,2) fornisce una spiegazione sulla provenienza dei Cretesi in questione: “Questi ultimi, si dice, fossero le persone che salparono con Minosse alla volta della Sicilia e, dopo la sua morte che avvenne nella dimora di Kokalos a Camico, salparono dalla Sicilia; ma durante il viaggio di ritorno, essi furono portati fuori rotta ed arrivarono a

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Con l’espressione “Italia antica” si intende l’Enotria: a questo proposito, si consultino infra i successivi paragrafi 4.1.A – 4.1.B. Tra le fonti raccolte nel paragrafo 3.1.A. si veda quella di Dionigi di Alicarnasso (Antichità Romane I, 13,1): “gli Enotri vivono in Italia”.

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I Peuceti.

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Taranto”. I racconti di Erodoto e Strabone vengono avvalorati dalla presenza sul tratto costiero jonico148 di materiali ceramici micenei di età del Bronzo. Dunque la tradizione mitica e storica di una presenza cretese nell’area iapigia si concilia perfettamente con i rinvenimenti micenei, che attestano una effettiva vicenda migratoria verso la costa jonica durante il XII - XI sec a.C. Nello stesso libro Strabone (VI, 3,2), narrando la spedizione che i Partheni fecero alla fine dell’VIII sec a.C. in quella zona, parla degli abitanti iapigi, come “barbari e Cretesi che avevano precedentemente preso possesso del luogo”. Il termine “barbari” indica gli indigeni, che secondo la tradizione discendono dagli Illiri149. La frase di Strabone, dunque, riportando i due gruppi etnici presenti in loco, documenta in sintesi l’etnia del popolo iapigio all’arrivo degli Spartani alla fine dell’VIII sec a.C. Riguardo alla colonizzazione dell’area iapigia, attestata proprio alla fine dell’VIII sec a.C., le fonti sono Diodoro Siculo (Biblioteca Storica VIII, 21 1-3), Strabone (Geografia VI, 3,2 - 3,3) e Pausania (Periegesi della Grecia X, 10,6 – 10,8 – 13,10). Secondo questi autori, nonostante alcune piccole varianti nel racconto, i Partheni spartani lasciarono la madrepatria, sotto la guida di Falanto, per stanziarsi nel territorio iapigio. Le vicende e le motivazioni che portarono a questo avvenimento sono state trattate in particolare da Diodoro Siculo (Biblioteca Storica VIII, 21 1-3), Strabone (Geografia VI, 3,2 - 3,3) e Dionigi di Alicarnasso (Antichità Romane XIX, 1,2). L’antefatto della spedizione coloniale oltremare sarebbe da ricondursi ad una rivolta organizzata dai figli illegittimi degli Spartani, che venne scoperta e sedata ancor prima di essere messa in pratica. In seguito a questo fatto, i Partheni sarebbero giunti dall’oracolo di Delfi che avrebbe predetto loro la fondazione di Satyrion e Taras. Le parole dell’oracolo vengono riportate allo stesso modo da Diodoro Siculo (Biblioteca Storica VIII, 21 1-3):“io ti dono Satyrion e la pingue terra di Taranto da abitare e pene provocherai agli Iapigi150”, quanto da Strabone (Geografia VI, 3,2): “Ti concedo Satyrium, sia per costruire la tua dimora nella ricca terra di Taras sia per divenire una rovina per gli Iapigi”. Dionigi di Alicarnasso e Diodoro Siculo, invece, raccontano gli stessi particolari legati al luogo predestinato per la fondazione della colonia: il primo nelle Antichità Romane (XIX, 1,2) scrive “Ricevettero il responso di navigare verso l’Italia, di rintracciare una contrada della Iapigia di nome Satyrion ed un fiume denominato Taras, e di posizionare la propria dimora laddove avrebbero visto un capro immergere la propria barba nel mare”; il secondo nella Biblioteca Storica (VIII, 21 1-3) dice “Tu presta invece attenzione a Satyrion ed ai flutti luccicanti di Taras, al suo porto posto

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Rinvenimenti micenei si localizzano in diverse località della costa jonica. Per quanto riguarda il tratto iapigio si menzionano quello di Torre Castelluccia (Pulsano) e Scoglio del Tonno (Taranto).

149 Si veda supra Plinio il Vecchio Naturalis Historia III, 16.

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Diodoro Siculo, in questa frase, cita Antioco di Siracusa. Le medesime parole vengono riprese anche da Strabone (Geografia VI, 3,2).

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verso occidente e, dove un capro accoglie con gioia l’onda salata, bagnandosi la punta del mento grigio, in quel luogo costruisci Taranto saldamente a nord di Satyrion”. Entrambi indicano come luogo predestinato alla fondazione quello in cui un elemento naturale a forma di capride si protende verso il mare. Una tradizione differente viene invece narrata da Pausania nella Periegesi della Grecia (X, 10,6): “Per fondare la colonia, Falanto ricevette un oracolo a Delfi che diceva che quando avesse sentito una pioggia sotto un cielo senza nuvole, avrebbe ottenuto poi entrambe le cose sia un territorio che una città”. Nel successivo (X, 10,8) l’autore ne spiega l’oracolo: “Come le sue lacrime cadevano a scroscio, e lei bagnò il capo di Falanto, egli realizzò il significato dell’oracolo, poiché il nome di sua moglie era Aethra. E così, quella notte, egli strappò ai barbari Taranto, la città più grande e più prospera sulla costa”. L’epilogo della vicenda coloniale viene narrato da alcune fonti. Dionigi di Alicarnasso151, dopo aver descritto l’oracolo, conclude così il suo racconto: “Portarono a termine perciò la navigazione, trovarono il fiume indicato e videro un fico selvatico cresciuto vicino al mare, che ricopriva una vite, uno dei tralci pendenti della quale tangeva il mare. Ritennero che questo dovesse essere il capro che immergeva la propria barba nel mare indicato dall’oracolo, e sostarono qui combattendo contro gli Iapigi e fondando la città che dal nome del fiume fu denominata Taras”. Lo storico enfatizza a tutto tondo il compimento dell’oracolo, dal ritrovamento del luogo all’incontro violento con la popolazione locale degli Iapigi, anticipata nelle parole oracolari di Diodoro152 “e pene provocherai agli Iapigi” e di Strabone153 “per divenire una rovina per gli Iapigi”. Una diversa duplice conclusione si ritrova, invece, nella Geografia di Strabone: nel VI, 3,2 egli sostiene che i Partheni giunti nell’area con Falanto “furono accolti cordialmente da entrambi barbari e Cretesi154 che avevano precedentemente preso possesso del luogo”. Questa tradizione, unicum tra le varie fonti, si pone in contrapposizione con quella che vede invece la compagine greca in lotta con quella locale per il dominio del luogo. Risulta inoltre interessante la sottolineatura della distinzione delle due etnie “barbari e Cretesi” a fronte della più generale “Iapigi”. Nello stesso libro, in un passo successivo (3,3) Strabone riporta una differente versione della vicenda: “Così loro, inviati, trovarono gli Achei in guerra contro i barbari, presero parte ai loro pericoli e fondarono Taras”. Con queste parole viene aggiunta un’ulteriore versione della colonizzazione. Confrontando le varie testimonianze antiche con le ricerche archeologiche intraprese nell’area, si riscontra una reale rispondenza tra le fonti e i dati materiali rinvenuti sul territorio. Al di là delle

151 Antichità Romane XIX, 1,2.

152

Biblioteca Storica VIII, 21 1-3.

153 Geografia VI, 3,2.

154 Strabone poco più avanti spiega chi fossero i Cretesi: “Questi ultimi, si dice, fossero le persone che salparono con

Minosse alla volta della Sicilia e, dopo la sua morte che avvenne nella dimora di Kokalos a Camico, salparono dalla Sicilia; ma, durante il viaggio di ritorno, essi furono portati fuori rotta ed arrivarono a Taranto”.

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varianti, le fonti greche concordano sulla colonizzazione di quel tratto di costa iapigio, tra Satyrion ed il fiume Taras, ad opera degli Spartani. Ciò è confermato anche dai dati archeologici che documentano la presenza greca con tracce pertinenti al mondo lacedemone di VIII sec a.C.155, sia a Satyrion sia a Taranto156. Le fonti pervenute, nel panorama appena descritto, costituiscono una risorsa notevole perché completano il quadro informativo dei dati archeologici, facendo luce sulle tappe della colonizzazione dell’area. Secondo quanto scritto, infatti, Satyrion rappresenta il primo luogo designato dall’oracolo e dunque il primo stanziamento spartano nell’area iapigia, a cui segue la fondazione coloniale della città di Taras tra “una contrada della Iapigia di nome Satyrion ed un fiume denominato Taras”157. La fondazione della città tarantina viene citata da alcune fonti: Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia (III, 16) dice che Taranto “riceve il suo nome da una città fondata dai Lacedemoni, situata alla fine del Golfo, a cui era annessa la colonia marittima che era precedentemente stanziata li”. Pausania nella Periegesi della Grecia (X, 10,6) ricorda che “Taranto è una colonia degli spartani ed il suo fondatore fu Falanto, uno spartano”. In un passo successivo (X, 10,8) lo storiografo menziona la tradizione, invece, secondo cui “Taras fosse figlio di Poseidone e di una ninfa di quei luoghi158

e che da questo eroe presero il nome la città ed il fiume. Taras, infatti, si chiamano sia il fiume che la città”. Questa tradizione era stata abbracciata anche da Strabone, il quale nella Geografia VI, 3,2 scrive “La città di Taranto, però, prende il suo nome da un eroe”, intendendo come eroe Taras figlio di Poseidone e della ninfa Satyrea, che dà dunque il nome sia al fiume sia alla città. Considerando, infine, la composizione tribale dell’area iapigia, secondo Polibio (Storie III, 88) il territorio era suddiviso “tra tre popolazioni, ognuno con un proprio nome territoriale: Daunii, [Peucetii] e Messapii”. Egli, quindi, riporta la notizia, di una tripartizione del territorio iapigio e dei suoi abitanti su base tribale – territoriale. Ciò viene avvalorato dai dati archeologici159, che confermano la presenza di tre differenti gruppi nell’area: nel nord la popolazione daunia, a sud quella peuceta e nella parte orientale quella messapica. La Peucezia, dunque, rappresenta la zona dove abitano i Peuceti e coincide con l’area iapigia situata sulla costa jonica, d’interesse per questa ricerca. Il termine Peucezia deriva, secondo le fonti, da Peucezio. Dionigi di Alicarnasso, infatti, (Antichità Romane I, 13,1), descrivendo la discendenza di Licaone e della ninfa Cyllene, menziona “Peucezio”, fratello di Enotro ed eponimo degli abitanti del golfo jonico: i “Peucezi”. Egli scrive, infatti: “Peucezio, da cui prendono il nome i Peucezi che abitano sul golfo jonico” e

155 Si tratta di frammenti di ceramica greca d’importazione di VIII sec a.C. A tal proposito, si leggano le schede

relative nel paragrafo infra 3.2.1.3.

156 Si consulti infra il paragrafo 3.2.1.

157 Dionigi di Alicarnasso Antichità Romane (XIX, 1,2).

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Si tratta della ninfa Satyrea, figlia del re Minosse.

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ciò viene ribadito anche da Plinio il Vecchio (Naturalis Historia III, 16), che dice: “prima essa era chiamata Peucetia, da Peucetius,il fratello di Enotro”. Dionigi e Plinio tramandano, inoltre, la tradizione secondo la quale Peucezio, eponimo dei Peucezi, ed Enotro, eponimo degli Enotri, fossero fratelli. Ciò sottende l’idea che i Peucezi, abitanti del tratto costiero jonico, e gli Enotri avessero un legame etnico.

3.2. TOPOGRAFIA E GEOMORFOLOGIA DELL’AREA IAPIGIA NEL