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Lo sviluppo del logos nei minori

Nel documento Lexis paidike. L'infanzia in Origene (pagine 109-118)

I. Il ritratto di CMt XII16

I.1. Lo sviluppo del logos nei minori

Per due volte nel paragrafo riportato si specifica chi siano coloro che beneficiano della condizione di estraneità dalle passioni: si tratta dei «bambinetti che non hanno ancora sviluppato appieno la facoltà razionale» (εἰς τὰ µηδέπω συµπεπληρωκότα τὸν λόγον παιδία;

εἰς ἃ µὴ πέφυκε παιδία ἐµπίπτειν, ὅσα τὸν λόγον µηδέπω συµπεπλήρωκεν). Il verbo

συµπληρόω, ‘completare’, che ricorre con frequenza nei passi di contenuto analogo, può risultare indicativo a proposito di un primo quesito: se cioè il bambino sia interamente sprovvisto del principio razionale e si debba pertanto immaginare l’aggiunta successiva di quest’ultimo; o si debba piuttosto pensare ad una razionalità quiescente nei primi anni di vita, che si svilupperebbe compiutamente ad un dato momento. L’idea di un perfezionamento e di un completamento espressa dal verbo lascia pensare piuttosto alla seconda delle possibilità.

La medesima conclusione è suggerita dal passo che segue. Origene sostiene che

«Dobbiamo sapere anche questo, che una cosa è che in qualcuno vi sia la potenza, un’altra è che vi sia l’atto o l’attuazione: differenza che i Greci rendono con δύναµινe ἐνέργειαν. Ad esempio, un bambino appena nato è potenzialmente un uomo razionale; può, infatti, essere razionale qualora raggiunga l’adolescenza. E si può dire che sia anche un fabbro in potenza, un timoniere, un grammatico; giacché è del tutto possibile che diventi una di queste cose. Ma in atto – intendo, nella sua concreta realizzazione – non è nessuna di queste cose finché è bambino: ma se solo comincerà ad essere padrone della propria razionalità o ad intraprendere l’arte del fabbro o di qualsivoglia disciplina, allora si dice che è razionale in atto, fabbro in atto o insomma qualunque altra figura di cui svolga il lavoro. In questo modo si deve credere che anche Cristo, che è il verbo (gr. Λόγος) di Dio, si trova in rapporto a noi, cioè in rapporto ad ogni uomo, in potenza, come la razionalità

(λόγος) lo è per i bambini. Si dice invece che si trova in atto in me quando con la mia bocca avrò

confessato il signore Gesù ed avrò creduto nel mio cuore che Dio lo resuscitò dai morti (cf. Rm 10,9).»247

247 CRm VIII.2 (ed. HAMMOND BAMMEL 648) Debemus etiam hoc scire, quod aliud est possibilitatem esse in aliquo, aliud

efficaciam vel efficentiam, quod Graeci δύναµινet ἐνέργειανvocant. Verbi causa: parvulus nuper natus possibilitate rationabilis homo est; potest enim esse rationabilis, si adoleverit. Et possibilitate etiam faber et gubernator et grammaticus dicitur; possibile enim est, ut horum aliquid sit. Efficacia vero vel efficentia, hoc est re ipsa atque effectu, nihil horum est, dum est parvulus; sed si coeperit vel rationis iam capax esse vel aliquid fabrilis artis aut cuiuslibet alterius efficere, tunc iam efficacia rationabilis dicitur vel faber vel sicut illud est, quo effectu operis agit. Hoc ergo modo etiam Christus, qui est verbum Dei, possibilitate quidem iuxta nos, hoc est iuxta

A ben vedere, il passo non specifica che la razionalità si trovi già nel bambino; eppure, il fatto stesso di richiamare il binomio potenza-atto lascia pensare che il seme del logos si trovi nei bambini piccoli e raggiunga la propria pienezza in concomitanza con l’adolescenza. Il parallelo con il logos-Cristo, inoltre, è a sua volta significativo: questo esiste da sempre in ogni uomo – semi del logos esistevano anche negli uomini vissuti prima della venuta di Cristo, secondo la dottrina deiλόγοι σπερµατικοί nota già a Giustino (IIApol VIII.3; XIII.3).

Si profila in ogni caso l’idea di una crescita per tappe dell’infante, il quale sarebbe tuttavia già dalla nascita un potenziale individuo raziocinante. Questa progressività è bene evidenziata da alcuni passi origeniani. É sempre il commentario al primo vangelo a proporre un esempio significativo in merito. In CMt XVII.8 l’Alessandrino commenta la parabola dei vignaioli di Mt 21,33-43. Dopo un’iniziale ripresa dell’esegesi tradizionale, che Origene poteva leggere in Ireneo248

, l’Alessandrino muove verso un’interpretazione a suo dire più approfondita e meno legata allo schema generale, quanto interessata al chiarimento dei singoli elementi. L’esegeta ipotizza che la vite della parabola sia il logos249

piantato in ogni anima e che la vigna rappresenti gli stimoli che inducono a trattare le problematiche necessarie al raggiungimento

omnem hominem esse credendus est tamquam ratio parvulis; efficacia vero tunc in me esse dicitur, cum in ore meo confessus fuero Dominum Iesum et in corde meo credidero, quod Deus illum suscitavit a mortuis. A proposito di questa riflessione su potenza e atto, mi pare si possa accostare un passo aristotelico per certi versi affine. Nel De anima lo Stagirita puntualizza la differenza tra due diversi modi di utilizzare la terminologia: «Bisogna poi distinguere a proposito di potenza ed atto, giacché ne abbiamo parlato in maniera semplicistica. C’è ad esempio un primo tipo di conoscenza, come se dicessimo che un uomo è sapiente perché fa parte di quelle creature che sanno, posseggono la sapienza. È poi possibile dire che è saggio colui che conosce la grammatica; ebbene, ciascuno di questi non sono in potenza allo stesso modo, ma uno, perché sussistono il genere e la materia, l’altro perché, volendo, è nella condizione potenziale di conoscere, sempre che qualcosa dall’esterno non glielo impedisca. C’è poi quello che sa: egli conosce in atto, in senso proprio, questo preciso ‘alfa’. I primi due, che pure conoscono potenzialmente, diventano conoscitori in atto; ma l’uno è trasformato attraverso l’apprendimento e cambia spesso, passando dalla condizione contraria; l’altro invece, in altro modo, passa da un possesso dell’aritmetica e della grammatica non attuale, alla sua attualizzazione» (De anima 417a.21-417b.2: διαιρετέον δὲ καὶ περὶ δυνάµεως καὶ ἐντελεχείας· νῦν γὰρ ἁπλῶς ἐλέγοµεν περὶ αὐτῶν. ἔστι µὲν γὰρ οὕτως ἐπιστῆµόν τι ὡς ἂν εἴποιµεν ἄνθρωπον ἐπιστήµονα ὅτι ὁ ἄνθρωπος τῶν ἐπιστηµόνων καὶ ἐχόντων ἐπιστήµην· ἔστι δ᾽ ὡς ἤδη λέγοµεν ἐπιστήµονα τὸν ἔχοντα τὴν γραµµατικήν· ἑκάτερος δὲ τούτων οὐ τὸν αὐτὸν τρόπον δυνατός ἐστιν, ἀλλ᾽ ὁ µὲν ὅτι τὸ γένος τοιοῦτον καὶ ἡ ὕλη, ὁ δ᾽ ὅτι βουληθεὶς δυνατὸς θεωρεῖν, ἂν µή τι κωλύσῃ τῶν ἔξωθεν· ὁ δ᾽ ἤδη θεωρῶν, ἐντελεχείᾳ ὢν καὶ κυρίως ἐπιστάµενος τόδε τὸ Α. ἀµφότεροι µὲν οὖν οἱ πρῶτοι, κατὰ δύναµιν ἐπιστήµονες <ὄντες, ἐνεργείᾳ γίνονται ἐπιστήµονες,> ἀλλ᾽ ὁ µὲν διὰ µαθήσεως ἀλλοιωθεὶς καὶ πολλάκις ἐξ ἐναντίας µεταβαλὼν ἕξεως, ὁ δ᾽ ἐκ τοῦ ἔχειν τὴν ἀριθµητικὴν ἢ τὴν γραµµατικήν, µὴ ἐνεργεῖν δέ, εἰς τὸ ἐνεργεῖν, ἄλλον τρόπον). Parebbe di

poter interpretare, alla luce del ragionamento origeniano, che la potenza della razionalità naturale corrisponda alle prime delle tre categorie aristoteliche; che il Logos-Cristo, presente in potenza, si rispecchi nella seconda – nella misura in cui questo si attualizza attraverso un’adesione volontaria, espressa in termini cristiani dalla confessio; e che la vita di chi rende testimonianza alla fede cristiana costituisca l’entelechia compiuta della potenzialità del secondo tipo costituita dalla presenza del Logos.

248 Ir. Adv.Haer IV 36.1-2. Sui rispettivi schemi interpretativi si veda la nota di M.I.D

ANIELI in Origene, Commento al vangelo di Matteo/3. Libri XVI-XVII, note a cura di M.I.DANIELI, traduzione di R.SCOGNAMIGLIO, Roma 2001, 152 n.7.

249 Scognamiglio, plausibilmente sulla base del confronto con la traduzione latina, mantiene nel testo italiano la

parola logos con iniziale maiuscola, riferendo dunque la metafora successiva dello sviluppo del logos dell’anima allo sviluppo della comprensione della Scrittura (trad. Scognamiglio III 158-159). Sulla questione si tornerà a breve.

della salvezza250

. Come nel caso della vigna esiste un momento in cui nascono le foglie, un altro in cui spuntano i frutti, ancora piccoli, un terzo in cui questi si ingrossano e, in breve, un tempo per ogni fase della crescita, Origene osserva che:

«allo stesso modo il primo momento della vita degli uomini, in corrispondenza della prima infanzia, possiede la nuda vigna, dotata della sola forza vitale (τὸ ζωτικόν); poi, quando la ragione comincia a svilupparsi completamente (συµπληροῦσθαι ἄρχηται), è tempo della prima fioritura; e nella stessa misura in cui l’anima, coltivata, fa progressi, così anche la vigna, grazie alle cure del contadino, fa mostra dei grappoli a venire, che fioriscono e spargono un buon profumo, ovvero la virtù futura, agli inizi. Ma in seguito i frutti si fanno acerbi, quando la malizia si trova nella giovinezza – non quella che permane, bensì quella che necessariamente insorge e tuttavia mai dà il proprio assenso al peggio, ma sempre, se devo parlar così, è in cammino verso la virtù»251.

Si evince così che per Origene l’anima del neonato e del bambino nei primi anni possiede la sola forza vitale, τὸ ζωτικόν. Il tempo accompagna lo sviluppo del seme razionale affidato all’anima. Origene distingue in CIo II.24.156 due diverse nozioni associate al concetto di vita: la prima fa riferimento alla vita che accomuna creature razionali ed irrazionali; l’altra, cui allude Gv 1,4, è «quella che sopraggiunge insieme al logos che si sviluppa in noi non appena si realizza la partecipazione al logos»252

. Questa seconda esistenza, per usufruire della quale la condizione necessaria ma non sufficiente è il possesso della razionalità, è presente in potenza in ogni uomo; essa si realizza qualora ci si allontani dalla vita ritenuta dai più autentica e che, invece, si rivela fasulla.

Ulteriori indicazioni emergono dall’esegesi origeniana di Mt 22,23-29 in CMt XVII.33: l’Alessandrino considera l’argomentazione dei Sadducei che mettono alla prova Gesù sottoponendogli la questione relativa alla vedova dei sette fratelli, e ne porta alle estreme conseguenze la logica, smascherando l’aporia:

250 Il testo greco non è di semplice interpretazione, perché Origene interrompe il parallelismo tra la prima parte

del periodo, che si compone di un verbo passivo, un soggetto ed un predicativo del soggetto, e la seconda, in cui si ritrova un nominativo plurale accostato ad un genitivo: Καὶ νοείσθω ἐν ἑκάστῃ ψυχῇ ὁ λόγος ἄµπελος πεφυτευµένη ὑπὸ τοῦ οἰκοδεσπότου, καὶ ἀµπελὼν αἱ ἀφορµαὶ πάντων <τῶν> ἀναγκαίων εἰς σωτηρίαν

προβληµάτων (GCS XL.605). Scognamiglio traduce con «Si deve intendere che in ogni anima è il Logos la vite

piantata dal padrone di casa, mentre la vigna è (il complesso degli) stimoli a trattare le questioni necessarie alla salvezza» (cit. 158 s.); Vogt rende «Man verstehe also in jeder Seele die Vernunft als den vom Hausherrn gepflanzten Weinstock und als Weinberg die Anregungen zu allen für das Heil notwendigen Aufgaben» (Der Kommentar zum Evangelium nach Matthäus (I-III), übers. von H.J.VOGT, Stuttgart 1983-1993, II 254).

251 CMt XVII.8 (GCS XL.606): οὕτως ὁ µὲν πρῶτος τῶν ἀνθρώπων τῆς ζωῆς καιρὸς κατὰ τὴν νηπιότητα ἐχέτω τὴν ἄµπελον οὐδὲν περικειµένην ἀλλὰ µόνον ἔχουσαν τὸ ζωτικόν· εἶτ᾽ ἐπὰν ὁ λόγος συµπληροῦσθαι ἄρχηται, ὁ καιρὸς ἔστω τῆς πρώτης ἀνθήσεως, ὅσον δὲ προκόπτει γεωργουµένη ἡ ψυχὴ τοσοῦτον καὶ ὁ γεωργούµενος ἀµπελὼν δείγµατα φέρει µελλόντων βοτρύων, κυπριζόντων µὲν καὶ ὀσµὴν εὐωδίας (µελλούσης ἀρετῆς) φερόντων κατ᾽ ἀρχάς, ὕστερον δὲ ἤδη καὶ ὀµφακιζόντων, ὅτε κακία µὲν νεότητι ἔνεστιν οὐχ ἡ παραµένουσα δὲ ἀλλ᾽ ἡ ἀναγκαίως ὑφισταµένη καὶ οὐδέποτε νευοµένη ἐπὶ τὸ χεῖρον, ἀλλ᾽ ἀεὶ (εἰ δεῖ οὕτως ὀνοµάσαι) ἐπ᾽ ἀρετὴν ὁδεύουσα. 252 CIo II.24.156: ἡ ἐπιγινοµένη τῷ ἐν ἡµῖν συµπληρουµένῳ λόγῳ, τῆς µετοχῆς ἀπὸ τοῦ πρώτου λαµβανοµένης λόγου.

«Bisognava che allora i Sadducei considerassero ciò che conseguiva al loro ragionamento riguardo al fatto che ognuno si riprenda la propria moglie: ovvero che, in questo caso, ci sarebbero nuove generazioni, nascite di bambini, morti; e se è vero questo, allora anche malattie; e se poi si dessero nascite, allora anche infanzie, crescite dopo l’infanzia fino a che non si perfezionino

(συµπληροῦσθαι) prima il linguaggio e poi la facoltà razionale; e nello sviluppo completo (ἐν τῇ

συµπληρώσει) del logos comparirebbe la malizia, ed allora, a fatica, la virtù, in quei pochi che

cercano di trovarla. C’è forse qualcosa di più stupido di questo?»253

I passi considerati mostrano l’istituzione di un legame tra il raffinamento della facoltà razionale e l’insorgere della malizia. Non solo le passioni, ma anche la possibilità di scegliere il male e compiere peccato dipende di necessità dalla facoltà razionale, che consente di opinare sulle sensazioni provenienti dal mondo esterno e di opporvisi, qualora lo si ritenga necessario, nonché di regolare la propria condotta secondo il modello offerto dalla virtù. In questo accostamento si intravvede la linea evolutiva che scandisce il passaggio dalla prospettiva ellenista a quella cristiana, e dalla passione, identificata con il giudizio scorretto, al peccato.

I testi lasciano intravedere una sorta di schema evolutivo costante: l’infante è in ogni caso privo di un completo funzionamento del logos, e, di conseguenza, della capacità di discernere il bene dal male. In concomitanza con l’età dello sviluppo nell’uomo insorge necessariamente la malizia. Quest’ultima non si è ancora radicata nei comportamenti: il fanciullo, passata l’età irrazionale dell’infanzia, ha gli strumenti per assentire alle sensazioni e rendere stabili le cattive opinioni, ma è parimenti in grado di negare il proprio assenso, evitando che esse si stabiliscano saldamente. Da quel momento in poi si presenta all’individuo una sorta di bivio: l’età adulta porta ad alcuni la pratica costante della virtù, ad altri, un vizio duraturo.

Lo schema trova conferma in un testo tratto dai frammenti papiracei del Commento a Romani: «Ed alcuni tra i Greci, non a torto, sostengono che è necessario che nel genere razionale e mortale, con il perfezionarsi (ἅµ[α τῇ συµ]πληρώσει) della facoltà razionale, prima insorga la malizia, poi, con il passare del tempo, si allontani questa con impegno ed attenzione e si stabilisca la virtù»254

. Scherer, editore e traduttore dell’opera, riporta in nota i due passi sopra citati ed osserva come la prossimità contenutistica e terminologica dei testi lasci pensare ad una predilezione dell’Alessandrino per il tema, sviluppato con coerenza.

253CMt XVII.33 (GCS XL.689 s.): ἐχρῆν δὲ ὁρᾶν <τότε> τοὺς Σαδδουκαίους τὸ ἀκόλουθον αὐτῶν τῇ ὑπονοίᾳ περὶ τοῦ ἕκαστον ἀπολήψεσθαι τὴν ἑαυτοῦ γυναῖκα, ὅτι πάλιν ἐκεῖ τεκνογονίαι καὶ παίδων γενέσεις καὶ θάνατοι· εἰ δὲ ταῦτα καὶ νόσοι, εἰ δὲ γενέσεις καὶ νηπιότητες καὶ προβάσεις ἀπὸ νηπιότητος ἐπὶ τὸ συµπληροῦσθαι <τὴν> διάλεκτον καὶ ὕστερον τὸν λόγον καὶ ἐν τῇ συµπληρώσει τοῦ λόγου κακίαν, καὶ µόλις ποτὲ πάλιν ἀρετὴν ἐν ὀλίγοις τοῖς ζητοῦσιν αὐτὴν εὑρίσκεσθαι.Τούτων δὲ τί ἂν εἴη µαταιότερον; 254 CRmT 136.13-16 (ed. SCHERER 136): Καὶ Ἑλλήνων δέ τινες οὐ κακῶς ·[· ἀπε]φ̣ήναντο ὅτι ἀναγκαῖόν ἐστιν ἐν τῷ λογικῷ καὶ θνητῷ γένει ἅµ[α τῇ συµ]πληρώσει τοῦ λόγου πρότερον ὑποστῆναι τὴν κακίαν, εἶτα χρό̣[νῳ ἐξ ἐ]πιµελείας καὶ προσοχῆς ταύτην µὲν ἀνασκευάζεσθαι, τὴν δὲ ἀ̣ρ[ετὴ]ν ὑφίστασθαι.

Sarebbe utile identificare i Greci cui l’Alessandrino si riallaccia nel riproporre questa tesi. La traduzione latina di Rufino non viene in soccorso, riferendosi genericamente a quidam ex sapientibus255

. Pare tuttavia plausibile che Origene pensi proprio agli Stoici. Scherer, per parte sua, si dichiara male in arnese nello stabilire l’identità della fonte origeniana.

Nel commento a Sal 118,128 conservato dalla catena palestinese, l’Alessandrino ripropone l’idea secondo cui, con il pieno sviluppo del logos, subentrerebbe la malizia:

«L’anima umana che raggiunga il pieno sviluppo del logos si trova necessariamente nel peccato, giacché è impossibile che con lo sviluppo della legge di natura insita nell’uomo non insorga il peccato; dopo che è sopraggiunta la malizia e l’anima è stata distorta, c’è bisogno di un raddrizzamento»256

M. Harl, editrice del testo, cita il passo di CRmT ed identifica così i Greci menzionati: «probablement des Stoïciens de son époque»257

.

Nel medesimo testo catenario, all’interno del passo che commenta Sal 118,9 i

νεώτεροι del versetto sono accostati a coloro che hanno da poco raggiunto l’età della ragione, i quali non vivono più senza legge e cui è giunto il comando di Dio. Harl riporta a questo proposito l’opinione di Festugière che fissa l’età dello sviluppo attorno ai quattordici anni258

. F. Cocchini, in margine alla traduzione italiana del commento nella resa rufiniana, rimanda opportunamente a CIo I.269-276, in cui Origene, «seguendo in parte le concezioni stoiche, attribuisce a tutti gli uomini indistintamente una partecipazione al Logos che, con il progredire dell’età, si fa sempre più piena e cosciente»259

: la studiosa appoggia dunque prudentemente una derivazione stoica dell’idea.

255 CRm III.2: «Perciò, mi pare che non a torto alcuni tra i sapienti abbiano stabilito che in tutta la stirpe mortale,

quando si è giunti a quell’età in cui si ottiene il discernimento tra bene e male grazie al sopraggiungere della legge naturale, in un primo momento sorge la malizia di ognuno; poi, poco a poco, essa viene scacciata dall’istruzione, dalle istituzioni, dalle esortazioni, e si passa alla virtù» (ed. HAMMOND BAMMEL 209: Unde non mihi videntur quidam ex sapientibus contra rationem definisse, quod in omni mortalium genere cum ad id aetatis ventum fuerit ubi discretionem recti pravique ingressu naturalis legis excipiat primo omnium malitiam suscitari, post haec iam eruditionibus institutis monitis paulatim eam depelli et ad virtutem transiri). È da rilevare come Rufino inserisca un inciso a proposito della capacità di distinguere tra bene e male, conseguente allo sviluppo della facoltà razionale. A livello testuale, si prende nota di come il testo dell’edizione Heither diverga, sostituendo un singolare al plurale indicato nel testo greco: Unde non mihi videtur quidam ex sapientibus … (ed. HEITHER, II Bd., 60.23-62.4). La soluzione di C. Hammond Bammel, ripresa da M. Fédou nell’edizione delle Sources Chrétiennes , è senz’altro preferibile, proprio sulla scorta del confronto con il greco.

256 FrPs 118,128 (SC 189, 394-396): Ἡ ἀνθρωπίνη ψυχὴ συµπληρώσασα τὸν λόγον, πάντως ἐν κακίᾳ γίνεται.

Ἀδύνατον γὰρ ἅµα τῷ συµπληρωθῆναι τὸν νόµον τὸν φυσικὸν ἐν ἀνθρώποις µὴ ὑποστῆναι τὴν ἁµαρτίαν. Ἐπὰν

οὖν γένηται ἡ κακία καὶ στρεβλωθῇ ἡ ψυχὴ, δεῖται κατορθώσεως.

257 SC 190, 714.

258 SC 190, 570 per il commento di M. Harl; per il testo del frammento si veda infra 115 n. 275. L’identificazione

“pacifica” dei quattordici anni con l’età di ragione si basa sulla correzione di un testo raccolto da von Arnim negli SVF, in cui si parlerebbe invece di prima ebdomade come età dello sviluppo: SVF II 83. Vd. infra 111 n. 269.

259 Origene. Commento alla lettera ai Romani. Volume I, libri I-VII, introduzione, traduzione e note a c. di F.

T. Heither, traduttrice tedesca del commento, cita invece CMt XIII.16 osservando come proprio con lo sviluppo del logos nel bambino subentrino i πάθη. Come si è già detto, le passioni sarebbero dunque equivalenti ai vizi, alla malizia scacciata attraverso l’educazione. Secondo la studiosa tedesca Origene si appoggerebbe qui alla filosofia per mostrare l’universalità del peccato260

.

Il passo del Commento a Giovanni menzionato da Cocchini così come altri testi sulla questione meriterebbero una più ampia analisi; ad essi si tornerà quando si passerà a discutere il terzo aspetto della questione legata allo sviluppo dell’elemento razionale nell’uomo, quello della responsabilità e dell’imputabilità di meriti e demeriti. È bene tuttavia anticipare una problematica la cui soluzione è necessaria alla comprensione di tutti i testi che si osserveranno di seguito, e che si è già proposta nel contesto della traduzione di CMt XVII.8. La questione riguarda la corretta traduzione del termine logos. Sinora ci si è riferiti ad esso nel senso più “greco”, ovvero, come alla facoltà razionale dell’anima. Il termine può poi indicare, evidentemente, la parola, il ragionamento, il linguaggio, l’eloquio. L’Alessandrino non rinuncia a valorizzare questa ricchezza semantica nel caso di alcune esegesi: ad esempio, descrivendo il silenzio di Zaccaria, reso muto a causa della propria incredulità e, aggiunge Origene, del proprio comportamento irrazionale. L’autore ha tutto l’agio di accostare la condizione del padre del Battista a quella dell’Israele storico, che ha perduto la ragione e non può rendere ragione – in greco διδόναι λόγον – dei propri atti261

.

Ma la vera ambiguità è nel caso di Origene di tutt’altro segno, e di maggiore difficoltà. La questione non è tanto quella di distinguere tra i diversi significati che il termine assume nel greco classico, quanto di individuare i riferimenti al Logos-Verbo divino, e di scindere così la riflessione cristologica da considerazioni di natura antropologica relative alla costituzione di una facies razionale. Nella maggior parte dei casi questa operazione si rivela impossibile. Origene sovrappone di frequente la partecipazione al Logos divino, personalistica, dallo sviluppo del raziocinio individuale che è proprio di ogni anima che abbia superato l’età dell’inconsapevolezza; poiché l’oggetto di conoscenza è uno, tale non può che essere il processo di apprendimento. Origene nondimeno riconosce il fatto che la partecipazione universale ad un principio di razionalità, secondo la dottrina dei λόγοι σπερµατικοί, sia percepita differentemente da quanti sono in grado di riconoscerne la fonte e quanti, al contrario, non si spingono sino all’ente, nutrendo così o propalando false dottrine riguardo al Logos. L’Alessandrino si esprime in questi termini:

260 Origenes. Römerbriefkommentar: drittes und viertes Buch, üb. und eing. von T.HEITHER, Bochum 1992.

261 Vd. HLc V.1-3: il gioco di parole, reso possibile in greco dalla polisemanticità di logos, è tradotto da Gerolamo

«Il logos che si trova negli uomini, cui partecipa, si è detto, il nostro genere umano, si predica in due modi: o in riferimento allo sviluppo completo delle nozioni comuni, che si realizza in ciascun uomo che abbia superato la condizione di bambino, fatti salvi i casi eccezionali, oppure riguardo all’eccellenza, che si ritrova solo negli uomini perfetti. Alla luce del primo senso è da intendersi il detto: Se non fossi venuto e non avessi parlato loro, non avrebbero alcun peccato; ma ora non hanno scusa per il loro peccato (Gv 15,22); alla luce del secondo: Tutti coloro che sono venuti prima di me sono ladri e briganti, e le loro pecore non li hanno ascoltati (Gv 10,8)»262.

La citazione di Gv 15,22 esprime con chiarezza il legame tra l’acquisizione della ragione, la capacità di discernere il bene dal male e la conseguente responsabilità. La ripresa del secondo passo scritturistico evidenzia come solo Cristo, in quanto Logos-in-sé, garantisca una corretta partecipazione al principio razionale263

; le altre creature razionali conoscono lo stesso principio per partecipazione in maniera più o meno stretta, a seconda che riconoscano in Gesù il Verbo di Dio oppure no.

Bisogna dunque tener alla mente che con il medesimo termine il greco origeniano indica sia la facoltà razionale in senso lato, sia l’entità personale e divina che questa facoltà dissemina nelle menti degli enti razionali, e che l’uso di un medesimo termine corrisponde all’identità con la quale Origene associa l’uno e l’altro concetto; la distinzione tra i due è del lettore contemporaneo.

Corsini esprime con chiarezza questa dinamica:

«occorre tuttavia tener ben presente che questa partecipazione naturale al logos non è qualcosa d’indistinto ma la partecipazione a un essere personale, al Logos che è Dio: ciò spiega, per un verso, l’accentuazione in senso morale, più che intellettualistico, che Origene dà alla maturazione del logos

Nel documento Lexis paidike. L'infanzia in Origene (pagine 109-118)