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4 «Beato chi afferrerà i tuoi piccoli e li sbatterà contro la pietra» (Sal 136,9 LXX):

Nel documento Lexis paidike. L'infanzia in Origene (pagine 157-159)

i piccoli di Babilonia e le malae cogitationes

«Ad esempio, se l’ira si accenderà nel mio cuore, può accadere che io non porti a termine le opere dell’ira, o perché preso da spavento, o perché trattenuto dal timore del giudizio futuro, ma questo, dice la Scrittura, non è sufficiente: piuttosto, devi agire in modo tale che nessun moto d’ira (commotio iracundiae) abbia mai spazio dentro di te. Infatti se l’animo si mette in agitazione e si turba, quandanche non portasse a termine l’azione, nondimeno l’agitazione, già di per sé, è assolutamente fuori luogo per colui che milita al comando di Gesù. Similmente bisogna pensarla del peccato della concupiscenza, della tristezza e di tutti gli altri vizi. A proposito di tutti questi, il discepolo di Gesù deve comportarsi in modo tale da non respirare (Gs 11,11) alcunché di ciò che è loro, perché non capiti, se mai l’abitudine o il pensiero di un qualche piccolo peccato restassero nel cuore, che con il passare del tempo esso si rinvigorisca e, poco a poco, di nascosto prenda forza, richiamandoci in ultimo al nostro vomito (Pr 26,11); e che all’uomo cui sia capitato questo, succedano cose orribili, peggiori di quelle precedenti (Lc 11,26). Questo aveva in mente il profeta quando, ammonendo nel salmo, diceva: Beato chi afferra i tuoi piccoli e li sbatte contro la pietra (Sal 136,9), intendendo con questo i piccoli di Babilonia, che non sono null’altro se non i cattivi pensieri (Mt 15,19), i quali confondono e intorbidano il nostro cuore. Così infatti si interpreta Babilonia. E questi pensieri, finché sono ancora piccoli ed ai loro inizi, devono essere presi e schiantati contro la pietra, cioè Cristo (cf. 1Cor 10,4); su suo ordine, si deve sgozzarli, affinché nulla resti in noi che respiri (Gs 11,11).»353.

Abbandonando ora la pars subiecti, ci si volgerà alla pars obiecti, che vede i bambini metafora dei pensieri cattivi. L’immagine dei pensieri come figli dell’anima, una metafora generativa, è già filoniana: il bambino non rappresenta degnamente il peccato in quanto

353 HIos XV.3 (SC 71, 342): Verbi causa, si ira adscenderit in cor meum, potest fieri ut opera quidem iracundiae non impleam,

vel metu deterritus vel etiam futuri iudicii timore cohibitus, sed non, inquit, hoc sufficit; agendum tibi potius est, quatenus ne ipsa quidem commotio iracundiae locum habeat intra te. Si enim effervescit animus et conturbatur, etiamsi non impleverit opus, ipsa tamen perturbatio indecens est ei qui sub Iesu militat duce. Similiter et de concupiscentiae vitio et de tristitiae ceterisque omnibus sentiendum est. De quibus cunctis ita agendum est discipulo Iesu, ut nihil omnino horum in eius corde respiret, ne forte, si parvi alicuius vitii aut consuetudo aut cogitatio relinquatur in corde, processu temporis convalescat et paulatim vires latitando conquirat atque ad ultimum revocet nos ad vomitum nostrum et fiant hominis illius, cui hoc acciderit, novissima peiora prioribus. Hoc erat, quod et propheta prospiciens in psalmis praemonet dicens: Beatus, qui tenet et allidit parvulos tuos ad petram, Babylonis scilicet parvulos, qui nulli alii intelliguntur, nisi cogitationes malae, quae cor nostrum confundunt et conturbant. Hoc enim interpretatur Babylon. Quae cogitationes, dum adhuc parvulae sunt et initia habent, tenendae sunt et allidendae ad petram qui est Christus, et ipso iubente iugulandae, ut nihil in nobis resideat quod respiret.

piccolo, o irrazionale; se ne mette piuttosto in luce l’aspetto di creatura dell’anima. In alcuni casi si distinguono con un’esegesi profondamente filoniana le figlie femmine, mala progenie, dalla stirpe maschile, che sono i pensieri virili dell’uomo virtuoso e santo354

. L’immagine, molto diffusa, si coniuga poi assai bene con alcuni passi scritturistici che si riferiscono ad infanti o, genericamente, figli: ad esempio, le figlie di Lot sono considerate in HGn V.6 le tentazioni che provengono dall’interiorità.

La citazione di Sal 136,9, a sua volta, è molto importante nel contesto della riflessione origeniana sulle passioni incipienti. Si tratta di un versetto dalla lettera scabrosa, che pure Origene volge ad un senso allegorico e spirituale perfettamente accettabile ai suoi lettori; anzi, edificante355

.

Il lungo passo riportato, che molto dice, in aggiunta, del pensiero origeniano concernente i famosi primi motus, non è il solo. Altrettanto ricco e corposo quanto a riferimenti alla dottrina delle passioni è un testo tratto dalle omelie sui Numeri. Dopo la consueta citazione del versetto del salmo, Origene si lascia andare ad una serie di domande piene di enfasi retorica, lasciate senza una risposta:

«Chi sarà tale, e di tal valore da non aspettare affatto che cresca in lui la progenie di Babilonia, né aumentino in lui le opere della confusione, ma subito, sin dall’inizio, non appena cominciano a nascere e a prender forza grazie ai moti della volontà; non appena, per esprimermi così, i desideri perniciosi, concepiti per ispirazione dello spirito maligno, cominciano a spinger la testa fuori dalla vulva dell’anima; chi sarà così valoroso, dico, da afferrarli e schiantarli immediatamente contro la roccia, ovvero, portarli al cospetto di Cristo, affinché, posti davanti al suo tremendo giudizio, deperiscano e muoiano?»356.

La metafora generativa non potrebbe esser più esplicita, con il riferimento vivido alla vulva animae. Oltre alla colorita immagine del parto del pensiero cattivo, la descrizione conferma un elemento importante già più volte sottolineato: ovvero, che i perniciosa desideria sembrano essere suggeriti da uno spirito maligno. Oltre a questo, il termine stesso di desiderium lascia pensare a una passione incipiente ma già definita nei propri tratti, se si deve ritenere che al latino corrispondesse il termine greco ἐπιθυµία. L’impressione è confermata dal passo precedente: l’esortazione è ad assicurarsi che nel cuore non restino tracce della habitudo o della cogitatio, ovvero dell’abitudine e del pensiero; quasi che entrambi siano formati al momento di essere divelti dal cuore. Non si tratterebbe, dunque, di impedire che uno stimolo subitaneo e,

354 Su tutto questo si tornerà più diffusamente trattando del tema della paternità umana e divina. 355 Oltre ai testi riportati di seguito si veda anche CCt IV.3.31.

356 HNm XX.2 (SC 461, 30): Quis ergo tantus ac talis est, ut non exspectet omnino, usque quo crescat in eo Babylonia suboles nec

augeantur in eo opera confusionis, sed in primis statim initiis, ubi nasci coeperint et ex voluntatis motibus animae proferre perniciosa desideria maligni spiritus inspiratione concepta, arripiat statim et elidat ad petram, id est adducat ad Christum, ut in conspectu tremendi iudicii eius posita exolescant et pereant?

per così dire, fisiologico, diventi razionale e psicologico; quanto di impedire che la volontà lo rinsaldi con la forza delle proprie decisoni (ex voluntatis motibus).

Per leggere nel greco origeniano una definizione precisa dei piccoli di Babilonia si dovrà cercare in CC VII.22, che fornisce la consueta esegesi del salmo:

«Infatti, infanti di Babilonia – parola che si interpreta ‘confusione’ – sono i pensieri (λογισµοὶ) confusi, nati da poco, sorti nell’anima a causa della malvagità; colui che ha la meglio su di loro e ne sbatte le teste contro la solidità, il vigore del Logos, schianta gli infanti di Babilonia contro la pietra, diventando per questo beato»357.

È da osservare, innanzitutto, come Origene, pur avendo con tutta verosimiglianza presente il riferimento scritturistico, non citi testualmente Mt 15,19: parla infatti di λογισµοί, non διαλογισµοί. La differenza è sottile, eppure la nozione di ragionamento è così volontariamente ripresa da Origene, che non la “incamera” come eredità scritturistica. Ancora, si è visto in più e più esempi come la κακία, la malvagità, sia espressamente collocata da Origene nell’uomo dopo lo sviluppo razionale dell’individuo, e non prima. Giacché è la malizia stessa, in questo passo, a suggerire i ragionamenti malvagi, a suscitarne la nascita, è evidente che il caso non possa riguardare in alcun modo i bambini. Questo passo allontana dunque ancor più l’ipotesi che le affezioni infantili siano da intendersi come fenomeni di

προπάθεια.

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