Il bilancio di massa di un ghiacciaio consiste nel monitoraggio delle sue variazioni di volume, direttamente legate – soprattutto nei ghiacciai montani e continentali – alle forzanti climatiche (alimentazione nevosa invernale e fusione estiva), mentre nei ghiacciai polari e subpolari, con fronte sommersa in mare o laghi, la dinamica glaciale è resa più complessa dall’interazione con l’acqua. Il metodo più diffuso per la determinazione del bilancio di massa è quello glaciologico diretto: si misurano i processi superficiali (accumulo nevoso e fusione) che condizionano lo stato di equilibrio o disequilibrio del ghiacciaio, e dunque l’evoluzione nel tempo (espansione, contrazione). Si assume che tutti gli altri scambi di massa (a livello di reticolo endoglaciale, zona di contatto ghiaccio-fondo roccioso, ecc.) e in forma diversa rispetto all’accumulo di neve e alla fusione estiva (evaporazione-sublimazione) siano trascurabili ai fini della valutazione del bilancio finale.
Dunque, due sono i parametri fondamentali che si quantificano: • l’ “accumulo specifico”, ovvero l’equivalente in acqua della neve
che si accumula in un periodo compreso in genere da ottobre a maggio;
• l’“ablazione specifica”, ovvero l’equivalente in acqua perso dal ghiacciaio nel periodo estivo, per fusione di neve e ghiaccio. Dalla differenza tra questi due parametri si ottiene il “bilancio di massa specifico” per l’annata in esame, corrispondente grosso modo all’anno idrologico (1 ottobre - 30 settembre dell’anno seguente), e non all’anno solare, poiché l’accumulo di nuova neve sul ghiacciaio comincia a inizio autunno, talora già in settembre. Sulle Alpi, a quote intorno a 3000 metri, il massimo spessore della neve si riscontra di solito attorno a metà maggio, dopodiché inizia la fusione (il processo più rilevante dell’ablazione), che termina all’arrivo della nuova neve autunnale. Sia il periodo di accumulo sia quello di ablazione sono soggetti a forti variazioni in intensità e durata di anno in anno: non è raro ad esempio che anche in estate si verifichino nevicate (quindi nuovi accumuli) sui ghiacciai, che si riflettono fortemente sul valore finale del bilancio soprattutto a causa dell’interruzione della fusione; così come non è infrequente, soprattutto in questi anni di riscaldamento globale, che il processo di fusione inizi già ad aprile o maggio e si protragga talora fino a tutto ottobre.
Valutazione dell’accumulo: si esegue dunque tra fine maggio e inizio giugno, nel momento in cui si presume sia massimo l’accumulo nevoso
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sul ghiacciaio. Si misurano gli spessori della neve con un sondino da valanga, in corrispondenza di siti rappresentativi rintracciati tramite coordinate GPS, ove sono collocate pure le paline per la valutazione della successiva fusione estiva. Per trasformare gli spessori misurati in altezze di equivalente in acqua (w.e., ovvero water equivalent, espresse in mm come si fa per le precipitazioni), si perfora e si pesa un campione dell’intero spessore del manto nevoso stagionale tramite un “tubo carotiere”, o (soluzione che comporta minore precisione) si scavano trincee fino alla base del manto, prelevando e pesando campioni a intervalli regolari di profondità. Conoscendo volume e massa dei campioni si può calcolare la densità della neve e dunque il suo equivalente in acqua (per esempio, con spessore di 3 m e densità di 400 kg/m3
si ottiene un equivalente d’acqua di 1200 mm). I valori vengono attribuiti alle rispettive fasce altimetriche: moltiplicando ognuna di queste aree per il proprio valore di accumulo, e sommando i contributi di tutte, si ottiene il volume di acqua (m3) accumulatosi sul
ghiacciaio, esprimibile anche come “lama d’acqua” media (mm) sull’intera superficie. Valutazione dell’ablazione: l’entità della fusione si determina per mezzo di “paline ablatometriche” (aste di legno infisse nel ghiaccio tramite perforazione manuale o con sonda a vapore), misurandovi - intorno alla metà di settembre - l’abbassamento della superficie intercorso nella stagione estiva, tenendo conto delle diverse densità degli strati che vengono via via intaccati (neve, firn, ghiaccio), al fine di ottenere il valore di equivalente in acqua corrispondente. Al ghiaccio di ghiacciaio, ricco di impurità e bolle d’aria, viene di norma attribuita una densità di circa 870 kg/m3 in luogo dei 917 kg/m3 del
ghiaccio puro. Come per l’accumulo, anche qui si attribuiscono i valori di ablazione alle
rispettive aree, calcolando poi la somma dei volumi d’acqua derivanti dalla fusione. Definizione del bilancio annuale: si ottiene per differenza tra i valori di accumulo e quelli di ablazione. Il valore finale del bilancio si può anche ottenere misurando unicamente l’accumulo o l’ablazione netti alle paline al termine dell’anno idrologico, con un solo sopralluogo autunnale (bilancio netto): il risultato è lo stesso, ma si perde l’informazione sulle cause che hanno portato a un dato valore di bilancio: non si può capire, ad esempio, se un anno è stato negativo ai fini della conservazione della massa glaciale a causa di uno scarso accumulo invernale, piuttosto che di un’intensa fusione estiva, oppure per la combinazione dei due fenomeni.
Meno comune in quanto necessita di costosi strumenti tecnologici, ma di crescente interesse soprattutto per il monitoraggio di ghiacciai molto remoti, di grandi dimensioni o con superficie difficilmente percorribile a piedi, è il “bilancio di massa geodetico”: in questo caso le variazioni di volume si calcolano misurando le variazioni altimetriche della superficie glaciale (DEM, Digital Elevation Model) intervenute tra successive campagne topografiche (georeferenziazione della superficie glaciale con precisione centimetrica tramite rilievi GPS da drone, rilievi LIDAR da aereo, ecc.). La quantificazione del bilancio ottenuta è potenzialmente più precisa rispetto al metodo glaciologico diretto, in quanto frutto di un monitoraggio continuo su tutta la superficie glaciale, e non limitato a una serie discreta di punti, per quanto rappresentativi. C’è inoltre il “metodo idrologico”, poco diffuso, che consiste nella quantificazione del bilancio di massa tramite un modello di afflussi e deflussi alimentato da dati di precipitazione nell’area del ghiacciaio e di portata del torrente glaciale.
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Bibliografia
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Nel mondo il bilancio di massa viene eseguito su circa 160 ghiacciai, prevalentemente con metodo diretto, di cui 51 sulle Alpi (quasi un terzo del totale) e una dozzina in Italia. I dati vengono raccolti annualmente in un grande data-base coordinato dal World Glacier Monitoring Service, con sede all’Università di Zurigo (www.wgms.ch), che periodicamente li pubblica sulla rivista “Global Glacier Change Bulletin”. Tra le più lunghe serie di bilanci di massa al mondo figurano quelle del Claridenfirn in Svizzera (dal 1915), dello Storglaciären in Svezia (dal 1946) e del Glacier de Sarennes in Francia (dal 1949), ghiacciaio tuttavia prossimo all’estinzione. In Italia spiccano le serie dei ghiacciai del Careser presso il Cevedale (dal 1967), della Sforzellina in Valtellina (dal 1987) e del Ciardoney sul Gran Paradiso (dal 1992, vedi www.nimbus.it).
Nell’insieme del mondo i dati di bilancio indicano che le perdite medie di massa glaciale nel decennio 2010-2019 sono state pari a una lama d’acqua spessa circa 900 mm/anno, valore quasi raddoppiato rispetto ai due decenni precedenti (Anni Novanta e Duemila) e quadruplicato rispetto agli Anni Ottanta del Novecento. A 3000 m sulle Alpi estati molto calde come quelle del 2003, 2012 e 2015 hanno determinato perdite di spessore glaciale anche di oltre 2-3 m. Il monitoraggio tramite bilancio di massa è di primario interesse non solo per lo studio dei ghiacciai in sé e dell’influenza del clima sulla loro dinamica, ma anche per applicazioni nel campo dell’energia idroelettrica (disponibilità idrica per la produzione stagionale) e della gestione della risorsa idrica in generale (agricoltura).