Vedi Movimenti per il clima.
Il permafrost è il nome dato al terreno, suolo o roccia, che con- tiene ghiaccio o materiale organico congelato che è rimasto al di sotto della temperatura di 0 °C per almeno due anni. Copre circa un quarto della terra non ghiacciata nell’emisfero settentrionale, comprese ampie aree della Siberia, dell’Alaska, del Canada set- tentrionale e dell’altopiano tibetano. Nell’emisfero meridionale, il permafrost si trova in alcune parti della Patagonia, dell’Antartide e delle montagne meridionali della Nuova Zelanda. Il permafrost sottomarino si trova anche nelle parti poco profonde degli oceani artici e meridionali.
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Questo terreno ghiacciato contiene una grande quantità di carbonio, accumula- to da piante e animali morti nel corso di migliaia di anni. Da vari studi a livello in- ternazionale si ritiene che al di sotto di esso via sia il doppio del carbonio rispetto a quello che è attualmente nell’atmosfera terrestre. Con il riscaldamento globale, aumenta il rischio che il permafrost vada incontro a processi di fusione. Questo porta da un lato i microbi nel terreno ad attivarsi, consentendo loro di abbattere il carbonio organico nel suolo e dall’altra di liberare gas serra e metano rimasti “in- trappolati”. Questo processo rilascia gas serra, in particolare diossido di carbonio (CO2) e in misura minore metano (CH4).
Pertanto, la fusione su larga scala del per- mafrost ha il potenziale per causare un ul- teriore riscaldamento dell’atmosfera e inci- dere sui cambiamenti climatici. Per tale motivo, il suo monitoraggio e il ruo- lo che esso riveste nel sistema climatico lo rendono un tipping point di fondamentale importanza. Il rapporto speciale dell’IPCC sull’oceano e la criosfera in un clima che cambia (SROCC), afferma che esiste «una confidenza molto elevata» in merito a un aumento delle temperature a carico del permafrost e che ne sono state «registra- te a lungo, in diversi siti di monitoraggio nella regione del permafrost circumpolare dell’emisfero settentrionale». In alcuni luo- ghi, queste temperature sono risultate di 2-3 °C superiori rispetto a 30 anni fa, a causa del global warming e dei suoi effetti Nel frattempo, l’Artic Report Card 2019 della US National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) ha concluso che la fusione del permafrost nell’Artico potrebbe rilasciare circa 300-600 milioni di tonnella- te di carbonio nette all’anno nell’atmosfe- ra. Lo SROCC afferma che c’è un’elevata confidenza nelle proiezioni di «diffusa
scomparsa del permafrost artico vicino alla superficie durante questo secolo a causa del riscaldamento globale, con importanti conseguenze per il clima globale […] En- tro il 2100, le zone a permafrost vicino alla superficie diminuiranno del 2-66% per RCP2.6 e del 30-99% per RCP8.5 (in base allo scenario di emissione di gas serra con- siderato). Si prevede che questo fenomeno rilasci dai 10 ai 100 miliardi di tonnellate (o gigatonnellate, GtC) e fino alle 240 GtC di carbonio per la fusione del permafrost sotto forma principalmente di CO2 e me-
tano nell’atmosfera con il potenziale per accelerare il cambiamento climatico». Il rapporto avverte anche che la riduzione delle aree a permafrost «dovrebbe essere irreversibile su scale temporali rilevanti per le società umane e gli ecosistemi». Inoltre rileva: «la fusione della criosfera e del per- mafrost comportano soglie (cambiamenti di stato) che determinano risposte brusche e non lineari al riscaldamento climatico in corso».
Allo stesso modo, la rapida fusione del permafrost può anche essere innesca- ta e potenziata da disturbi come in- cendi, disseccamenti e perdita improv- visa di una certa copertura vegetale, subsidenza del suolo ed erosione e fe- nomeni di termocarismo (thermokarst). In merito alla fusione del permafrost, gli scienziati rivolgono particolare attenzione anche verso gli idrati di metano. Questi composti chimici, simili al ghiaccio, si for- mano quando metano e acqua si combina- no a basse temperature e pressione mode- rata. Essi si trovano quasi esclusivamente sotto il fondale marino sulle piattaforme continentali e le aree immediatamente cir- costanti una massa terrestre, dove il mare è relativamente poco profondo rispetto all’oceano aperto. La teoria suggerisce che il riscaldamento degli oceani potreb-
Bibliografia
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che il riscaldamento degli oceani potrebbe favorire la variazione di stato di que- sti composti, rilasciando così grandi quantità di metano nell’atmosfera anche se, a tal proposito, vi sono mol- te ricerche che sembrano smentire questa possibilità. Di certo, i fenomeni di fusio- ne del permafrost e la conse- guente emissione di gas serra costituiscono oggi motivo di grande attenzione da parte della comunità scientifica in-
ternazionale.
Discorso in occasione dell’Incontro con le Autorità del Kenya e con il Corpo Diplomatico