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Un bilancio dell’applicazione della riforma del commercio La riforma della legislazione sul commercio, la cosiddetta “riforma

Nel documento Volume Rapporto 2002 (.pdf 2.0mb) (pagine 170-175)

6. LA DISTRIBUZIONE ALIMENTARE AL DETTAGLIO

6.3. Un bilancio dell’applicazione della riforma del commercio La riforma della legislazione sul commercio, la cosiddetta “riforma

Ber-sani”, dal nome del ministro che l’ha varata, è entrata in vigore nel 1998 ed ha modificato profondamente l’approccio con cui il nostro ordinamento si pone nei confronti della programmazione dello sviluppo commerciale. In questa sede non è possibile richiamare tutti i contenuti della riforma; i punti salienti possono però essere riassunti come segue:

a) modifica delle procedure di autorizzazione all’apertura di esercizi com-merciali, con abolizione dei piani commerciali comunali e delle relative

licenze e ridefinizione dei ruoli di regioni e comuni;

b) riduzione delle tabelle merceologiche da quattordici a due, mantenendo soltanto la distinzione tra vendita di generi alimentari e non alimentari;

c) parziale liberalizzazione degli orari di apertura dei negozi (massimo 13 ore giornaliere dal lunedì al sabato nella fascia 7-22, con possibilità di apertura festiva in dicembre e per ulteriori otto giorni festivi all’anno);

d) definizione delle vendite sottocosto, con rinvio ad uno specifico provve-dimento per la loro regolamentazione, che è poi stato varato nel 2000;

e) norme speciali per la salvaguardia del commercio nei centri storici e nel-le zone svantaggiate (collina, montagna ecc..);

f) finanziamento di provvedimenti di agevolazione fiscale e di indennizzi per chi avrebbe cessato l’attività.

Dal punto di vista dello sviluppo della rete distributiva, le questioni chia-ve hanno riguardato la modifica delle procedure di autorizzazione, che, al-meno nell’impostazione generale, avrebbero dovuto sveltire enormemente l’iter amministrativo, attraverso l’applicazione sistematica del silenzio-assenso. La legge individua infatti tre tipologie di esercizi: gli esercizi di vi-cinato (fino a 150 mq nei comuni con meno di 10.000 abitanti, fino a 250 mq nei comuni più grandi), gli esercizi di media dimensione (rispettivamen-te fino a 1.500 e 2.500 mq nelle due fasce di dimensione dei comuni) e quel-li di grandi dimensioni (oltre i 1.500 o i 2.500 mq). Per i primi, gquel-li interessati possono iniziare l’attività semplicemente dandone comunicazione al comu-ne, che ha 30 giorni di tempo per fare le opportune verifiche; trascorsi i 30 giorni senza alcun provvedimento, scatta il silenzio assenso. Per gli esercizi di medie dimensioni, l’autorizzazione all’apertura è rilasciata dal comune sulla base di criteri in linea con gli indirizzi fissati dalla Regione; anche in questo caso, l’autorizzazione va rilasciata entro 90 giorni, altrimenti scatta il silenzio assenso. Per le grandi strutture, l’autorizzazione viene esaminata da una conferenza dei servizi, composta da tre membri rappresentanti il comu-ne, la provincia e la regione. Le autorizzazioni, concesse sulla base degli in-dirizzi regionali, devono essere decise a maggioranza entro 90 gg dalla data di convocazione, e nella fase istruttoria è possibile consultare i rappresentan-ti dei commercianrappresentan-ti, dei consumatori e dei comuni confinanrappresentan-ti. Entro 120 giorni dalla data di convocazione della conferenza scatta comunque il silen-zio assenso.

Queste modalità di autorizzazione, effettivamente innovative, sono però entrate in vigore immediatamente soltanto per gli esercizi di vicinato; per le medie e grandi strutture si è invece dovuto attendere che le regioni varassero i cosiddetti “indirizzi generali per l’insediamento delle attività commerciali”, per le quali la legge dava loro un anno di tempo, che i comuni avrebbero

do-vuto recepire nei loro strumenti urbanistici entro i successivi sei mesi. La legge prevedeva quindi implicitamente un blocco delle nuove autorizzazioni di un anno e mezzo, nel quale potevano però essere autorizzate operazioni di accorpamento e/o trasferimento di esercizi esistenti. Nei fatti, però, i ritardi accumulati prima dalle regioni e poi dai comuni hanno prolungato la fase di blocco ad almeno tutto il 2000, e in qualche caso a tutto il 2001, per cui, ov-viamente, visti i tempi tecnici necessari per il rilascio delle autorizzazioni e per la successiva realizzazione dei nuovi punti vendita, è ragionevole con-cludere che solo una piccola parte delle medie e grandi strutture aperte tra il 2001 e il 2002 ricada già nella nuova normativa.

In queste condizioni, quindi, il bilancio della riforma ha forzatamente due facce: una di tipo quantitativo, in cui è necessario tentare di misurare gli ef-fetti del blocco prolungato delle nuove autorizzazioni per le medie e grandi strutture, così come quelli derivanti dalla liberalizzazione per gli esercizi di vicinato, e una qualitativa, nel quale verificare la traduzione a livello regio-nale e locale delle disposizioni più rilevanti della riforma.

Per quanto riguarda il primo aspetto, il quadro relativo alle medie e gran-di strutture è desumibile dai dati della tabella 6.1, che, in linea generale, ten-dono a smentire decisamente il luogo comune che i ritardi delle amministra-zioni locali abbiano frenato lo sviluppo della distribuzione moderna: tra il 1998 e il 2002 i supermercati sono cresciuti del 14% in numero e del 17% in superficie, mentre gli ipermercati sono cresciuti addirittura del 47% in nu-mero e del 49% in superficie. Anche se il tasso di sviluppo è abbastanza dif-ferenziato nelle quattro ripartizioni geografiche, è sicuramente possibile af-fermare che i progetti messi in cantiere con la vecchia normativa hanno co-munque contribuito a dare un forte impulso alla crescita delle rete distributi-va, mentre i dati dei prossimi anni serviranno a definire meglio il ruolo del nuovo regime di autorizzazioni. Quello che però è possibile dire fin da ora è che la liberalizzazione attuata nel segmento degli esercizi di vicinato ha sicu-ramente dato dei buoni frutti: i dati dell’Osservatorio nazionale sul commer-cio (istituito proprio con la riforma Bersani) mostrano un saldo positivo tra aperture e chiusure di esercizi alimentari di vicinato pari a 5.500 imprese nel 2000 e a 4.600 nel 20013, il che testimonia di una notevole vitalità delle im-prese commerciali. Semmai, l’altro dato rilevante è che questi saldi sono particolarmente positivi al Sud, dove la distribuzione moderna è meno diffu-sa (e dove, per ammissione dello stesso Ministero delle Attività Produttive, una parte delle nuove imprese sono in realtà dovute all’emersione di attività

3. Questi dati comprendono tutti gli esercizi di vicinato che vendono prodotti alimenta-ri, specializzati e non.

in nero), mentre sono praticamente nulli al Nord, dove evidentemente la pressione competitiva della distribuzione moderna è più forte.

A questa sostanziale vitalità del mondo imprenditoriale, gli enti locali non sembrano aver risposto con altrettanto entusiasmo. Innanzitutto, secon-do i dati di Confcommercio, a metà del 2002 solo la metà dei comuni italiani aveva recepito la nuova normativa, con una punta negativa al Sud (solo il 43%) e una positiva al Nord-Est (77%). Inoltre, sia a livello comunale che regionale, il recepimento della riforma si è spesso trasformato nella predi-sposizione di vincoli quantitativi allo sviluppo delle medie e grandi strutture commerciali, espressi in vario modo (numero massimo di nuove strutture;

incremento massimo di superficie,…), un approccio che la riforma voleva esplicitamente superare. Tra le regioni che hanno legiferato in questo senso troviamo sia quelle del Centro-Nord (Lombardia, Emilia-Romagna, Tosca-na) sia quelle del Sud (Puglia, Campania, Calabria), mentre, tra i comuni che hanno recepito la riforma, ben il 45% ha adottato vincoli quantitativi, con una punta del 57% al Sud.

Ad ulteriore dimostrazione di questo atteggiamento tendenzialmente

“vincolistico” degli enti locali, è possibile menzionare anche i dati relativi al recepimento della normativa di liberalizzazione parziale degli orari di aper-tura. Sempre secondo i dati Confcommercio, solo il 43% dei comuni ha re-vocato l’obbligo di chiusura infrasettimanale per mezza giornata, lasciando libera scelta agli operatori, mentre il 75% ha concesso la possibilità dell’apertura festiva per 8 domeniche all’anno, oltre al periodo natalizio.

La sensazione, quindi, è che gli enti locali abbiano colto solo in parte le opportunità concesse dalla riforma, temendo che un atteggiamento eccessi-vamente liberale potesse scompaginare il quadro degli interessi di categoria, anche se, al tempo stesso, non è corretto affermare che la riforma abbia falli-to i suoi obiettivi, visfalli-to che, proprio sul versante imprendifalli-toriale, i dati sem-brano mostrare una notevole vitalità.

Nel documento Volume Rapporto 2002 (.pdf 2.0mb) (pagine 170-175)