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Extrinsecus L’animazione in Prin I.7.4

Nel documento Lexis paidike. L'infanzia in Origene (pagine 168-173)

III. Pueritia mirabilis

III.2. Extrinsecus L’animazione in Prin I.7.4

La domanda ci porterebbe lontano, presupponendo, evidentemente, che si considerino le diverse dottrine sull’anima e la loro composizione. Sarà sufficiente qui prendere in esame i pochi passi in cui l’Alessandrino esterna elementi significativi ai fini della ricerca.

Origene discute la questione dell’ingresso dell’anima nel corpo con maggiore ampiezza nel suo trattato dottrinale, i Principi. Si veda come pone le basi della questione nella prefazione all’opera:

«A proposito dell’anima, tuttavia, se essa sia trasmessa per mezzo del seme, di modo che la sua essenza o sostanza si trovi inserita nei semi corporei stessi, o se invece abbia un altro principio, e se poi questo principio sia generato o non generato; o se essa sia inserita nel corpo dall’esterno o meno, tutto questo non è sufficientemente messo a fuoco dalla predicazione ecclesiastica»369

Un’analoga fotografia delle problematiche relative all’anima emerge da CCt370

, che, analogamente, tratteggia le principali soluzioni: la creazianistica e la traducianista. Il ventaglio

369 Prin, Praef. 5 (SC 252, 84): De anima vero utrum ex seminis traduce ducatur, ita ut ratio ipsius vel sub stantia inserta ipsis

corporalibus seminibus habeatur , an vero aliud habeat initium, et hoc ipsum initium si genitum est aut non genitum, vel certe si extrtinsecus corpori inditur necne: non satis manifesta praedicatione distinguitur.

370 CCt II.5,22-23 (SC 375, 366-368): Sed et iuxta quorundam quaestiones utrum facta an omnino a nullo sit facta; et, si facta

sit, quomodo facta sit, utrum, ut putant aliqui, in semine corporali etiam ipsius substantia continetur et origo eius pariter cum origine corporis traducitur, an perfecta extrinsecus veniens parato iam et formato intra viscera muliebria corpore induitur. Et si ita sit, utrum nuper creata veniat et tunc primum facta, cum corpus videtur esse formatum, ut causa facturae eius animandi corporis necessitas exstitisse credatur, an prius et olim facta ob aliquam causam ad corpus sumendum venire aestimetur; et si ex causa aliqua in hoc deduci creditur, quae illa sit causa, ut agnosci possit, scientiae opus est.

di possibilità è poi evidentemente molto più ampio, come si è avuto modo di intravvedere. L’Alessandrino sembra lamentare dunque la mancanza di maggiori precisioni nella tradizione ecclesiastica relativamente a questo punto – come, dopo di lui, faranno numerosi altri; ma pone bene le questioni in cui la problematica si articola.

Come nella migliore tradizione trattatistica greca, la sua analisi della materia non prescinde dalle posizioni dei predecessori; non ci troviamo tuttavia di fronte a un impianto dossografico, che consideri le dottrine del passato allo scopo di contestarle o trarne suggestioni per formulare la propria. Origene si concentra piuttosto su alcune posizioni gnostiche che ritiene opportuno delegittimare.

Imperniata sui nostri tre casi scritturistici è la tesi gnostica371

presentata ed apparentemente respinta da Origene in Prin III.4.2. Secondo i suoi teorizzatori esisterebbero nell’uomo due anime: una superiore, inserita dal cielo (caelitus), e che si troverebbe presente già nel Giacobbe che soppianta il fratello, nel Geremia santificato nel grembo della madre e nel Giovanni ricolmo di spirito santo; la seconda anima, al contrario, sarebbe seminata nel corpo contestualmente all’inseminazione (ex corporali … semine simul), ovvero trasmessa dal seme paterno, e non potrebbe dunque sussistere al di fuori di esso. Quest’ultima sarebbe dunque da identificare con la carne ed il sangue (o la sapienza della carne o l’anima della carne, secondo le formule paoline), in lotta continua con l’anima celeste. Si proporrebbe così uno schema antropologico tripartito, composto da anima celeste-anima corporea-corpo. Origene sembra sostenere l’ipotesi di una struttura ternaria; ma la modifica, sostituendo alla scansione suddetta la triade paolina spirito-anima-corpo. Quanto alla questione delle due anime, l’Alessandrino ne mostra la problematicità. Egli propone una soluzione alternativa rispetto a quella avanzata dai sostenitori della tesi esposta, pur presentandola come ipotesi di lavoro. Esisterebbe per Origene una sorta di «anima intermedia che possa, dopo l’esperienza del vizio, più facilmente convertirsi al desiderio delle realtà celesti e spirituali»372

.

La distinzione delle due anime nella dottrina menzionata acuisce la scissione tra l’elemento corporeo e quello psichico. Vi si riconoscono sviluppate le due concezioni dell’animazione: una che considera l’anima inserita dall’esterno e dall’alto; una seconda, che ritiene l’anima sia tradotta per mezzo del seme, insieme al materiale genetico, da padre a figlio. Si tratta, in questo secondo caso, della dottrina del traducianesimo, il cui massimo alfiere è Tertulliano, con un sostanziale distinguo: per l’autore africano, l’anima, nella sua interezza, è

371 Verosimilmente valentiniana: vd. Origenes. Vier Bücher von den Prinzipien, hrsg., über. und mit Anm. vers. von H.

GÖRGEMANNS-H.KARPP, 607 n.9. Ma si veda anche la nota di Crouzel e Simonetti a commento del passo di Principi: Origène, Traité des Principes, t. IV, livres III et IV. Commentaire et fragments par H.CROUZEL et M. SIMONETTI, Paris 1980, 85 s. n. 3.

372 G.S

trasmessa dal padre al figlio attraverso il seme, senza distinzione tra una componente celeste ed una terrestre.

Origene supera, pertanto, questa soluzione dicotomica, ricomponendola nella visione di un’anima, alternativa allo spirito, e di un’anima intermedia che tenderebbe ora all’una, ora all’altro; ma la difficoltà dei tre casi esegetici menzionati – Giovanni Battista, Geremia, Giacobbe ed Esaù – non è per questo ridotta ai suoi occhi.

Dettagli maggiori sono desumibili altrove. L’Alessandrino afferma con chiarezza in Prin I.7.4 che l’anima degli astri ha ogni verosimiglianza di essere stata inserita nei rispettivi corpi dall’esterno, analogamente a quanto avviene nel caso degli uomini. In effetti, argomenta Origene, l’anima umana non può che essere inserita dall’esterno:

«Se l’anima dell’uomo, che è assolutamente inferiore (sc. all’anima dei corpi celesti), essendo umana, non è attaccata insieme al corpo, ma, come è stato dimostrato, è stata inserita dall’esterno (extrinsecus), quanto più sarà così nel caso di quegli esseri animati che sono detti corpi celesti? Infatti, per quanto concerne l’uomo, in che modo si potrà mai ritenere che essa sia stata istantaneamente attaccata al corpo di colui che soppiantò nel ventre il proprio fratello – intendo Giacobbe? O come si può pensare che sia stata attaccata, da subito, o plasmata, l’anima di colui che, quando ancora si trovava nel ventre delle madre, fu ripieno dello spirito santo? Parlo di Giovanni che esulta nell’utero della madre, e che fu preso da grande gioia per il fatto che la voce di Maria fosse giunta alle orecchie di sua madre Elisabetta. E ancora, in che modo fu attaccata al corpo e formata da subito l’anima di colui che, prima di essere formato nell’utero, è detto essere conosciuto da Dio, e prima di uscire dal grembo della madre, è da lui santificato? A meno che non sembri che Dio ricolmi alcuni di spirito santo senza aver giudicato e senza meriti, o che santifichi non a ragion veduta»373

Il ragionamento di Origene, di senso non immediato, sembra essere il seguente: se l’anima venisse seminata, fatta aderire – il verbo è infigo – al corpo da subito, in contemporanea (simul, ancora una volta) alla materia stessa di cui esso si compone, non si spiegherebbero affatto le ragioni del dono dello spirito santo ricevuto da Giovanni, o della santificazione di Geremia. Perché questa conclusione? L’argomentazione dovrebbe apparentemente procedere in senso contrario: l’esultanza del feto di Giovanni, l’elezione del profeta dovrebbero testimoniare, al contrario, della presenza nel corpo ancora imperfetto del feto di un’anima passibile di giudizio; i tre casi esegetici testimonierebbero, dunque, come già per Tertulliano, del fatto che il feto sia già animato.

In realtà, la prospettiva origeniana registra uno scarto rispetto a quella di Tertulliano, per il quale è questione centrale stabilire se il corpo nel ventre della madre sia un ammasso di

373Prin I.7.4 (SC 252, 214-216): Si hominis anima, quae utique inferior est, dum hominis est anima, non cum corporibus ficta,

sed proprie et extrinsecus probatur inserta, multo magis eorum animantium, quae celestia nominantur. Nam quantum ad homines expectat, quomodo cum corpore simul ficta anima videbitur eius, qui in ventre fratrem suum subplantavit, id est Iacob? Aut quomodo simul cum corpore ficta est anima vel plasmata eius, qui adhuc in ventre matris suae positus, repletus est spiritu sancto? Iohannem dico tripudiantem in matris utero, et magna se exultatione iactantem pro eo quod salutationis vox Mariae ad aures Elisabeth suae matris advenerat. Quomodo simul cum corpore ficta est et plasmata etiam illius anima, qui antequam in utero formaretur, notus esse dicitur deo, et antequam de vulva procederet, sanctificatus ab eo est? Ne forte non iudicio neque pro meritis replere aliquos videatur deus spiritu sancto et sanctificare non merito.

carne inerte o sia invece già un individuo vivente. L’autore cartaginese sostiene la seconda tesi in polemica con la dottrina platonica e stoica dell’animazione al momento della nascita, e critica perciò aspramente la pratica dell’aborto. Per Tertulliano, dunque, la domanda significativa è il “quando”.

Ad Origene interessa piuttosto il “donde”. Se l’anima cresce e si sviluppa con il corpo, bisogna immaginare che ne segua le tappe evolutive. Se così fosse, sarebbe però impensabile che, nel momento in cui il corpo è ancora imperfetto e limitato, l’anima sia già pronta a rendere conto di quanto, in bene o in male, le capita; da cui l’idea che l’anima venga insufflata dall’esterno. Essa, sostiene Origene, non è materia organica soggetta alle stesse leggi che contraddistinguono lo sviluppo dei corpi, giacché viene “da fuori”. Marguerite Harl osserva come l’extrinsecus del latino rufiniano corrisponda con tutta verosimiglianza al greco θύραθεν, «dall’esterno», che è l’avverbio usato da Aristotele in GA II.30374

.

Riassumendo stringatamente nel precedente paragrafo alcuni elementi maggiori delle dottrine relative all’anima, si è avuto modo di menzionare la tripartizione in anima vegetativa, sensitiva e razionale operata da Aristotele, e la differenziazione delle facoltà che afferiscono a ciascuna componente. La precisazione è importante. Quando Origene si riferisce all’ anima presente nel feto, sarebbe opportuno poter stabilire quali funzioni egli le attribuisca: se, cioè, la ritenga dotata della sola anima vegetativa, o ritenga che essa abbia già un principio razionale in essa disseminato. Sarebbe dunque necessario interrogare i testi a questo proposito.

Edwards, si è detto, ritiene che il nostro testo si occupi, come nel caso di Tertulliano, del momento dell’animazione e deduce quindi, sulla base di questo assunto, che nell’ottica di Origene il feto sia già dotato di un principio razionale. Ritiene però che lo sforzo di Origene in questo senso sia superfluo, uno “sfondare una porta aperta”, perché la teoria sarebbe stata già ampiamente accettata nel secondo secolo. D’altra parte, se così fosse, l’argomentazione origeniana sarebbe, oltre che gratuita, poco coerente con altre sue affermazioni sul processo dell’animazione, sostenute dal medesimo corredo esegetico incontrato in questo primo testo. Ad esempio:

«E ritengo poi che si debba ricercare anche questo: per quali cause l’anima in un caso è volta al bene, in un altro al male. Di ciò ritengo esistano alcune cause ancor più antiche di questa nascita corporea, come indica Giovanni che si agita ed esulta (cf. Lc 1,41) nel ventre della madre, quando la voce del saluto di Maria arriva alle orecchie di Elisabetta, sua madre, e come rende manifesto il profeta Geremia, che prima di essere plasmato nell’utero della madre, era già conosciuto da Dio, e prima di uscire dal ventre della madre fu da lui santificato, e, pur essendo ancora fanciullo, ricevette la grazia della profezia. Ed ancora, con un esempio che va nella direzione contraria375, si vedono

374 SC 253, 108 n. 23.

375 Et rursum e contrario: si adotta una traduzione forse eccessivamente libera per meglio rendere il senso

dell’opposizione che Origene istituisce tra elezione e condanna preventive, grazia e svantaggio apparentemente gratuiti. Essi costituiscono le due polarità, il ‘più’ ed il ‘meno’ dello stesso fenomeno.

alcuni posseduti già dalla primissima infanzia dagli spiriti avversi: alcuni nascono con un demone dentro di loro; altri invece, ancora bambini, la storia fededegna ci racconta che hanno vaticinato; altri ancora hanno subito dalla più tenera età l’azione di quel demone che chiamano Pitone, cioè ‘ventriloquo’. […] L’anima ha sempre il libero arbitrio, sia quando si trova in questo corpo, sia quando si trova al di fuori di esso; e la libertà d’arbitrio muove sempre o al bene o al male: giacché mai la facoltà razionale, cioè la mente o l’anima, può starsene senza muoversi verso il bene o il male. E questi moti, con tutta verosimiglianza, costituiscono la causa dei meriti anche prima che essi compiano qualcosa in questo mondo; sicché, a motivo di queste cause o meriti per opera della provvidenza divina, immediatamente, dal momento stesso della nascita – anzi, ben prima della nascita, per dir così – si stabilisce che l’anima subisca qualcosa di bene o di male»376

Al centro del lungo brano è la questione del moto necessario dell’anima verso il bene o il male. Sul fatto che l’anima si volga necessariamente al meglio o al peggio proprio in quanto razionale, Origene si dilunga in Orat VI.1 (SVF II 989) e Prin III.1.2 (SVF II 988): in particolare, il primo dei due passi dà molto risalto alla responsabilità. Il testo lascia supporre che per Origene gli esempi dei bambini eletti alla vocazione profetica o posseduti abbiano forza argomentativa. Se l’Alessandrino stesse semplicemente confermando l’idea per cui l’anima del feto sia già dotata di un principio di razionalità, questa stessa forza argomentativa verrebbe a cadere. L’incisività del discorso origeniano si fonda piuttosto, sembra, proprio sul fatto che evidentemente né per l’autore né per il suo pubblico è accettabile l’idea di punire o premiare un individuo ancora incompleto. Questi feti e bambini costituiscono così un’eccezione alla norma, più volte stabilita, per cui l’individuo sia convocabile al banco degli imputati solo al momento dell’acquisizione del logos. La “gratuità” della dimostrazione origeniana rimarcata da Edwards è attenuata se si contestualizzi quest’ultima all’interno di una riflessione sull’orizzonte della responsabilità individuale e sul destino globale dell’anima, nei limiti ad esso imposti dall’esistenza terrena.

Indicativo in questo senso sembra il parallelo portato da Origene377

con i bambini posseduti dai demoni, polo negativo del medesimo discorso. Se l’intento fosse quello di formulare alcune considerazioni di embriologia e mostrare l’animazione del feto, l’esempio

376Prin III.3.5 (SC 268, 194-196): Illud quoque requirendum puto, ex quibus causis humana anima nunc quidem a bonis, nunc

autem moveatur a malis. Cuius rei causas suspicor esse quasdam antiquiores etiam hac nativitate corporea, sicut designat Iohannes in matris ventre tripudians et exultans, cum vox salutationis Mariae ad aures Elisabeth matris eius adlata est, et ut declarat Hieremias propheta, qui antequam plasmaretur in utero matris cognitus erat deo, et antequam e vulva procederet sanctificatus ab eo est et puer adhuc prophetiae gratiam cepit. Et rursum e contrario manifeste ostenditur ab adversariis spiritibus quosdam a prima statim aetate possessos, id est nonnullos cum ipso daemone esse natos, alios vero a puero divinasse historiarum fides declarat, alii a prima aetate daemonem quem Pythonem nominant, id est ventriloquum, passi sunt. … Liberi namque arbitrii semper est anima, etiam cum in corpore hoc, etiam cum extra corpus est; et libertas arbitrii vel ad bona semper vel ad mala movetur, nec umquam rationabilis sensus, id est mens vel anima, sine motu aliquo esse vel bono vel malo potest. Quos motus causas praestare meritorum verisimile est etiam prius quam in hoc mundo aliquid agant; ut pro his causis vel meritis per divinam providentiam statim a prima nativitate, immo et ante nativitatem, ut ita dicam, vel boni aliquid vel mali perpeti dispenseretur.

377 Qualora si ritenga, naturalmente, che non si tratti di una aggiunta rufiniana, dal momento che, come osserva

M.HARL, l’espressione id est ventriloquum sarebbe una glossa del traduttore latino; ma sempre Harl porta per l’intero esempio un parallelo geronimiano tratto da Ep 124,8 che, almeno per il senso, conferma in toto la testimonianza di Rufino: SC 269, 80, rispettivamente nn. 34 e 33.

sarebbe assolutamente inefficace. Si tratta, piuttosto, di mostrare come individui non ancora ritenuti responsabili della propria condotta ricevano un trattamento apparentemente ingiusto.

Il discorso esegetico origeniano, pertanto, mira certamente ad illustrare un discorso più ampio sull’origine delle anime: quello globale, che include la fase della preesistenza. Gli esempi esegetici in questione illuminano però anche, di riflesso, l’orizzonte della responsabilità individuale, della sua possibilità di azione nel quadro del libero arbitrio; trasmettono, in sostanza, qualcosa di interessante sull’antropologia origeniana. Sono questi elementi di antropologia a consentire all’Alessandrino un’argomentazione a fortiori.

Se la ricostruzione fornita è corretta, ci si può chiedere in che misura e sotto quale profilo Giovanni Battista, per un verso, e gli altri “bambini illustri”, per l’altro, mostrino un carattere di eccezionalità.

Nel documento Lexis paidike. L'infanzia in Origene (pagine 168-173)