ambito disciplinare linguistico giornalistico autrice Giulia Alice Fornaro
Nel maggio 2019 il quotidiano inglese The Guardian, nell’ambito di una serie di azioni concrete per contribuire alla lotta al
riscaldamento globale, come ridurre le proprie emissioni e
non accettare pubblicità da aziende altamente impattanti sul piano ambientale, aggiorna le sue linee guida anche in fatto di terminologia. Rigore scientifico e incisività sono infatti gli obiettivi da raggiungere per trasmettere l’urgenza di agire. In primo piano vi è il suggerimento di sostituire l’espressione climate change (cambiamento climatico), dove è possibile, e quindi nella maggior parte dei casi, con climate emergency, c. crisis o c. breakdown, rispettivamente “emergenza climatica”, “crisi c.” o “collasso c.”. A detta della direttrice Katharine Viner «climate change suona piuttosto passiva e gentile, mentre gli scienziati ci parlano di un fenomeno che rappresenta una catastrofe per l’umanità». In effetti, “cambiamento” è un termine neutro: si può cambiare in peggio ma anche in meglio. Oltretutto si può affermare, a ragione, che sulla Terra il clima è sempre cambiato, portando la riflessione verso pericolose derive scettiche se non negazioniste. Se infatti è vero che ci sono stati periodi nella storia della Terra in cui le concentrazioni di gas serra raggiungevano valori più alti di quelli attuali, si trattava di un pianeta ancora privo di vita. Inoltre il cambiamento non è mai stato così rapido e globale, diminuendo drasticamente le possibilità di adattamento evolutivo delle forme di vita presenti, inclusa la nostra.
Tuttavia occorre tener presente, come fa notare il giornalista scientifico Pietro Greco su rivistamicron.it, che i termini “crisi” o “emergenza” hanno una connotazione antropocentrica, perché non riguardano il clima in sé, bensì gli effetti sull’umanità che il cambiamento comporta. Per cui «dovremmo parlare, a rigore, di effetti sulla società umana indotti dai cambiamenti anomali del clima. Ma ecco che, per essere troppo rigorosi, perderemmo in comunicabilità», chiosa Greco, perché rivolgersi al grande pubblico in modo efficace vuol dire cercare sempre un compromesso tra questi due aspetti.
Che queste espressioni siano incisive sul piano della nostra percezione, lo dimostra per esempio uno studio riportato, tra gli altri, anche da CBS News e Il Sole24Ore e condotto da Spark Neuro, una società di consulenza pubblicitaria che si basa su ricerche neuroscientifiche. Monitorati sulla base dell’attività cerebrale, delle espressioni facciali e della sudorazione, 120 volontari hanno restituito una risposta emotiva del 60% più marcata ascoltando
Bibliografia
- Beradelli J., “Does the term “climate change” need a makeover? Some think so - here’s why”, CBS NEWS, 16 maggio 2019. - Greco P., “Le parole giuste per comu- nicare il clima”, Micron, 9 luglio 2019. - Lakoff, G. (2010), “Why It Matters How We Frame the Environment”. Environ- mental Communication, 4(1), 70–81. - Mair V. H., “How a misunderstand- ing about Chinese characters has led many astray”, Pinyin.info, Settembre 2019. - Meadows, D. (2019), “Pensare per sistemi. Interpretare il presente orientare il futuro verso uno sviluppo sostenibile”. Milano: Guerini Next. - Sturloni G., “La comunicazione del rischio per la salute e l’ambiente”. Mondadori, Milano 2018.
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Alle espressioni più appropriate per riferirsi agli impatti della crisi cli- matica come qualcosa che riguarda da vicino i destinatari dei servizi giornalistici, vanno associate immagini che sostengano questa nar-
razione. Nella foto: il cimitero di Garessio devastato dall’alluvione dell’ottobre
2020 con oltre 200 salme disperse. Fonte: La Stampa.it
la registrazione audio di “crisi climatica” rispetto a “cambiamento climatico” o “riscaldamento globale”, che li lasciava invece pressoché indifferenti. Ovviamente puntare sullo sconcerto e sulla paura rischia alla lunga di sortire effetti opposti: i sentimenti di indifferenza (per “assuefazione”), apatia, senso di impotenza o di panico, che ne possono derivare, producono, di fatto, immobilismo (al riguardo, si vedano anche i lemmi “Distanza
psicologica e cambiamenti climatici” ed
“Emozioni e cambiamenti climatici” – N.d.C.). Occorre allora associare a questa narrazione (vedi il lemma “Framing ambientali”), quella dei casi virtuosi, per esempio relativi a ecosistemi che si riprendono grazie alla proattività umana. Una narrazione che può e deve essere sostenuta da una scelta adeguata delle immagini che accompagnano i servizi giornalistici: non più orsi polari sofferenti e iceberg che fondono, ma persone reali e paesaggi familiari in difficoltà a causa della crisi climatica - ancor meglio se dei nostri paesi più ricchi - e altre che documentino storie virtuose di lotta e resilienza. Per questo The Guardian si appoggia alla piattaforma ClimateVisual.org che raccoglie molte foto di questo tipo indicando anche delle linee guida su come usarle. Allo stesso modo i media italiani, quando si parla di
crisi climatica, che sia un incontro tra capi di stato o l’ennesimo allarme lanciato dagli scienziati, possono mostrare luoghi in Italia devastati dagli impatti di questa crisi, a sottolineare, toccando corde anche emotive, come questo ci riguardi da vicino.
In ultimo una considerazione sul termine “crisi”. In alcuni discorsi motivazionali si sente dire che i caratteri che formano il cinese wēijī (crisi) starebbero per “pericolo” (wēi) e “opportunità” (jī). Non è vero. Almeno non completamente: Victor H. Mair, sinologo dell’Università della Pennsylvania suggerisce che jī, corrisponde a “macchina” o “perno”, avvicinandosi quindi all’area semantica di “punto cruciale” più che di “opportunità”, e non è chiaro – aggiunge Stefania Stafutti dell’Università di Torino – come questa sillaba sia entrata a far parte della parola che sta per “crisi”. È invece certo che il termine italiano, trova le sue origini nel greco κρίσις, che sta per «scelta, decisione», a sua volta derivante da κρίνω «distinguere, giudicare». “Decidere” allora è il concetto chiave che deve stare alla base di una seria volontà di cambiamento. A partire dall’uso di un linguaggio consapevole.
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Bibliografia
- Keeling, R.F., 2008. “Record- ing Earth’s vital signs”. Science 319, pp. 1771–1772. - Keeling, C.D., Bacastow, R.B., Bain- bridge, A.E., Ekdahl, C.A., Guenther, P.R., Waterman, L.S., Chin, J.F.S., 1976. “Atmospheric carbon dioxide variations at Mauna Loa Observa- tory”, Hawaii. Tellus 28, pp. 538–551. - Thoning, K., Tans, P., Komhyr, W., 1989, “Atmospheric Carbon Dioxide at Mauna Loa Obser- vatory. 2. Analysis of the NOAA GMCC Data, 1974–1985”, J. Geophys. Res., 94, pp. 8549–8565.