• Non ci sono risultati.

Precedenti gnostici

Nel documento Lexis paidike. L'infanzia in Origene (pagine 147-150)

I. 2 «La misura minima delle passioni»

I.3. Legge di Mosé, legge naturale

I.3.2. Precedenti gnostici

Gli infanti sono dunque esclusi da responsabilità e, conseguentemente, dal peccato. Eppure «chi sarà puro da impurità? Nessuno, avesse vissuto anche un solo giorno». La citazione di Gb 14,4-5 è centrale nella riflessione origeniana sull’impurità che deriva al singolo dalla sua nascita corporea e sulla necessità del battesimo degli infanti; ne costituisce l’autentico filo conduttore.

D’altra parte, Origene non lavora nel vuoto, qui come altrove. La questione spinosa della citazione di Giobbe e, più in generale, della sofferenza negli infanti, è già al cuore del pensiero di Basilide, stando alla testimonianza di Clemente. È a questo punto importante considerare il frammento dello gnostico in questo contesto, prima di tornare ad Origene, per comprendere come, per un verso, il pessimismo radicale della visione basilidiana rilevasse dall’osservazione della realtà vissuta, contrassegnata da una sofferenza apparentemente gratuita, ed obbligasse pertanto ad una risposta la riflessione del primo cristianesimo; e come la soluzione clementina, prima, ed origeniana, poi, per altro verso, non abbiano fallito nel fornire una lettura soddisfacente a questa problematica.

Nel terzo libro degli Stromati Clemente riporta l’opinione degli Encratiti i quali si appoggerebbero alla citazione di Gb 14,4 ed altri passi per sostenere, sulla base di un’interpretazione letterale del dettato scritturistico, l’impurità della generazione. Clemente, come è ovvio, avversa questa lettura, anteponendole una comprensione spirituale che intende la generazione come la discendenza adamitica dell’uomo, da cui neppure il bambino appena nato è esente:

«Ci dicano allora quando mai un bambino appena nato ha compiuto adulterio, se non per il fatto che è soggetto alla maledizione di Adamo, non avendo fatto nulla; a loro non resta che dire, come sembra, coerentemente, che la generazione è un male: non solo quella corporea, ma pure quella dell’anima attraverso cui avviene quella del corpo»336.

Nel quarto Stromate Clemente riprende la questione riportando il frammento di Basilide. Il passo è molto lungo, ma merita di essere citato in versione quasi completa:

«Basilide nel XXIII libro delle sue esposizioni dice poprio così di quelli che sono puniti col martirio: “Affermo infatti che quanti soggiacciono a queste afflizioni, in quanto incorsi, senza dar nell’occhio, in altri peccati, sono condotti a questo bene per bontà di colui che fa da guida, perché sono fatti falsamente oggetto di altre accuse, affinché non abbiano a soffrire come rei di colpe riconosciute né coperti di vergogna come adulteri e assassini, ma in quanto cristiani per natura; e ciò li consolerà, sì che non sembrerà loro di soffrire. È molto raro che si trovi a soffrire uno che non ha affatto peccato, e neppure questo soffrirà per volontà di qualche potenza, ma piuttosto come soffre anche il bambino che crede di non aver fatto nulla di male”. E più giù di nuovo continua: “Come il bambino, che non

336 Clem. Str. III.16.100.5-7: λεγέτωσαν ἡµῖν ποῦ ἐπόρνευσεν τὸ γεννηθὲν παιδίον, ἢ πῶς ὑπὸ τὴν τοῦ Ἀδὰµ

ὑποπέπτωκεν ἀρὰν τὸ µηθὲν ἐνεργῆσαν. ἀπολείπεται δὲ αὐτοῖς, ὡς ἔοικεν, ἀκολούθως λέγειν τὴν γένεσιν εἶναι

ha peccato in antecedenza, e comunque non ha peccato in effetto (ἐνεργῶς) ma ha in sé la disposizione al peccato, se soggiace al soffrire ne trae giovamento poiché guadagna molte cose difficili ad acquistarsi, così anche il perfetto che di fatto non ha peccato, se soffre, soffre alla pari del bambino: infatti, avendo in sé la disposizione al peccato, non ha peccato solo se non ha colto l’occasione al peccare: per questo non lo considereremo come uno che non abbia peccato. Infatti, come chi vuole fare adulterio è adultero anche se non gli si è offerta l’occasione di commetterlo, e chi vuole commettere omicidio è assassino, anche se non riesce a uccidere, così anche quello che dico privo di peccati, se lo vedo patire, anche se non abbia fatto alcunché di male lo dirò cattivo per la volontà di malfare. Tutto infatti dirò piuttosto che sia cattiva la provvidenza. […] Se poi stringerai più da presso il discorso, ti dirò: Ogni uomo che nomini è uomo: e solo Dio è giusto. Infatti nessuno, come qualcuno ha detto, è mondo da sozzura (Gb 14,4)»337.

Ippolito, che ci fornisce le informazioni forse più significative a proposito di Basilide, associa il pensiero dello gnostico, secondo il classico procedimento di affiliazione delle eresie alle differenti scuole filosofiche greche, all’aristotelismo. In effetti, nonostante la lacunosità del passo, lo sviluppo logico è nondimeno chiaro: chiunque incorra nella sofferenza, come accade ai martiri, sconta necessariamente un peccato, per quanto nascosto o addirittura inconsapevole. La sofferenza non è mai gratuita, ma regolata da una stretta categoria di giustizia. I martiri ottengono il “privilegio” di fare ammenda dei propri peccati senza che le loro colpe siano pubblicamente esposte, essendo del tutto pretestuosa la motivazione per la quale vengono condannati a morte. Il bambino di cui si dice che è macchiato di sozzura non può, evidentemente, aver commesso colpa; quelle che eventualmente sconta sono anticipazione, meglio, attuazione, di una potenzialità insita in lui, che si sarebbe in ogni caso realizzata.

Oltre a riferire la teoria basilidiana al caso dell’umanità e della sofferenza di Cristo, Clemente aggiunge di seguito al frammento un’ulteriore informazione: lo gnostico avrebbe ritenuto che le colpe scontate «qui», attraverso la punizione privilegiata del martirio o una pena propria a ciascuno, risalirebbero in realtà ad una vita precedente a questa. P. Nautin mette in

337 Clem. Str. IV.12.81.1-83.2: βασιλείδης δὲ ἐν τῷ εἰκοστῷ τρίτῳ τῶν Ἐξηγητικῶν περὶ τῶν κατὰ τὸ µαρτύριον κολαζοµένων αὐταῖς λέξεσι τάδε φησί· "φηµὶ γάρ τοι, ὁπόσοι ὑποπίπτουσι ταῖς λεγοµέναις θλίψεσιν, ἤτοι ἡµαρτηκότες ἐν ἄλλοις λανθάνοντες πταίσµασιν εἰς τοῦτο ἄγονται τὸ ἀγαθόν, χρηστότητι τοῦ περιάγοντος ἄλλα ἐξ ἄλλων ὄντως ἐγκαλού µενοι, ἵνα µὴ ὡς κατάδικοι ἐπὶ κακοῖς ὁµολογουµένοις πάθωσι, µηδὲ λοιδορούµενοι ὡς ὁ µοιχὸς ἢ ὁ φονεύς, ἀλλ᾽ ὅτι Χριστιανοὶ † πεφυκότες, ὅπερ αὐτοὺς παρηγορήσει µηδὲ πάσχειν δοκεῖν· κἂν µὴ ἡµαρτηκὼς δ᾽ ὅλως τις ἐπὶ τὸ παθεῖν γένηται, σπάνιον µέν, ἀλλ᾽ οὐδὲ οὗτος κατ᾽ ἐπιβουλὴν δυνάµεώς τι πείσεται, ἀλλὰ πείσεται ὡς ἔπασχε καὶ τὸ νήπιον τὸ δοκοῦν οὐχ ἡµαρτηκέναι." εἶθ᾽ ὑποβὰς πάλιν ἐπιφέρει· "ὡς οὖν τὸ νήπιον οὐ προηµαρτηκὸς ἢ ἐνεργῶς µὲν οὐχ ἡµαρτηκὸς οὐδέν, ἐν ἑαυτῷ [τῷ] δὲ τὸ ἁµαρτῆσαι ἔχον, ἐπὰν ὑποβληθῇ τῷ παθεῖν, εὐεργετεῖται [τε], πολλὰ κερδαῖνον δύσκολα, οὑτωσὶ δὴ κἂν τέλειος µηδὲν ἡµαρτηκὼς ἔργῳ τύχῃ, πάσχῃ δέ, ὃ ἂν πάθῃ, τοῦτο ἔπαθεν ἐµφερῶς τῷ νηπίῳ· ἔχων µὲν <γὰρ> ἐν ἑαυτῷ τὸ ἁµαρτητικόν, ἀφορµὴν δὲ πρὸς τὸ ἡµαρτηκέναι µὴ λαβὼν οὐχ ἡµάρτανεν. ὥστ᾽ οὐκ αὐτῷ τὸ µὴ ἁµαρτῆσαι λογιστέον. ὡς γὰρ ὁ µοιχεῦσαι θέλων µοιχός ἐστι, κἂν τοῦ µοιχεῦσαι µὴ ἐπιτύχῃ, καὶ ὁ ποιῆσαι φόνον θέλων ἀνδροφόνος ἐστί, κἂν µὴ δύνηται φονεῦσαι, οὑτωσὶ δὴ καὶ τὸν ἀναµάρτητον ὃν λέγω ἐὰν ἴδω πάσχοντα, κἂν µηδὲν ᾖ κακὸν πεπραχώς, κακὸν ἐρῶ τῷ θέλειν ἁµαρτάνειν. πάντ᾽ ἐρῶ γὰρ µᾶλλον ἢ κακὸν τὸ προνοοῦν ἐρῶ."… ἐὰν µὲν ἐπιτρέπῃς, ἐρῶ, οὐχ ἥµαρτεν µέν, ὅµοιος δὲ ἦν τῷ πάσχοντι νηπίῳ· εἰ µέντοι σφοδρότερον ἐκβιάσαιο τὸν λόγον, ἐρῶ, ἄνθρωπον ὅντιν᾽ ἂν ὀνοµάσῃς ἄνθρωπον εἶναι, δίκαιον δὲ τὸν θεόν.

καθαρὸς γὰρ οὐδείς, ὥσπερ εἶπέ τις, ἀπὸ ῥύπου.". Testo greco e traduzione da Testi gnostici in lingua greca e latina, a

guardia dall’inferimento di questa informazione, che rimonterebbe piuttosto al fraintendimento clementino del frammento citato338

.

L’associazione dell’eresia basilidiana all’aristotelismo da parte di Ippolito non è priva di interesse, soprattutto per quanto riguarda il rapporto con Origene e le considerazioni avanzate a proposito dello sviluppo graduale del Logos in CRm VIII.2: nel passo in questione si portava egualmente l’esempio del bambino appena nato339

. Basilide avrebbe reso esplicito il concetto della giustizia divina in rapporto alla responsabilità individuale, enfatizzando la problematica dell’esperienza del dolore.

Origene condivide, si è visto, l’idea secondo cui debbano esistere una reciprocità della punizione ed un’ “imputabilità” del soggetto che in essa incorre. A proposito dell’infanzia, tuttavia, sviluppa una distinzione di fondamentale importanza, che gli consente di salvaguardare la giustizia divina e la constatazione della impurità intrinseca legata alla generazione umana. Gli elementi centrali della sua riflessione si collocano in CRm V.9, HLc XIV.3-5; HLv VIII.3. Se ne tratterà più diffusamente quando sarà questione del battesimo. Si menziona la problematica in questo contesto perché il dato sembra essere in contraddizione con quanto detto a proposito della estraneità dei fanciulli dal peccato. In effetti, Origene è ben attento a distinguere quest’ultimo, inteso come assenso ad una rappresentazione falsa e ad uno stimolo proveniente dall’esterno o, più spesso, dall’interno, da questa sorta di ‘sporcizia’ – il termine greco della citazione di Giobbe, che Origene adotta, è ῥύπος – tradotta di uomo in uomo attraverso la generazione e che sembra avere a che fare propriamente con la sfera della corporeità340

. La terminologia riflette questa distinzione, con qualche oscillazione341

.

In questo senso, anche Gesù non è immune dalla sporcizia contratta per la contaminazione con la carne; ed è questa la ragione, osserva l’Alessandrino, per cui il Gesù bambino di otto giorni, secondo la tradizione ebraica, è condotto al tempio per i riti della purificazione: «Ogni anima che abbia rivestito un corpo umano ha le proprie impurità»342

.

338 P.N

AUTIN, Les fragments de Basilide sur la souffrance et leur interpretation par Clément d’Alexandrie et Origène, in Mélanges d’histoire des religions offerts à Henri-Charles Puech, Paris 1974, 393-403.

339 Vd. supra 103.

340 Si tratta di distinzione importante, che Paola Pisi ha ragione di rimarcare, a nostro avviso, di contro alla teoria

sostenuta da J. Laporte secondo cui non vi sarebbe alcuna preesistenza delle anime, ma la diversità di esse sarebbe da giustificare con la vita prenatale del feto: vd. P. PISI, Peccato di Adamo e caduta dei noes nell’esegesi origeniana, Orig. IV 322-335, 329 s. n. 7. Sulla ipotesi di Laporte si veda supra 117 n. 282 ed infra 156 n. 362. Sulla questione delle sordes si veda anche G. SFAMENI GASPARRO, Le sordes (/Rhupos), il rapporto genesis-phthorà dell’enkrateia in Origene, Orig. III 167-183.

341 Ad esempio, Cocchini osserva a ragione come nel passo menzionato di CRm V.9 il latino parli di peccata e non

sordes. Non si mantiene dunque la terminologia più precisa di HLc XIV.5. Ciononostante, secondo la studiosa stessa, la presenza della citazione di Gb 14,4-5 e lo schema argomentativo apparenta il testo a quelli menzionati: COCCHINI, Commento, cit. 291 n.59.

L’impurità è presente perciò in ogni individuo che non sia stato purificato dal lavacro del battesimo. Essa non rientra nella categoria del peccato. Si vedrà più precisamente, in un capitolo successivo, come essa non coincida affatto con il peccato originale, dottrina la cui formulazione è certamente posteriore a Origene.

Nel documento Lexis paidike. L'infanzia in Origene (pagine 147-150)