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3. Jules Bonnot l’anarchico

3.4. Banditi nella sala

Schegge come lacrime di vetro sono metro dell'acredine,

di fronte ad una forbice invisibile, che separa ogni mio simile che osserva da chi attraversa quella soglia e in quel negozio compra ciò che ha voglia. Sfoglia

le pagine del libro dell'inuguaglianza e cogli la sostanza, la mia scelta di coerenza

sta nei sogni dei banditi, nel dileggio dei divieti, nell'odio viscerale per vigliacchi e mansueti.

Sono un ladro e lo confesso, e con questo?

io senza legge rubo in nome di me stesso,

altri più scaltri di professione si spartiscono poltrone e mai nel proprio nome,

mentre

la giustizia muore dentro una prigione.366

Questa canzone del Master of Cerimonies (MC) italiano Signor K riunisce tre figure del mio lavoro di tesi: il bandito, Jules Bonnot (di cui il DJ Walter Bonanno porta il nome), il pirata attraverso l'immagine del Jolly Roger e, infine, l'attivista politico. Poco oltre il testo infatti recita:

Nero come il blocco che combatte sul cemento.367

Facendo un evidente riferimento a quello che, nella prosa giornalistica viene definito il «blocco nero».368Ad accomunare queste tre figure si

trova l'antagonismo al sistema di proprietà e distribuzione della ricchezza percepito come iniquo. La differenza tra chi può e chi non può permettersi di comprare è l'ingiustizia che legittima, anzi obbliga alla scelta di campo, schierarsi con i banditi diventa una necessità di coerenza. Chi non prende posizione entra nel gruppo dei «vigliacchi e mansueti» verso i quali esiste solo odio. La rappresentanza politica è un vuoto spartirsi di poltrone e la giustizia muore in quella stessa istituzione che dovrebbe reprimere e controllare in suo nome (ma, ormai si sa, lo iato tra legge è giustizia è un fondamento dell'auto- definizione del bandito). La pratica del furto è quindi giustificata in quanto la proprietà non viene concepita come diritto ma come sopruso, secondo la lunga tradizione che va dall'illegalismo anarchico

366 SIGNOR K feat BONNOT., Jolly Roger, On one label, 2009, tr.3, min. 0:23. 367 Ivi, min. 01.14.

368 AA.VV., Io sono un black bloc. Poesia pratica della sovversione, Derive

che fu proprio della figura storica di Bonnot,369 agli espropri proletari

negli anni '70, fino ad arrivare a forme contemporanee:

Quando si decide di saltare un tornello, di fare un esproprio, di rubare qualcosa in un supermercato perché non... si ha tanta fame e non si ha i soldi per poterla comprare... è... è un atto liberatorio, è un atto liberatorio perché ti fa capire che non è la tua, che non è tua la colpa, non sei tu che ti sei messo in quella condizione ma è una situazione che qualcun altro ha creato per te e non è giusta quella situazione e invece di sentirsi impotente e accettarla passivamente si fa qualcosa.370

Nell'oggi si parla di pratiche proprie solo di una parte minoritaria del movimento. Questo non significa, però, che il resto del movimento sia disposto a non identificarsi con la figura di Bonnot.371 Anche i due

elementi del personaggio più stigmatizzati socialmente, l'invidia e la violenza, vengono rivendicati:

E soprattutto non è invidioso perché vorrebbe essere della classe dei ricchi. [...] Bonnot è invidioso perché vorrebbe che... realizzando il desiderio... cioè realizzando i desideri suoi e non solo, perché appunto sono collettivamente costruiti, ci fosse un accesso a una serie di possibilità di... appunto, di comportarsi in maniera desiderante.

Dunque il desiderio di bene materiale non si esaurisce nel suo possesso.372

369 Vedi par. 3.1.

370 Intervista Francesco, min 13.27 ss.

371 Credo sia molto interessante il fatto che, anche coloro i quali mantengono verso Bonnot un atteggiamento analogo a quello del personaggio di Victor verso Raymond, tendano a dimenticare la presenza del personaggio di Victor nel testo o comunque a non citarlo.

372 Per un approfondimento su questo concetto di desiderio rimandiamo all'opera di Gilles Deleuze, in particolare G. DELEUZE e F. GUATTARI,

L'anti-Edipo, trad. di Alessandro Fontana, Einaudi, Torino 1975 e G. DELEUZE e (a.c.) C. PARNET, Abecedario di Gilles Deleuze, DeriveApprodi, Roma 2014.

Quando c'è un potere che va a regolamentare ogni aspetto e che... l'intento di questo è andare a bloccare il desiderio perché regolamentando vai a normare i corpi, vai a disciplinare i corpi, vai a disciplinare la stessa richiesta di bisogni, che è una roba ben diversa dai desideri. Nel momento in cui riesci a essere desiderante stai andando a creare un'opposizione a questo sistema normativo.373

Robin Hood non mostra mai invidia, non desidera mai nulla per sé con la stessa cocente necessità di Bonnot e per questo può essere l'eroe senza macchia e senza paura per grandi e piccini: perché non si oppone mai davvero alla normazione dei desideri. Lui desidera ciò che è giusto desiderare nelle forme in cui è giusto farlo. Bonnot no, Bonnot è invidioso della ricchezza che vede e ne vorrebbe per sé.

Il sole di luglio illuminava il pane sui banchi di legno, e lo scintillio dorato lo attirò irresistibilmente. Si avvicinò alla vetrina e contemplò le ceste, i vassoi, i vasi di vetro colmi di biscotti e i volti delle donne che indicavano una cosa o l'altra con gesti indifferenti. […] Aveva fatto male a spingersi nei quartieri benestanti con l'illusione di trovare il modo di riempirsi le viscere girovagando tra l'abbondanza, quasi che la vista della ricchezza avesse potuto aiutarlo a farsi venire qualche idea. Ma l'unico pensiero che aveva preso ad assillarlo era la convinzione di essere in diritto di rubare ciò che gli altri sprecavano.374

Proprio per questo è un vero rivoluzionario, perché si rifiuta di essere addomesticato all'interno della gabbia di desiderio che il sistema ha costruito per lui. L'altro nodo difficile è quello della violenza di Bonnot che viene sentita come una pratica altrui ma comprensibile:

ALESSANDRO G.: [La violenza è] l’ unico strumento, soprattutto, con il quale

il bandito quindi lo sconfitto della storia barra l'emarginato riesce a ottenere delle piccole vittorie quotidiane sul... cioè, la violenza, se uno... la

373 Intervista Fabio min. 48.01 ss.

violenza è l'unico strumento con il quale nell'immediato tu puoi ribaltare i rapporti di classe.375

Il personaggio di Bonnot, quindi, è quello del testo di Cacucci che più si ricorda e verso il quale c'è una diffusa simpatia e complicità:

[Riguardo Jules Bonnot] positivo in quanto negativo quanto lo sarei io: è quel non essere positivo in senso assoluto. Ma poi positivo onestamente è una categoria, e come tutte le categorie bisogna capire in che ambito e con che rapporti di forza va... che rapporti di forza va a nascondere. [...] non è di certo positivo perché il suo... nel periodo e nel contesto raccontato quella non poteva di certo essere la positività.376

Gli viene riconosciuto uno statuto diverso da quello dell'eroe, si riconosce in lui qualcosa di negativo, ma proprio per questo lo si sente ancora più vicino a se («negativo come lo sarei io»). È chiaro che l'essersi emancipato dalla perfezione e aver acquisito una maggiore complessità e profondità psicologica ha permesso al personaggio di prestarsi meglio all'identificazione del lettore, tanto quanto lo ha reso meno disponibile al riuso in termini di rappresentazione verso l'esterno del movimento. In quest'ottica si chiarisce anche perché, del romanzo di Cacucci, non resti per nulla impressa la figura di Victor: troppo eroica, troppo integerrima per assolvere al compito per il quale, invece, è perfetto il personaggio di Bonnot; troppo poco simbolica per prendere il posto della figura di Robin Hood. Bonnot compre un vuoto, quello dell'identificazione di sé e delle proprie debolezze, dei propri rimpianti. Non per nulla la frase che ricorre e si ricorda più spesso è proprio quella che riassume la sconfitta e l'orgoglio del personaggio e che da titolo al libro: «in ogni caso nessun rimorso».

375 Focus Group min 24.52 ss.

Ecco perché a Bonnot viene accordato un ruolo preminente nell'immaginario del bandito ma i casi di riuso sono assai più limitati: se Robin Hood può essere un segno con cui rappresentarsi se stessi, Bonnot può essere un segno in cui ritrovare se stessi, le proprie debolezze, le paure e le tentazioni:

La figura di Bonnot […] assorbe un po' tutto l'immaginario è un po' una figura emblematica da questo punto di vista dell'immaginario di un bandito, ha tutti gli elementi se vogliamo.377

Allo stesso modo si riconosce alla figura dell'anarchico un valore emblematico nei movimenti di lotta sociale:

[Parlando dell'anarchico] è sempre stata un po' la figura politica che più era capace di raccontare certi aspetti di... di resistenza, di fatto, no? Cioè di fatto l'anarchia è poi sempre in lotta contro i meccanismi del potere qualunque essi siano. E in questo... sono quelli che da un lato in questo son quelli che meglio rappresentano il movimento.378

377 Intervista a Francesco B. min. 12.55 ss. 378 Intervista a Fabio min. 21.33 ss.

Figura 7: Scritta apparsa al posto del murale dell'artista Blu sul muro di SPA xm24.

Da notare è che il parlante dimostra con chiarezza di non appartenere al movimento anarchico usando il dimostrativo «quelli» per indicare una distanza. Ciò non di meno è disposto a riconoscere un ruolo simbolico altissimo alla loro figura. Questo riconoscimento ha per altro a che vedere con un aspetto tipico della figura del bandito non eroico: la certezza della sconfitta.

L'anarchico non vince mai, l'anarchico non può vincere in sé. L'anarchia è quasi una scelta di posizione nel perdere.379

Da questo punto di vista si può dire che l'anarchia rappresenti l'essere in lotta di tutti i movimenti. L'anarchia diventa metafora per la posizione di conflittualità antagonista in cui i militanti, in modo trasversale, si sono percepiti almeno una volta nel loro percorso. Per questa ragione diventa specchio perfetto per tutta quell'ampia parte di movimento che subisce una fascinazione verso l'idea del conflitto perenne, pubblico ben più ampio dei soli militanti anarchici. L'anarchico bandito, che unisce la certezza della sconfitta politica con la certezza della sconfitta personale, radicalizza e illumina il nodo centrale del rapporto tra i militanti-lettori e i testi incentrati sulla figura del bandito, evidenziando come essi possano divenire fonte di script per la lotta senza soluzione.

La simpatia, la fascinazione ma, mi vien da dire anche la comodità, di ritrovarsi come vittima della repressione e la spinta a volerla spezzare. D'altra parte qualsiasi lotta in teoria dovrebbe avere un obbiettivo risolutivo ma il fatto di ritrovarsi sempre dalla parte del perseguitato, sempre dalla parte del represso, del... di chi non ha un ruolo all'interno della società è terribilmente affascinante, è molto seduttivo.380

379 Ivi, 36.55 ss.

Bisogna infatti considerare che il raggiungimento dell'obbiettivo dichiarato da parte di un movimento porta con se il grande rischio della morte del movimento stesso: se l'obbiettivo è raggiunto non vi è più motivo di essere in lotta. La condizione più prospera per un movimento è invece quella dell'avanzamento verso l'obiettivo, la conquista di terreno ma non il raggiungimento della meta. In questo modo la lotta continua, felice ma non soddisfatta. Bisogna a questo punto ricordare la già citata frase di Tarrow:

Benché i movimenti spesso ricorrano alla protesta per ottenere dei vantaggi, questi vantaggi per le organizzazioni dei movimenti non vanno visti in termini strettamente economici, quanto strumentali ai loro più ampi interessi, che sono quelli di consolidarsi, di mantenere la loro coesione interna e reputazione esterna, di distinguersi da nemici e concorrenti.381

E rendersi conto di quante implicazioni porta con se la consapevolezza che i più ampi interessi per un movimento siano (o meglio possano essere) la propria autoconservazione. In questa logica ecco che l'auto- rappresentazione di se come banditi in perenne e insanabile lotta contro il sistema può essere davvero molto attraente.

CONCLUSIONI

Nel corso del lavoro di tesi ho cercato di verificare come la figura letteraria del bandito e le sue derivazioni contribuiscano a formare l’identità che i movimenti sociali veicolano verso l’esterno e al loro interno. In secondo luogo ho poi cercato di dimostrare come non solo la letteratura abbia ripercussioni forti sulle relazioni comunitarie, ma anche come queste ultime abbiano una ricaduta sulla fruizione della letteratura. In particolare ho cercato di evidenziare come, in virtù della sua funzione nella narrazione della comunità, venga sempre sentita una vicinanza indiscussa nei confronti del bandito, senza fare distinzione tra testi con lettori impliciti o focus empatici differenti. Ho voluto descrivere questo fenomeno poiché mi è parso significativo per istituire un ponte tra lo studio della letteratura e lo studio della società, due ambiti a mio avviso inscindibili proprio per le connessioni che li permeano rendendoli non tanto due universi tangenti quanto facce differenti di uno stesso oggetto.

In particolare ho considerato il rapporto che i movimenti instaurano con tre personaggi banditeschi molto diversi tra loro: Robin Hood, Long John Silver e Jules Bonnot.

Il primo, eroe bandito per eccellenza nell’immaginario collettivo, viene utilizzato come biglietto da visita per presentare la propria identità nella forma più accettabile per chi non fa parte della comunità ristretta del movimento.382 I suoi connotati positivi, che si sono

affermati durante i secoli e hanno portato il personaggio a distanziarsi

considerevolmente dall’immagine delle prime ballate,383 vengono

riconosciuti come parte essenziale del proprio essere militanti e vanno dall’insofferenza per le ingiustizie alla solidarietà coi più deboli e gli emarginati. Anche l’importanza della comunità ristretta e del luogo fisico dove farla vivere vengono riconosciuti nel personaggio. Gli elementi che allontanano Robin Hood dalle rivendicazioni dei movimenti (ad esempio il ruolo di Re Riccardo) vengono rimossi ma non per questo viene messo in discussione il modello di riferimento.384

Nemmeno viene apprezzata una versione del mito dove questi elementi siano assenti (la versione cinematografica di Ridley Scott,385

ad esempio). Questo a mio avviso avviene perché, dovendo essere simbolo condiviso con l’esterno del movimento, è più efficace mantenere un’immagine facile da riconoscere per la più ampia porzione di pubblico possibile. Saranno altri personaggi a sopperire alle mancanze di Robin Hood e a essere più utili alla costruzione identitaria interna.

Il pirata, ad esempio, con la sua storia di passaggio da antagonista a protagonista, con la sua spinta libertaria e individualista, diventa un simbolo in cui ritrovarsi e con cui raccontarsi. Se Robin Hood manteneva, anche nelle ballate originarie, degli aspetti di adesione a un’etica condivisa dalla società che lo aveva bandito (si pensi ad esempio alla sua vocazione mariana386), il personaggio del pirata è

invece presentato come elemento del tutto esterno ad essa. La sua

383 Vedi par. 1.1. 384 Vedi par. 1.3.1. 385 Vedi par. 1.2.2. 386 Vedi par. 1.1.

spinta anarcoide ed eversiva è totale, per quanto l’individualismo e l’edonismo gli rendano impossibile trasformarla in rivendicazione politica (poco importa se la realtà storica al riguardo pare essere stata ben diversa).387 Perfino nella versione in cui il testo dimostra una

coscienza più spiccata del potenziale ipatto sociale dei pirati (mi riferisco a La vera storia del pirata Long John Silver388 di Bjorn

Larsson) questi non potranno mai costituirsi come gruppo consapevole e organizzato e, di conseguenza, non saranno mai in grado di dar voce a delle rivendicazioni. Il modello che s’impone nell’immaginario collettivo è quello stabilito da Stevenson in The Ttreasure Island389

dove già la lungimiranza di Silver era avvertita come eccezionale. Si può dire che i pirati nel loro insieme sono paghi di avere una nave sulla quale vigono regole condivise tra loro ma non aspirano ad esportare quelle stesse leggi nel mondo. Nonostante questo suo esacerbato individualismo, o forse proprio in virtù di esso, la figura del pirata ha subito, nei secoli, una decisa rivalutazione fino a diventare protagonista positiva di film e libri di successo.390 I

movimenti sociali in Italia hanno trovato, così, un altro simbolo adatto a fungere da ponte tra il loro immaginario e quello esterno, in particolare un simbolo in grado di esprimere proprio quest’idea di libertà e di microcosmo autosufficiente, estraneo al resto della società.391 387 Vedi par. 2.1. 388 Vedi par. 2.3.2. 389 Vedi par. 2.2. 390 Vedi par. 2.3.1. 391 Vedi par. 2.4.

L’ultimo personaggio analizzato è l’unico a portare avanti rivendicazioni sociali riconducibili a una precisa dottrina politica e a richiamarsi ad un personaggio storico specifico di cui si conoscono i dettagli della biografia e l’esatto contesto socio-politico:392 di Jules

Bonnot conosciamo sia le origini storiche, che risalgono ad una famiglia di minatori nella Francia di fine 800, sia la data e le circostanze della morte oltre a numerosi dettagli sulla vita. Dunque, lo statuto di questo personaggio sembrerebbe del tutto diverso da quello dei precedenti ma, come abbiamo visto, questo non impedisce al testo analizzato di aderire ad una tradizione di genere e nemmeno impedisce ai lettori di riutilizzare il testo per consolidare un’identità collettiva. Come dimostra l’uso da parte dell’artista Blu di una famosa citazione del libro di Pino Cacucci,393 o la scelta del nome d’arte da

parte del DJ Walter Buonanno, alias Bonnot394 per l’appunto, il

personaggio del giovano anarchico illegalista non si limita certo ad essere punto di riferimento per gli amanti di Stirner.395 Nonostante la

lontananza di buona parte del movimento dalle teorie anarchiche, la figura letteraria di Bonnot e dell’anarchico in generale ha una presa particolare sull’immaginario: gli viene infatti riconosciuta la capacità di veicolare con speciale forza l’essere in lotta396. L’impossibilità del

raggiungimento dell’obbiettivo fa di lui l’immagine dell’eterno

392 Vedi par. 3.1. 393 Vedi fig. 5

394 Vedi par. 3.4.

395 Tra i teorici anarchici più amati dagli illegalisti va ricordato infatti Max Stirner autore di Der Einzige und sein Eigentum. M. STIRNER, L’unico e le sue proprietà, trad. it. di L. Amoroso, Adelphi, Milano 1979.

sconfitto, dell’eroe titanico la cui grandezza sta proprio nell’intraprendere una lotta giusta ma il cui esito è già segnato. La vittoria dell’anarchico sta nel proseguire del conflitto nei secoli futuri grazie al ricordo del suo gesto, spesso esemplare. Se alla morte di un re ne sorgerà un altro, uccidere un re dimostra che i re possono essere uccisi e questa è di per sé una vittoria. Anche se il testo In ogni caso

nessun rimorso non presenta Bonnot come l’eroe della vicenda,

lasciando invece a Victor questo ruolo,397 è comunque la sua storia di

disperata e perdente ribellione ad affascinare. Proprio il suo non essere eroe, le sue debolezze, i suoi errori sono gli elementi che permettono ai militanti di specchiarsi nella sua immagine e rivendicarne il nome. Ora che ho descritto queste tre figure e quali relazioni instaurano con i loro lettori, mi viene spontaneo chiedermi dove porti questo rapporto. All’inizio di questo lavoro di tesi ho cercato di tracciare le motivazioni che, credo, rendono indispensabile ai movimenti trovare delle figure di riferimento, degli eroi che siano al tempo stesso modelli per comportamenti sovversivi, immagini fondative di una comunità e veicoli di comunicazione verso l’esterno. Al riguardo vorrei citare un’altra canzone che credo descriva con precisione questo tipo di rapporto:

Banditi nella sala, banditi dalla patria, scordati dalla storia, scolpiti nella pietra, rivivono in canzoni di giovani pirati atti di rivoluzione mai dimenticati. Zamboni, si chiamava Anteo, nel 1926 fu linciato in quel corteo.

Aveva quindici anni, un sogno: uccidere Benito.

Figlio di un anarchico sparò, però non ha colpito. Ora questa strada dove noi camminiamo

porta il suo nome e noi noi lo sappiamo. Gaetano Bresci invece ce l'ha fatta:

tre colpi di pistola per far fuori quel monarca. Banditi d'altri tempi che i maestri non ci insegnano, maestri banditi ma i banditi non ti spiegano.

Banditi nella sala, più fuoco! Accendini su come i bengala398

È chiaro che qui i banditi vengono intesi come figure mitico-fondative e viene presentato un lungo elenco che potremmo definire di antenati