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Bambini in paradiso: la prospettiva di Teofilo ed Ireneo

Nel documento Lexis paidike. L'infanzia in Origene (pagine 133-137)

I. 2 «La misura minima delle passioni»

I.2.3. Bambini in paradiso: la prospettiva di Teofilo ed Ireneo

La descrizione di Adamo ed Eva ed il parallelismo istituito da Filone tra la loro condizione e quella dei bambini rende opportuno un piccolo balzo temporale, per riallacciarsi ad un autore che dell’episodio dei protoplasti fornisce un’interpretazione per certi versi analoga. Si ritiene di seguire questa scansione nella presentazione degli autori – facendo forza, evidentemente, alla linerità cronologica – per mostrare uno sviluppo parallelo a quello di ambito alessandrino.

Della vergogna e della nudità di Adamo ed Eva, Ireneo di Lione fornisce questa interpretazione:

«Erano infatti entrambi nudi nel Paradiso, né provavano vergogna (Gn 2,25), dal momento che, creati poco prima, ancora non possedevano l’intelletto che è proprio dei figli della generazione; era necessario, infatti, che divenissero prima adolescenti e che poi potessero moltiplicarsi(Gn 1,28)308.

Il fulcro del ragionamento consiste nel fatto che i protoplasti non possiedano, in virtù della recente creazione, la facoltà intellettiva che evidentemente Ireneo ritiene necessaria alla percezione della nudità e della vergogna ad essa conseguente. In questo senso l’argomentazione rispecchia quella filoniana. Si vede come il modello antropologico costituisca il tramite metaforico attraverso il quale si illustrano le tappe della caduta della coppia dei primi uomini dalla beatitudine paradisiaca allo stato attuale.

Ireneo si riferisce ad Adamo ed Eva utilizzando la metafora infantile in alcuni passi cruciali della produzione letteraria a noi trasmessa. In Haer III.22.4, come si è visto, nel contesto di un confronto tra Eva e Maria, Ireneo introduce un fugace riferimento all’estraneità

308 Iren. Haer III.22.4 (SC 211, 440): Erant enim utrique nudi in Paradiso et non confundebantur, quoniam paulo ante

dei protoplasti all’intelletto dei figli della generazione, acquisito solo attraverso una loro adolescenza, cui fa seguito la moltiplicazione di genesiaca memoria. In Haer III.23.5 è questione della perdita dello spirito ingenuo ed infantile (indolem et puerilem amiserat sensum) da parte del primo uomo, colto da terrore e spinto per questo a coprirsi alla meglio di fronte a Dio. In Haer IV.38,1 Ireneo considera la seguente obiezione: «Dio non avrebbe potuto creare l’uomo perfetto sin dall’inizio?» (non poterat ab initio Deus perfectum fecisse hominem?). L’argomentazione di risposta si avvale di una componente più specificamente filosofica, imperniata sul fatto che la fattura dev’essere per sua stessa natura inferiore al fattore. Ora, il fatto stesso di essere stato creato rende l’uomo, che è cratura, inferiore al creatore-perfezione e lo allontana da quest’ultima. La seconda componente è invece più immaginifica: come si vedrà tra poco, essa paragona Dio ad una madre che somministri il latte al proprio bambino, conservando il cibo solido per quando il piccolo sia cresciuto. Il dono della perfezione è trattenuto non per volontà di chi può offrirlo, ma per i limiti ontologici di chi lo riceve. In Ep 12 Ireneo ribadisce la condizione di Adamo in paradiso, definito pusillus et infans: a lui si richiede uno sviluppo che culmini nella perfezione dell’età adulta (conveniebat eum crescentem sic ad perfectionem venire), contrariamente alle altre creature collocate nel giardino edenico. In Ep 14, infine, si ribadisce come il sensus dei protoplasti fosse innocente ed infantile (innocens enim et infantilis.

Come ha osservato M.C. Steenberg, che ha studiato approfonditamente la problematica309

, il termine latino attestato nella maggior parte dei casi è infans, a sua volta traduzione di νήπιος, come conferma la tradizione greca. D’altra parte, il sostantivo/aggettivo compare notoriamente nel binomio paolino che oppone all’infanzia la perfezione dell’uomo maturo, indicata dall’aggettivo τέλειος. Quest’ultimo consente di mantenere la ben nota ambiguità tra maturità e perfezione, funzionale all’argomentazione del vescovo di Lione: il passo tratto da Haer IV mostra come il riferimento all’Apostolo fosse ben presente allo spirito di Ireneo.

Se l’impiego dell’immagine relativamente ai protoplasti è circoscritta ad un numero limitato di passi, più frequente è quello che riguarda l’umanità nel suo rapporto con Dio, la condizione antropologica generale. Steenberg pone giustamente la questione preliminare riguardante il livello di “metaforicità” di questa terminologia, della cui ambiguità si è già detto310

. La risposta avanzata prudentemente dallo studioso è che, giacché l’accezione

309 Nell’articolo Children in Paradise: Adam and Eve as “Infants”in Irenaeus of Lyons, Journal of Early Christian Studies

12/1 (2004) 1-22, ripreso ed approfondito in Irenaeus on Creation. The Cosmic Christ and the Saga of Redemption, Leiden 2008, 142 ss. Steenberg rimanda qui alla bibliografia sul tema.

metaforica di questa terminologia è generalmente negativa, e poiché, d’altra parte, l’intento di Ireneo si mostra piuttosto descrittivo, risulta più facile intendere in senso proprio il riferimento all’immagine infantile: Ireneo, cioè, tenderebbe a mostrare come la creazione non avrebbe potuto svolgersi direttamente. Rimane allora che l’immagine infantile scelta dall’autore debba essere intesa in senso proprio.

Lo studioso spezza una lancia in favore della comprensione “letteralista” dei testi di Ireneo: riesamina dunque l’idea, scartata dalla maggior parte della critica in quanto poco convincente, che Adamo ed Eva siano effettivamente raffigurati in qualità di bambini – se neonati o infanti, è questione da lui discussa con una buona disanima dei pro e dei contro per ciascuna delle due opzioni. Mostra inoltre come questa ipotesi renda conto di un numero consistente di elementi altrimenti difficilmente spiegabili. In particolare, Haer III.23.5 e Ep 14 sono a questo proposito di centrale importanza: la questione in gioco è precisamente l’età anagrafica e lo sviluppo biologico, l’insorgere della pubertà nei bambini. Adamo ed Eva non provano l’uno per l’altra impulsi sessuali, si scambiano effusioni senza malizia alla maniera tipica degli infanti. Nel contempo una componente di “metaforicità” del linguaggio è nondimeno da riconoscere, nella misura in cui Adamo ed Eva sono presentati come simboli di tutta quanta l’umanità.

Il quarto e quinto testo sembrano in effetti lasciare maggiore spazio ad un’interpretazione figurata; tuttavia, un’ulteriore prova del fatto che Ireneo si esprima in termini letterali risiede nel parallelismo tra Cristo ed Adamo: del primo, Ireneo ricorda ed enfatizza la condizione infantile. Importantissimo, anzi fondamentale a questo riguardo, è il passo di Haer IV.38,1, in cui si afferma che Cristo percorse tutte le età, salvando così l’esistenza umana nella sua interezza.

Ci sono alcuni elementi nei passi considerati da cui pare di poter evincere una razionalità di Adamo – ad esempio, nel suo dialogo con il Logos: ma, obietta Steenberg, il fatto che un individuo sia detto razionale non implica lo sia già in atto; può ben esserlo solo in potenza. L’osservazione è particolarmente efficace per quanto riguarda la vexata quaestio sulla razionalità in potenza o in atto degli infanti. L’infanzia di Adamo è posta in contrasto con la sua maturità, che farà di lui l’uomo perfetto: ancora una volta, questa maturità non è che Cristo, autentico τέλος del processo evolutivo antropologico.

Sulle eventuali fonti di Ireneo Steenberg spende qualche parola necessaria, qualora si consideri, ad esempio, lo stretto parallelismo tra l’opera del vescovo di Lione ed il Teofilo dell’Ad Autolico. L’antropologia di Teofilo regala moltissimo spazio all’infanzia spirituale. Il parallelo tra alcuni passi dell’autore ed altri tratti dall’Adversus Haereses lascia ampiamente

supporre, come molti hanno fatto, che Ireneo abbia potuto attingere dal predecessore. È il caso di Ad Aut. 25, messo giustamente in relazione ad AdvHaer IV 38.

«La conoscenza è (di per sé) buona, qualora se ne faccia un uso appropriato. Ma Adamo, quanto alla sua vera età, era ancora un infante (νήπιος): ed è per questo che ancora non poteva contenere una conoscenza adeguata. Infatti quando nasce un bambino, non può da subito mangiare il pane; prima si nutre di latte, poi, con l’avanzare dell’età, giunge anche al cibo solido (cf. Eb 5,2). Così fu anche per Adamo»311.

Ireneo usa la medesima idea di corrispondenza tra il grado di elaborazione del dono di Dio e la capacità di riceverlo dell’uomo, sfruttando parimenti l’immagine – peraltro, come è arcinoto, di tradizione paolina – degli alimenti solidi e del latte, per spiegare la ragione in virtù della quale la potenza divina ha voluto o acconsentito a che le prime creature fossero imperfette, quando avrebbe potuto crearle nella loro perfezione. Dio non concede agli uomini una conoscenza perfetta, perché la loro imperfezione impedirebbe loro di riceverla:

«E come la madre può, sì, offrire al proprio neonato un cibo perfetto, ma quello non è in grado di ricevere un cibo più sostanzioso; alla stessa maniera Dio stesso era in grado di offrire sin dall’inizio all’uomo la perfezione, ma è l’uomo che non avrebbe potuto riceverla, essendo ancora bambino. […]

[gr.] E come la madre può, sì, offrire al proprio neonato un cibo da adulti [perfetto], ma quello ancora non può ricevere un nutrimento “più anziano” della propria età; così anche Dio era in grado di offrire dall’inizio all’uomo la perfezione, ma è l’uomo che non poteva riceverla, essendo un infante. […] Come, dunque, l’Apostolo era in grado di dare il cibo solido (sc. ai Corinzi) […], ma quelli non potevano riceverlo, poiché ancora deboli e fuori esercizio avevano le facoltà che permettono di esercitarsi insieme a Dio; allo stesso modo, sin dall’inizio, Dio era in grado di offrire il cibo da adulti [perfetto] all’uomo, ma quello, creato di recente, non avrebbe potuto accoglierlo, o, anche lo avesse accolto, di comprenderlo, o, anche avendolo compreso, di trattenerlo. E per questo il Logos di Dio si atteggiò ad infante con l’uomo (συνενηπίασεν), pur essendo adulto: non per se stesso, ma per l’infante che è nell’uomo, lasciandosi comprendere così come l’uomo poteva comprenderlo»312.

311 Thphl. Ant. Autol. II.25: ἡ δὲ γνῶσις καλή, ἐπὰν αὐτῇ οἰκείως τις χρήσηται. τῇ δὲ οὔσῃ ἡλικίᾳ ὅδε Ἀδὰµ ἔτη

νήπιος ἦν· διὸ οὔπω ἠδύνατο τὴν γνῶσιν κατ᾽ ἀξίαν χωρεῖν. καὶ γὰρ νῦν ἐπὰν γενηθῇ παιδίον, οὐκ ἤδη δύναται ἄρτον ἐσθίειν, ἀλλὰ πρῶτον γάλακτι ἀνατρέφεται, ἔπειτα κατὰ πρόσβασιν τῆς ἡλικίας καὶ ἐπὶ τὴν στερεὰν

τροφὴν ἔρχεται. οὕτως ἂν γεγόνει καὶ τῷ Ἀδάµ.

312 Iren. Haer IV.38.1.2 (SC 100, 944-946.950): quaemadmodum enim mater potest quidem praestare perfectam escam infanti,

ille autem adhuc non potest robustiorem se percipere escam, sic et Deus ipse quidem potens fuit homini praestare ab initio perfectionem, homo autem impotens percipere illam: infans enim fuit ... ; FrGr 23 (SC 100, 944-946): Ὡς οὖν ἡ µὲν µήτηρ δύναται τέλειον παρασχεῖν τῷ βρέφει τὸ ἔµβρωµα, τὸ δὲ ἔτι ἀδυνατεῖ τὴν αὐτοῦ πρεσβυτέραν δέξασθαι τροφήν, οὕτως καὶ ὁ Θεὸς αὐτὸς µὲν οἷός τε ἦν παρασχεῖν ἀπ᾽ ἀρχῆς τῷ ἀνθρώπῳ τὸ τέλειον, ὁ δὲ ἄνθρωπος ἀδύνατος λαβεῖν αὐτό· νήπιος γὰρ ἦν;(SC 100, 948.950):Ως οὖν ὁ ἀπόστολος δυνατὸς µὲν ἦν διδόναι τὸ βρῶµα […], ἐκεῖνοι δὲ ἠδυνάτουν λαβεῖν αὐτὸ διὰ τὸ ἀσθενῆ ἔτι καὶ ἀγύµναστα ἔχειν τὰ αἰσθητήρια τῆς πρὸς Θεὸν συγγυµνασίας, οὕτως καὶ τὴν ἀρχὴν ὁ µὲν Θεὸς δυνατὸς ἦν διδόναι τὸ τέλειον τῷ ἀνθρώπῳ, ἐκεῖνος δὲ ἄρτι γεγονὼς ἀδύνατος ἦν λαβεῖν αὐτό, ἢ καὶ λαβὼν χωρῆσαι, ἢ καὶ χωρήσας κατασχεῖν. Καὶ διὰ τοῦτο συνενηπίασεν ὁ Λόγος τοῦ Θεοῦ, τέλειος ὤν, τῷ ἀνθρώπῳ, οὐ δι᾽ ἑαυτὸν ἀλλὰ διὰ τὸ τοῦ ἀνθρώπου νήπιον, οὕτω

χωρούµενος ὡς ἄνθρωπος αὐτὸν χωρεῖν ἠδύνατο. Vale prender nota nella traduzione greca del testo dell’hapax

Ireneo “svia” la questione principale, che non riguarda, tanto, la ragione della conoscenza imperfetta dei protoplasti, quanto la ragione dell’imperfezione che causa, come corollario e solo in seconda battuta, la loro conoscenza imperfetta. Accantonando l’apparente cortocircuito logico, che non riguarda nello specifico l’argomentazione, la consonanza dei due autori è certamente rimarchevole.

La prossimità dei passi consente di stabilire, al di là della eventuale dipendenza di Ireneo da Teofilo, quantomeno la diffusione della proposta esegetica dei protoplasti bambini, il che giustificherebbe almeno in parte il fatto che, come osserva Steenberg, essa venga riportata senza alcuna cornice apologetica o epidittica, come se l’interpretazione fosse valuta corrente.

Steenberg rimanda poi al contributo di L.M. Bechtel, che si sforza di mettere in evidenza la diffusione di una simile lettura del racconto edenico nell’esegesi giudaica. Per Steenberg il dato non deve condurre ad ipotizzare una conoscenza diretta, da parte di Ireneo, dell’esegesi giudaica. Piuttosto, se ne può dedurre che la soluzione esegetica fosse nota e diffusa ed avesse conosciuto un buon successo313

.

I passi filoniani che abbiamo considerato, in cui l’anima di Adamo ed Eva sono esempi della µεσότης, ovvero di una medietà il cui esempio corrispettivo è appunto costituito dai bambini, può essere certo stoica in alcuni suoi aspetti, ma suffraga l’ipotesi di un’esegesi diffusa e maggioritaria314

. La terminologia filoniana dell’infanzia nei casi considerati, si è visto, è analogamente quella dellaνηπιότης.

Nel documento Lexis paidike. L'infanzia in Origene (pagine 133-137)