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Bilancio provvisorio dell economia torinese: deboli speranze eli fine estate

Giulio Fabbri

Mancano pochi mesi alla chiusura dell'anno e ancora la ripresa economica non si è decisa a far capolino. Il 1971 si avvia cosi alla resa dei conti non promettendo molto di buono, specie per chi confidava nell'impennata del-l'ultimo momento.

Quello che più preoccupa è che le difficoltà, lungi dall'appianarsi col trascorrere del tempo, sono venute man mano accentuandosi; per cui una brusca inversione di tendenza capace di ridar vigore all'economia italiana nel breve andare sembra fortemente improbabile.

Ricordiamo le fasi attraversate dalla con-giuntura nel corso degli ultimi due anni:

- settembre-dicembre 1969: è il periodo delle grandi agitazioni sindacali, il noto « au-tunno caldo »;

- contenuto rilancio nei primi mesi del 1970, che presto si smorza cedendo il passo ad un andamento stagnante. La continua tensione so-ciale ostacola la crescita della produttività;

-— si spera nella ripresa autunnale e ripresa vi è, ma solo di ordine « statistico », ossia deri-vante dai bassi livelli di raffronto del 1969. Si delineano nel frattempo sintomi di cedimento nella domanda interna;

- la situazione si aggrava nel primo seme-stre di quest'anno. Il meccanismo produzione-reddito-domanda funziona a rilento e lo stato occupazionale ne risente. Nei confronti dei primi sei mesi del 1970 l'indice della produzione industriale giornaliera registra una flessione del 2,7%;

— poi, i noti provvedimenti anticongiun-turali e di nuovo le speranze in una ripresa di autunno. Riusciranno le misure di politica eco-nomica a raddrizzare le sorti dell'annata, te-nuto conto anche delle incognite aperte dalle recenti vicende del dollaro ?

Se t u t t o va bene, si afferma in ambienti più qualificati, si potrà chiudere con un incre-mento del reddito in termini costanti del 3 % ; il che non è molto per un paese, come l'Italia, da oltre vent'anni abituato a figurare nei primi posti quanto a sviluppo economico.

L'obiettivo di un aumento del 3% sembra più arduo da raggiungersi in provincia di Torino. Il motivo è molto semplice e consiste nella massiccia presenza, in loco, dell'industria, il settore che incontra i maggiori ostacoli. Per convincersi basta dare uno sguardo alla diversa composizione settoriale del reddito in Italia e nella provincia di Torino:

AGRICOLTURA INDUSTRIA SERVIZI TOTALE Italia 11 39 50 100 Prov. di Torino 3 59 38 100

Ma c'è di più. Si sa che il grande arco side-rurgico-metallurgico-meccanico rappresenta il punto di forza della struttura industriale tori-nese; ora, proprio tali produzioni hanno accu-sato regressi che sono tra i più rilevanti.

È quindi verosimile che in provincia di Torino l'industria abbia subito un calo superiore a quello accertato per il totale nazionale. Occor-rerebbe un poderoso balzo produttivo durante i mesi autunnali per riguadagnare il tempo per-duto e risalire la china fino a conseguire la media del -f 3 % .

^ ^ %

Analizziamo un po' più da vicino i fatti, cercando di offrire un quadro dei risultati cui è pervenuta l'economia torinese nella prima metà dell'anno. E iniziamo subito dalle vicende demografiche che, seppur non rappresentano un fenomeno propriamente economico, hanno con l'andamento congiunturale legami piuttosto stretti.

Ovviamente l'aspetto che interessa di più è quello migratorio, perché è risaputo che a Torino

gran parte dell'offerta di lavoro è costi-tuita da manodopera immigrata. Nel corso dei primi sei mesi dell'anno gli immigrati sono stati 56.346 e gli emigrati 42.630: saldo + 13.716. Nell'analogo periodo del 1970 l'eccedenza posi-tiva era risultata di 13.787.

S A L D O M I G R A T O R I O D E L L A P R O V I N C I A DI T O R I N O (gennaio-giugno)

migliaia di unità

Una diminuzione assai lieve, indubbiamente, ma sintomatica. L'esperienza ha infatti inse-gnato come il movimento migratorio sia par-ticolarmente sensibile alle onde della congiun-tura. Lo si rileva facilmente dalla fig:= 1, dov'è tracciata la curva descritta nell'ultimo decennio dalla dinamica del saldo sociale in provincia di Torino:

— 1962-63: il sistema è in fase di sviluppo; — 1964-65: recessione;

— 1966-69: ripresa ed espansione;

— 1970-71 : l'orizzonte economico si rabbuia. ì}c i{c sfi

L'anello di congiunzione tra movimento de-mografico e attività produttiva è la dinamica occupazionale. La nota più scoraggiante è d a t a dal netto incremento degli interventi alla Cassa integrazione. Nella provincia di Torino le ore non lavorate e integrate sono salite, dal primo semestre 1970 al corrispondente periodo di quest'anno, da 1.004.696 a 3.426.517, segnando un aumento del 241%.

Si è cosi toccata la p u n t a più elevata degli ultimi cinque anni:

1 ° S E M E S T R E O R E I N T E G R A T E 1967 1.932.475 1968 3.090.881 1969 835.3.36 1970 1.004.696 1971 3.426.517 D I S O C C U P A T I IN P R O V I N C I A DI T O R I N O A F I N E M E S E (prima classe)

« Dopo la Cassa integrazione la disoccupa-zione », sentenziano i profeti di sventura. In provincia di Torino il numero dei disoccupati iscritti alle liste di collocamento resta al di sotto del livello di guardia, ma la tendenza è chiaramente rivolta verso l'alto. La curva, come si nota dalla fig. 2, raggiunge il suo minimo nel giugno 1970, con 10.570 disoccupati; dopo-diché prende a salire e tocca a fine maggio di quest'anno quota 13.088 (dato più recente).

Che dire ora sulla variazione della consi-stenza degli occupati, che nel 1970 si aggirava intorno alle 850 mila unità ? Non si dispone ancora di elementi sufficienti per azzardare una stima, ma non sembra molto probabile che l'oc-cupazione, con il moltiplicarsi delle ore inte-grate e l'indirizzo poco rassicurante assunto dalla disoccupazione, abbia potuto crescere.

^ ^ ^

Spostiamo l'ottica verso i settori produttivi e consideriamo due indicatori statistici di grande importanza, quelli relativi alla siderurgia e all'industria automobilistica:

— nel corso dei primi sei mesi dell'anno sono state prodotte 1.051.613 tonn. di mate-riali siderurgici, di fronte alle 1.176.236 tonn. dell'ugual periodo del 1970, con una flessione del 10,6%;

— durante il primo semestre l'industria automobilistica ha costruito 902.009 autovei-coli, laddove nel 1970 ne aveva fabbricati 918.312 (— 1,8%). Queste cifre si riferiscono alla produzione nazionale, che è t u t t a v i a co-perta per la quasi totalità da quella torinese.

Le difficoltà non hanno risparmiato altri settori: il meccanico, che si stima abbia ridotto

P R O D U Z I O N E A U T O M O B I L I S T I C A N A Z I O N A L E (gennaio-giugno)

migliaia di unità

Fig. 3.

la produzione del 5% o forse più; il tessile, che è stato costretto ad intensificare enorme-mente le richieste alla Cassa integrazione; il cartario, gravato da un eccesso di attrezzature in rapporto alle effettive esigenze dei consumi; il conciario, condizionato dal rallentamento del-l'industria calzaturiera.

Le cose sono andate male anche per i com-parti dei laterizi e del legno, a motivo della caduta degli ordinativi avanzati dall'edilizia. Nei confronti di quest'ultima la crisi ha assunto proporzioni allarmanti. Nel comune di Torino i vani ultimati sono diminuiti del 54% e quelli iniziati del 63% (primi sette mesi).

Si t r a t t a , pertanto, di un deterioramento alquanto generalizzato, diffusosi dall'uno al-l'altro settore per via delle interdipendenze esistenti nell'ambito dell'industria. In defini-t i 'a il sisdefini-tema ha lavoradefini-to al di sodefini-tdefini-to del suo ritmo normale, lasciando inutilizzati cospicui margini di capacità produttiva. Si è aperto cosi un vuoto di produzione che in provincia di Torino, come accennato all'inizio, dovrebbe aver superato in ampiezza quello verificatosi in campo nazionale (— 2,7%). Di q u a n t o è difficile dire: forse di un punto, o anche di un punto e mezzo.

* * *

Quali le cause di tale arretramento ? Gli scioperi ? Un calo di domanda ? La « disaffe-zione » degli imprenditori ? Per cercare la rispo-sta a questo interrogativo rifacciamoci all'inda-gine che l'Ufficio studi deila Camera di com-mercio di Torino ha condotto recentemente tra le aziende più importanti e rappresentative della provincia.

Fra i quesiti rivolti agli operatori dell'indu-stria ve n'era uno di particolare interesse: se l'attività produttiva nel primo semestre del 1971 fosse stata intralciata e, in caso afferma-tivo, da quale tipo di ostacolo. Il compilatore del questionario poteva scegliere tra insufficienza di ordinativi, scarsità di manodopera, limita-tezza degli impianti, agitazioni sindacali, altri motivi.

Com'era prevedibile la maggior parte delle risposte (l'86%) ha indicato l'esistenza di impe-dimenti alla produzione, rappresentati:

— per il 42% da insufficienza di ordinativi; — per il 27% da agitazioni sindacali; — per 1*11 % da altri motivi;

— per il 5 % da scarsità di manodopera; — per l'I % da limitatezza degli impianti. Tra gli « altri motivi » sono figurati con mag-gior frequenza l'assenteismo, la riduzione degli orari di lavoro, l'ascesa dei costi, la concorrenza estera.

Il fenomeno della « conflittualità », anche nel suo significato più vasto comprensivo oltre che degli scioperi, dell'assenteismo e di ogni altra forma di tensione nei rapporti di lavoro, non sembra quindi — oggi — il responsabile più immediato dell'andamento produttivo. Pur individuando nella conflittualità il principale elemento perturbatore di fondo e generatore di incertezza, la b a t t u t a di arresto va ascritta in primo luogo al regresso della domanda.

***

La domanda interna di beni di consumo non desta eccessive preoccupazioni, q u a n t u n q u e si debba rilevare un certo infiacchimento della dinamica evolutiva. I cosiddetti « stabilizzatori » del sistema, quali i trasferimenti di reddito alle famiglie operati dalla pubblica amministrazione, garantiscono da generali e rilevanti flessioni dei consumi. F r a l'altro, alcuni di questi stabi-lizzatori, come i sussidi ai disoccupati e gli interventi della Cassa integrazione, sono corre-lati inversamente all'andamento congiunturale. Non sembra perciò accettabile la tesi di chi scorge nel rallentamento della domanda di con-sumo la causa prima del ristagno produttivo.

Si tratterebbe, in ogni caso, di un fenomeno riflesso: minor produzione, minor reddito, mag-gior cautela della spesa.

Diverso è il discorso per gli investimenti, che hanno presentato crescenti sintomi di esitazione a partire dal secondo semestre 1970. Le ragioni sono molteplici:

— l'ascesa dei costi di produzione, fortissima nel 1970 e sensibile nel 1971, ha compresso i margini di profitto aziendale e quindi le dispo-nibilità per l'autofinanziamento. Una redistri-buzione del reddito a favore delle classi meno risparmiataci, come quella determinata dai recenti incrementi salariali, se è desiderabile per ovvi motivi di giustizia sociale, conduce quasi inevitabilmente, qualora avvenga in inter-valli di tempo troppo stretti e in misura mas-siccia, ad un abbassamento del ritmo di accu-mulazione del capitale;

— la tensione sindacale, peraltro allentatasi nel corso del 1971, che ha ostacolato il normale svolgimento produttivo e scoraggiato le nuove iniziative;

— la prossima introduzione dell'IVA, che favorisce gli investimenti più che nell'attuale regime fiscale;

•— l'incertezza generale del clima psicologico, dovuta alle difficoltà di prevedere l'andamento dei costi, della congiuntura nel suo insieme, delle vicende politiche.

La diminuita propensione agli investimenti trova conferma nei dati concernenti i progetti di opere edili non residenziali, ossia con desti-nazione economica. Durante il primo semestre di quest'anno sono state progettate, in provincia di Torino, nuove unità industriali per una super-ficie complessiva di 302.373 mq, rispetto a 457.427 dell'ugual periodo del 1970, con un calo del 34%. Lo stesso ordine di flessione si ritrova se ai dati precedenti si aggiun-gono quelli relativi ai restanti settori econo-mici: si ottiene un totale di 352.434 mq, contro 534.235 mq (— .34%).

Altre note poco positive, a riprova della stasi degli investimenti, sono offerte dalla dina-mica del mercato creditizio. Di fronte all'ab-bondante disponibilità delle banche le richieste di denaro tendono a languire e l'eccesso di liquidità provoca una discesa dei tassi. Feno-meno, questo, positivo e negativo insieme, per-ché se da un lato significa dovizia di capitali a minor costo e stimolo alla ripresa, dall'altro dimostra come tale incentivo abbia m a n c a t o sinora di funzionare. In provincia di Torino, t r a il maggio 1970 e lo stesso mese del 1971, il rapporto impieghi-depositi è passato da 55,7 a 54,1.

Per quel che concerne gli scambi col resto del mondo non si hanno che poche indicazioni. I più recenti dati valutari elaborati dall'Unione italiana delle Camere di commercio, i soli che consentono di stendere un bilancio a livello provinciale, giungono a coprire soltanto il primo trimestre dell'anno. Ad ogni modo, nell'inter-vallo considerato, la provincia di Torino ha incassato 462 milioni di dollari, contro 389 dello stesso periodo del 1970. I pagamenti hanno invece raggiunto l'ammontare di 253 mi-lioni, di fronte a 241.

Le esportazioni sono quindi aumentate del 19%, mentre le importazioni hanno fatto regi-strare un incremento del 5%. Non sorprende il modesto saggio di sviluppo delle importazioni: l'economia torinese, eminentemente trasforma-trice, acquista all'estero soprattutto materie prime ed è giustificabile che abbia contenuto i rifornimenti in periodo di congiuntura sfavo-revole.

Suscita invece qualche perplessità l'elevato accrescimento delle esportazioni. Occorre tutta-via precisare che quest'anno le merci intutta-viate oltre confine sono rincarate, per cui in termini quantitativi la variazione è senz'altro inferiore a quella suindicata. Inoltre, il dato valutario del primo trimestre 1970 risulta anormalmente basso, t a n t o che nel trimestre successivo si ebbe modo di constatare un netto recupero.

Bisogna comunque attendere statistiche più aggiornate per interpretare con maggior chia-rezza la realtà. Tuttavia un importante elemento di giudizio c'è, e consiste nei dati sulle spedi-zioni di autoveicoli, spedispedi-zioni che rappresen-tano circa la metà del totale esportato dalla provincia. Tra il primo semestre 1970 e l'ana-logo periodo del 1971 le esportazioni italiane di autoveicoli (quasi interamente torinesi) sono salite soltanto dell'I,4%.

Sulla base delle risultanze dell'industria au-tomobilistica sembra in definitiva da escludersi che le esportazioni abbiano compiuto grandi passi in avanti, q u a n t u n q u e non sia da scartare l'ipotesi che altri settori, nel generale tentativo di collocare all'estero la parte d'offerta non assorbita dal carente mercato nazionale, ab-biano riportato maggior successo.

* * *

Prima di concludere, qualche altro indi-catore della situazione economica. Il traffico ferroviario delle merci è sempre risultato in diretta sincronia con le vicende della congiun-tura, onde può essere assunto come barometro del movimento degli affari (fig. 4). Dai primi

sette mesi del 1970 al corrispondente lasso di tempo del 1971 la massa globale (arrivi più partenze) delle merci trasportate dalle ferrovie statali ha subito, nella provincia di Torino, un calo del 12%. La precedente flessione risale al 1968 (si parlò allora di « impallidimento con-giunturale ») e al biennio 1964-65 (recessione).

M O V I M E N T O M E R C I N E L L E S T A Z I O N I F. S. D E L L A P R O V I N C I A DI T O R I N O (gennaio4uglio) milioni di tonn. 1962 1963 1964 1965 1966 1967 1968 1969 1970 1971 Fig. 4.

È invece rimasto quasi stazionario il livello dei protesti cambiari: in provincia di Torino, dal gennaio al luglio, se ne sono levati per una cifra di 26.035 milioni di lire, lo 0,4% in più dei 25.923 milioni dello stesso periodo di un anno fa. Ci si potrebbe t u t t a v i a trovare di fronte ad un fenomeno che solo in apparenza è positivo, in quanto la circolazione cambiaria in tempi di « vacche magre » a volte diminuisce, nel qual caso la stazionarietà dei protesti nasconde una loro maggior incidenza sul totale.

Non allarma soverchiamente la dinamica dei prezzi. L'indice del costo della vita della città di Torino ha registrato a fine luglio un aumento

del 5,3% nei confronti della stessa epoca del 1970. Siamo sempre in presenza, quindi, di spinte inflazionistiche, soprattutto dal lato del-l'offerta; ma queste non hanno raggiunto l'in-tensità che molti temevano e si sono mantenute entro i limiti di analoghi movimenti ili campo internazionale.

* * *

L'attenzione è ora puntata sui mesi autun-nali nella speranza di poter cogliere qualche sintomo di ripresa. Negli ambienti imprendi-toriali domina peraltro un senso di incertezza e di sfiducia. Secondo la sopra citata indagine della Camera di commercio soltanto il 24 % degli operatori intervistati ha pronosticato un rav-vivamento nel corso della seconda metà del-l'anno, mentre il 44% ha previsto una sostan-ziale stabilità e il 32% ulteriori cedimenti.

Il ritorno alla normalità lavorativa dopo la pausa di agosto non ha arrecato cambiamenti in meglio; anzi con la doccia fredda delle misure Nixon si sono aggiunte nuove difficoltà alle precedenti. Si temono specialmente gli ef-fetti della sopratassa del 10%, che minaccia di far riversare sui mercati europei un eccesso di merci e di scatenare la concorrenza.

Ma al di là di ogni considerazione sugli avvenimenti monetari il problema più urgente per la nostra economia resta quello di colmare il vuoto di produzione e di domanda interna. Per quanto la situazione sia indebolita l'ampia disponibilità di fattori produttivi, rappresen-t a rappresen-t a da impianrappresen-ti parzialmenrappresen-te urappresen-tilizzarappresen-ti, ope-rai in Cassa integrazione, credito bancario a costo ribassato, unita ad una certa qual disten-sione del clima sociale, offre lo spazio per avviare una fase di recupero.

Le misure anticicliche recentemente predi-sposte dalle autorità politiche intendono proprio suscitare nuovi stimoli propulsivi nel mecca-nismo dell'economia ed è augurabile che riescano a spiegare la loro efficacia in tempi ravvicinati: è t u t t a v i a difficile che possano approdare a risultati concreti nel volgere dei pochi mesi che ci separano dalla fine del 1971.