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Ex ingenito animae censu: Tertulliano o della naturalità del bene

Nel documento Lexis paidike. L'infanzia in Origene (pagine 137-140)

I. 2 «La misura minima delle passioni»

I.2.4. Ex ingenito animae censu: Tertulliano o della naturalità del bene

Seguendo le orme dell’esegesi patristica al “caso” di Adamo ed Eva non si può ignorare la trattazione di Tertulliano, sulla quale si avrà modo di tornare315

. Vale la pena introdurre qui alcune osservazioni dell’autore relative all’animazione del feto ed allo statuto dei protoplasti, sprovvisti del discernimento del bene e del male e delle relative facoltà.

Come si vedrà, l’anima umana è per Tertulliano seminata direttamente con il corpo; attraverso l’atto stesso dell’inseminazione le viene assegnato un sesso (De anima 36,1.2). L’autore ritiene che l’anima, intesa come principio animante ed individuante dell’uomo, sia

313 Vd. S

TEENBERG, Irenaeus on Creation, cit. 144: «this should not suggest to us that Irenaeus was in any sense familiar with or current in Jewish exegetical readings of the creation narrative per se, for there is little to no evidence that this is the case».

314 Forse, addirittura non estranea agli ambienti giudaici. Ma su questo argomento, che meriterebbe un’indagine

ben più approfondita, ci si arresta alle conclusioni tratte dagli studiosi citati.

trasmessa attraverso il seme paterno. Ciò non impedisce che, come il corpo si sviluppa progressivamente, così anche l’anima conosca una gradualità nell’acquisizione delle sue facoltà.

«Pertanto il feto, nell’utero, è un essere umano dal momento in cui la forma è completa»316

. Non a caso, argomenta Tertulliano, Mosé distingue tra feto formato e non formato, comminando a chi uccida il primo la punizione prevista dal taglione. Tertulliano fa evidentemente riferimento al testo di Es 21,22.23 nella versione della LXX. A proposito del passo, quest’ultima si discosta significativamente dall’ebraico: il testo masoretico ingiunge il pagamento di un’ammenda a un uomo che abbia urtato e causato l’aborto di una donna durante una rissa, qualora non si verifichi «un’altra disgrazia»; nel caso contrario, la legge prevede che si paghi vita per vita, occhio per occhio, dente per dente. La Settanta, invece di riferirsi ad una «disgrazia aggiuntiva», distingue a seconda che il fanciullo (τὸ παιδίον) sia o meno formato (ἐξεικονισµένον). È evidente, dunque, che sia la completa formazione del feto a distinguere l’essere vivente da colui che non ne ha ancora eguagliato lo statuto.

Qualche anno più tardi Origene si occuperà del medesimo testo, dedicandogli un’omelia (HEx X). Come ha giustamente osservato F. Cocchini, che dell’omelia stessa ha fornito un’analisi puntuale, il testo origeniano è singolare sia perché tratta di un passo evidentemente non troppo caro a lui – che non lo cita altrove nella sua seppur vasta produzione, e dichiara di non veder ragione di applicare l’allegoria317

ed i propri sforzi al passo – sia perché si discosta dalle dotte esegesi e dall’attenzione cavillosa di cui esso sarà ritenuto degno, oltre che da Tertulliano, da Ambrosiaster, Agostino, nonché nella tradizione rabbinica. Ancora, Origene non trae da questo testo alcuna indicazione relativa all’antropologia umana: ad esempio, all’età alla quale un feto si può considerare essere vivente318

. Al contrario, egli attualizza il significato e lo applica alla situazione della comunità. Interessanti ai nostri fini sono invece le indicazioni che accompagnano e in certa misura giustificano il diverso trattamento del feto nella riflessione tertullianea:

«Ed infatti, anche la legge di Mosè giudica colui che è reo di aver provocato un aborto con la legge del taglione, quando la causa riguardi già un uomo, quando già si discuta nel suo caso

316 Tert. De anima 37.2 (ed. M

ORESCHINI-PODOLAK 2010, 178): Ex eo igitur fetus in utero homo, a quo forma completa est.

317 A differenza di Filone: in Cong 136-138 l’Alessandrino si richiama al passo veterotestamentario distinguendo

una diversa punizione per chi urta – cioè, “scandalizza” – l’embrione non formato, ovvero, il pensiero imperfetto, e l’embrione perfettamente sviluppato, ovvero un pensiero giunto a ‘maturità’.

318 Si veda il contributo di F.COCCHINI, «Occhio per occhio, dente per dente»: un’analisi realistica di rapporti e responsabilità

ecclesiali (Origene, HEx 10), 129-147, in EAD. (a c. di), Origene, teologo esegeta per una identità cristiana, Bologna 2006: in particolare, sul fatto che Origene si ponga ‘controtendenza’ rispetto alla critica, si vedano soprattutto le pp. 135- 136.

di stato di vita o morte, quando è già registrato nel libro del fato, benché, vivendo quello ancora con la madre, ne condivida perlopiù la sorte»319.

Le osservazioni sono rivelatrici: esse mostrano per un verso come si possa parlare propriamente di uomo solo ad un certo momento, giacché è la legge stessa ad impostare la distinzione; e come, tuttavia, questo momento non coincida, come ci si potrebbe aspettare, con la separazione del destino dell’embrione da quello della madre – benché, osserva Tertulliano, naturalmente la coesistenza dell’uno e dell’altra implichi un legame molto stretto.

Tertulliano passa poi alla questione dell’animazione, che interessa la nostra indagine. Egli osserva la corrispondenza del numero dei mesi con la numerologia biblica, rielaborando una ricca speculazione già diffusa negli autori precedenti320

. Molto banalmente, il dieci è il numero del decalogo, ed il decimo mese è per l’appunto quello nel cui inizio solitamente si colloca la nascita del bambino; il settimo è il giorno del riposo divino dopo la creazione; analogamente, le nascite settimine sono quelle che, tra i parti prematuri, offrono una maggiore garanzia di sopravvivenza al neonato. Tertulliano riporta qui un’opinione diffusa321

.

Esiste dunque uno sviluppo del corpo: parallelamente ne esiste uno dell’anima, che per Tertulliano si trova indissolubilmente legata al primo. La crescita di entrambi, benché di natura molto diversa, procede parallelamente. Ciò non implica un aumento della substantia – ovvero, presumibilmente, del sostrato che compone l’anima stessa – ma uno sviluppo della sua vis, ovvero, delle sue facoltà. Tertulliano distingue così l’habitus, ovvero la forma, il modo di essere esteriore dell’anima, che si modifica via via, dalla definizione qualitativa. Il tempo risveglia nell’anima facoltà già presenti in essa, giacché, se non ci fossero, mancherebbe il principium individuationis dell’anima stessa. Si osservi come la crescita materiale sia negata e come, di contro, quella qualitativa consista sostanzialmente nel risveglio di una δύναµις

319 Tert. De anima 37.2 (ed. MORESCHINI-PODOLAK 2010, 178): nam et Mosei lex tunc aborsus reum talionibus iudicat,

cum iam hominis est causa, cum iam illi vitae et mortis status deputatur, cum et fato iam inscribitur, etsi adhuc in matre vivendo cum matre plurimum communicat sortem. Pur presentando una mia traduzione, mi confronto con quella dei curatori. In particolare mi rifaccio alla loro resa di cum et fato iam inscribitur: espressione singolare, per la quale rimando al commento, in particolare a 178 n. 225.

320 Si pensi al caso filoniano citato poco sopra; alla celebrazione filoniana dei numeri dieci e sette, ad esempio, in

particolare in Op. 47.

321 Sul fatto che la durata della gestazione si fissi nella letteratura medica e filosofica attorno ai sette ed ai nove

mesi, si veda M.H.CONGOURDEAU, L'embryon et son âme dans les sources grecques : VIe siècle av. J.-C.-Ve siècle apr. J.-C., Paris 2007. Come annota l’autrice, attorno alla gestazione di otto mesi si crea una sorta di alone negativo, nato in ambito pitagorico.

quiescente: «Pertanto anche i diversi aumenti dell’anima sono da considerarsi non sostanziali; piuttosto, risvegliano (ciò che già esiste)»322

.

Le varie componenti dell’anima si aggiungono e si completano dunque a partire dal quattordicesimo anno d’età, a proposito del cui valore si è già detto: Tertulliano mostra qui, ancora, di collegarsi ad una lunga tradizione. Egli ritiene che la razionalità sia connaturata e congenita all’anima, e che essa sia trasmessa con questa di padre in figlio. Per contro, la facoltà di distinguere tra bene e male nonché la percezione del desiderio e della vergogna paiono nell’autore avventizie, frutto di una degenerazione della natura stessa dell’anima. Che questa fase innaturale insorga al momento della pubertà è dimostrato dal caso biblico di Adamo ed Eva, i quali, al momento di accostarsi all’albero della conoscenza del bene e del male, provano l’istinto di coprire i propri genitali.

Tertulliano iscrive così il processo evolutivo in un triangolo che si compone di desiderio, vergogna e conoscenza. Il subentrare della capacità di distinguere bene e male segna la fase di degrado di una naturalità perfetta, estranea alla legge di necessità. Il bisogno – di cibo, piaceri sessuali – che pure contraddistingue la vita umana, non la identifica, non ne costituisce l’elemento saliente; semmai, la corrompe. Tertulliano distingue così tra la libera ed autentica espressione della sostanza stessa dell’anima, ed una condizione di necessità avventizia.

Nel documento Lexis paidike. L'infanzia in Origene (pagine 137-140)