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IL BENE GIURIDICO IN GIOCO

Nel documento INDAGINI INFORMATICHE E PROCESSO PENALE (pagine 118-121)

Il vero problema, oggi, consiste nello stabilire “se” un’acquisizione atipica lede un diritto fondamentale, nella individuazione del bene giuridico coinvolto dall’atipica attività di indagine e nella quantificazione del “grado di lesione” raggiunto373. Come abbiamo visto, infatti, dal corretto “incasellamento” costituzionale dell’interesse in gioco dipende la legittimità dello strumento probatorio e la conseguente utilizzabilità dei suoi risultati.

Ebbene, nonostante le diverse conclusioni, su di un punto di partenza tutti sono d’accordo: le perquisizioni online incidono –quantomeno– sulla riservatezza della vita privata. Ciò premesso, sulla legittimità di tale strumento investigativo atipico, e sulla conseguente utilizzabilità degli elementi ottenuti, si riscontrano opinioni differenti.

Secondo un primo orientamento, la riservatezza della vita privata non sarebbe oggetto di autonoma e specifica tutela a livello costituzionale374, di tal ché la sua rilevanza nella più alta delle fonti, se esiste, si deve all’art. 2 Cost. Da tale considerazione preliminare, si ricava l’inesistenza della riserva di legge rafforzata dalla necessaria previsione legislativa dei casi e dei modi di possibile limitazione del diritto. La conseguenza è la legittimità del captatore informatico, pur lesivo della riservatezza, se supportato da previo e motivato provvedimento dell’autorità giudiziaria, i cui presupposti, unitamente ai risultati probatori di tale strumento atipico, potranno essere vagliati nel contraddittorio fra le parti a norma dell’art 189 c.p.p.375.

In base ad un secondo orientamento376, invece, su tale conclusione, apparentemente lineare, è destinata ad incidere la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti

373 Cfr. Cass. pen., 21 giugno 2010, Angelini, n. 23742.

374 Cfr. E. APRILE - F. SPIEZIA, Le intercettazioni telefoniche e ambientali, Milano, 2004, p. 160. 375 Cfr. Cass. pen, sez. V, 14 ottobre 2009, n. 16556, in CED 246954.

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dell’uomo e delle libertà fondamentali (C.E.D.U.). Il ragionamento che viene proposto è il seguente: successivamente alle c.d. sentenze gemelle della Corte costituzionale, risalenti al 2006377, si è avuta una vera e propria rivoluzione nel sistema delle fonti di diritto interno: con le sentenze n. 348 e 349 del 2007, nonché n. 39 del 2008, la Corte costituzionale, facendo leva sull’art. 117, comma 1, Cost., ha stabilito che nell’ordinamento italiano le norme CEDU hanno rango interposto, vale a dire superiore a quello della legge ordinaria ed inferiore solo a quello delle norme costituzionali. Ove si sospetti che una norma di legge ordinaria contrasti con la CEDU –e con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che ne è l’interprete autentico– ed ove il contrasto non sia eliminabile con gli ordinari strumenti dell’interpretazione conforme, detta norma può ed anzi deve essere sottoposta allo scrutinio del Giudice delle leggi, cui spetta appunto l’ultima decisione. «In particolare, con riferimento ai diritti fondamentali, il rispetto degli obblighi internazionali non può mai essere causa di una diminuzione di tutela rispetto a quelle già predisposte dall’ordinamento interno, ma può e deve, viceversa, costituire strumento efficace di ampliamento della tutela stessa. Se si assume questo punto di partenza nella considerazione delle interrelazioni normative tra i vari livelli delle garanzie, si arriva facilmente alla conclusione che la valutazione finale circa la consistenza effettiva della tutela in singole fattispecie è frutto di una combinazione virtuosa tra l’obbligo che incombe sul legislatore nazionale di adeguarsi ai principi posti dalla CEDU […omissis…], l’obbligo che parimenti incombe sul giudice comune di dare alle norme interne una interpretazione conforme ai precetti convenzionali e l’obbligo che infine incombe sulla Corte costituzionale - nell’ipotesi di impossibilità di una interpretazione adeguatrice – di non consentire che continui ad avere efficacia nell’ordinamento giuridico italiano una norma di cui sia stato accertato il deficit di tutela riguardo ad un diritto fondamentale»378. Tale “combinazione virtuosa” viene anche definita “continua e dinamica integrazione” e lo scopo del meccanismo viene individuato nella massima espansione delle garanzie, anche attraverso lo sviluppo delle potenzialità insite nelle norme costituzionali che hanno ad oggetto i medesimi diritti.

377 C. cost., 24 ottobre 2007, n. 348, in Giur. cost., 2007, p. 3475 ss., con nota di C. PINELLI, Sul trattamento giurisdizionale della CEDU e delle leggi con essa confliggenti, in Riv. AIC, marzo 2008; C. cost., 24 ottobre 2007, n. 349, ivi, 2007, p. 3535 ss., con nota di M. CARTABIA, Le sentenze “gemelle”: diritti fondamentali, fonti, giudici. Precisano che norme costituzionali e norme convenzionali danno vita ad un sistema integrato di tutela dei diritti fondamentali, il quale mira alla massima espansione delle garanzie, C. cost., 26 novembre 2009, n. 311, ivi, 2009, p. 4657 ss., con nota di M. MASSA, La “sostanza” della giurisprudenza europea sulle leggi retroattive e C. cost. 4 dicembre 2009, n. 317, ivi, 2009, p. 4747 ss., con nota di G. UBERTIS, Sistema multilivello dei diritti fondamentali e prospettiva abolizionista del processo contumaciale.

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Seguendo tale ragionamento, in forza dell’art. 8 CEDU379, direttamente applicabile nell’ordinamento per effetto dell’art. 117 Cost., è oggi necessaria una legge ordinaria per consentire ingerenze dei pubblici poteri nella riservatezza della vita privata delle persone, nonostante l’art. 2 Cost. nulla dica a riguardo. Ciò perché, nell’ottica delle pronunce costituzionali citate, è evidente il maggior livello di tutela che la fonte sovranazionale introduce rispetto a quella interna, che quindi subisce una “virtuosa” integrazione sul punto. D’altronde, se l’art. 8 CEDU accomuna la riservatezza della vita privata, il domicilio e la corrispondenza sotto un unico “ombrello” di tutela, prevedendo che le ingerenze nell’esercizio di questi tre beni debbano trovare un fondamento legale, c’è da chiedersi se sia razionale il comportamento di un legislatore interno che preveda i casi e i modi di intrusione solo per due di essi (segnatamente, domicilio e corrispondenza) e lasci invece piena libertà in ordine ai casi e ai modi di intrusione nel terzo (vita privata). In altri termini: la Convenzione mostra di ritenere assimilabili, per natura ed importanza, i beni della vita privata, del domicilio e della corrispondenza, tanto da assoggettarli ad un comune regime di tutela, quello della riserva di legge; differenziarne il trattamento a livello interno, riconoscendo solo a due di essi ciò che la Convenzione espressamente statuisce anche per il terzo, significa introdurre una disparità di tutela del tutto contrastante con la normativa internazionale.

La conseguenza è ovvia: le perquisizioni online incidono sul bene giuridico della riservatezza della vita privata, la cui lesione, alla luce del nuovo combinato costituzionale- sovranazionale, esige la predeterminazione da parte del legislatore ordinario dei casi e dei modi di aggressione di quel bene. Con conseguente inammissibilità dello strumento e, comunque, inutilizzabilità degli elementi acquisiti. I sostenitori di tale orientamento non mirano, sia chiaro, alla impermeabilità nel processo delle nuove modalità investigative; piuttosto, esigono che esse siano puntualmente normate, per elementari, comprensibili e condivisibili esigenze di garanzia. Viene avvertita l’esigenza che sia il legislatore a prevedere con ogni dettaglio possibile i casi, i modi e i tempi del bilanciamento tra libertà ed autorità, ogni qual volta il progresso tecnologico consenta nuove ed impensabili forme di aggressione a primari beni giuridici (ratio della riserva di legge) .

379 «Diritto al rispetto della vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. 1. Ogni

persona ha diritto al rispetto della propria vita privata. 2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui».

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Senonché, secondo l’interpretazione fatta propria dalla Corte di Strasburgo, affinché un’attività di indagine sia considerata “prevista dalla legge” occorre una base di diritto interno, non importa se di natura positiva o giurisprudenziale. Ergo, le conclusioni appena esposte meritano di essere rivedute.

D’altronde, anche qualora la Corte europea riscontri una violazione dell’art. 8 CEDU tale da rendere ingiustificata l’ingerenza pubblica nella sfera privata dell’individuo, ciò non comporta l’espulsione automatica del dato illegittimamente acquisito dal materiale probatorio. La Corte, infatti, ne consente l’utilizzo al ricorrere delle seguenti tre condizioni: che quella prova risulti legittima ai sensi del diritto interno (anche se questo è stato giudicato illegittimo rispetto alla CEDU); che il dato incriminato non rappresenti l’unico elemento di cui il giudice dispone (in altre parole, sono necessari ulteriori riscontri); che esso non sia ritenuto determinante ai fini della condanna nel caso di specie. Ed infatti, «ritenere sempre e comunque inutilizzabili le prove assunte in violazione della Convenzione potrebbe portare, in casi estremi, a risultati difficilmente accettabili»380. Non bisogna dimenticare, infatti, che «assicurare l’effettività della giustizia penale è considerata dalla Corte eur. come funzione essenziale dello stato, che giustifica la compressione delle garanzie individuali in misura anche maggiore di quanto non accada in altri ambiti»381.

4. Dal diritto alla prassi: prova atipica o prova irrituale? Il principio di non

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