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un servizio indispensabile per il mondo moderno Alfonso Bellando

Nel giugno scorso, durante i lavori del Consiglio della FAO (Organizzazione delle Na-zioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura) i delegati dell'Algeria e dell'Alto Volta hanno rivolto un appello all'ente perché fornisca il suo aiuto allo scopo di bloccare l'avanzata delle sabbie del Sahara, che sta creando una situa-zione di allarme nei loro paesi situati al nord e al sud del grande deserto.

A chi si sarebbero potuti rivolgere questi due Stati minacciati, se non fossero esistite le organizzazioni intemazionali ? Invece, in un consesso competente ed autorevole il signor Bra-him Aissa, rappresentante dell'Algeria ed il delegato dell'Alto Volta, signor L. W. Siry, hanno potuto effettuare richieste concrete come l'inclusione del problema del rimboschimento delle zone aride tra quelli di più elevata urgenza e l'effettuazione di studi accurati per la creazione di un sistema di frangivento nelle vicinanze delle zone più minacciate che registrano una continua avanzata delle sabbie che ogni anno ricoprono molte terre coltivate e potrebbero rendere necessario il trasferimento delle popo-lazioni. Senza urgenti misure, hanno detto questi delegati, il problema potrebbe assumere pro-porzioni drammatiche.

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Questo è soltanto un piccolo esempio del-l'utilità di poter disporre di strumenti di col-laborazione internazionale. Utilità che, in ogni campo, non è solo delle piccole nazioni ma anche delle grandi potenze, specie quando l'or-ganizzazione internazionale e luogo di incontro ed occasione per affrontare e dirimere le grandi questioni politiche che l'evoluzione storica con-tinuamente prospetta, nel suo divenire.

Non è più pensabile una strutturazione del mondo moderno senza questi istituti con cui gli Stati realizzano la cooperazione internazio-nale per il raggiungimento di scopi comuni che possono essere la sicurezza generale e la solu-zione di controversie, la cooperasolu-zione econo-mica, industriale, commerciale, finanziaria o

doganale, la promozione del progresso scienti-fico e eufturale o ancora la disciplina collettiva uniforme di determinate materie.

A questi organismi è riconosciuta la perso-nalità di diritto internazionale; sono attribuiti ad essi poteri supernazionali, che consentono loro d'imporsi ai singoli Stati e costringerli all'osservanza delle loro norme e dei loro deli-berati. Gli esempi classici di questi istituti sono la Società delle Nazioni e l'Organizzazione delle Nazioni Unite, che alla prima è succeduta. Le organizzazioni internazionali, oltre che essere realizzate da unioni di Stati, possono anche consistere in enti istituiti convenzional-mente dalle varie nazioni con particolari e de-terminati scopi di cooperazione internazionale. Abbiamo cosi le organizzazioni governative, le cui finalità si orientano su ben delineati e li-mitati campi di azione (tipici esempi sono le agenzie specializzate dell'ONU, gli enti di coo-perazione europea, le unioni di alleanza occi-dentale).

Si debbono infine ricordare le organizzazioni non governative. Esse hanno finalità di ordine internazionale, ma limitate a determinati campi di esplicazione e possono essere create anche tra soggetti privati, appartenenti a stati diversi. Queste organizzazioni non governative sono assai numerose nel mondo ed a volte hanno una notevole importanza. Si può ricordare che in gran numero di paesi nel mondo, compresi quelli socialisti dell'est europeo, esistono asso-ciazioni che appoggiano l'opera delle Nazioni Unite; esse sono raggruppate in una Federa-zione mondiale delle associazioni per le Nazioni Unite che ha sede a Ginevra e che è un tipico esempio di organizzazione non governativa.

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La funzione pubblica internazionale è una delle conseguenze salienti di questi ordinamenti. Essa è decisamente una creazione delle Società delle Nazioni.

In un rapporto presentato al Consiglio del-l'organizzazione da A r t h u r Balfour,

rappresen-tante del Regno Unito, si leggeva che « i membri del Segretariato, una volta nominati, non sono più al servizio del loro paese di origine, ma divengono temporaneamente ed esclusivamente funzionari della Società delle Nazioni. I loro compiti non sono nazionali ma internazionali ». Questo principio era ed è talmente rivoluzio-nario, che da alcune parti non è ancora total-mente accolto ed accettato, tutt'oggi.

L'esperienza e l'eredità della Società delle Nazioni si riprospettano nello statuto delle Na-zioni Unite. L'articolo 100 ricalca quasi testual-mente le regole del primitivo ente in materia di indipendenza e di responsabilità internazionale, col proibire la sollecitazione o l'accettazione di istruzioni emananti da Stati o da altre auto-rità esterne all'organizzazione. I n t a n t o sempre più numerosi diventano nel mondo i funzionari internazionali ed un consistente numero di per-sone del nostro paese ha già intrapreso questa impegnativa carriera. Contemporaneamente cre-scono le strutture e gli impianti destinati ai servizi; basta fare un giro in Europa da Ginevra al Lussemburgo, a Bruxelles per vedere quanti

nuovi palazzi destinati ad uffici internazionali sono in costruzione o appena terminati. Ebbene, nonostante t u t t o questo, i locali non ba-stano mai.

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Il maggior servizio reso dalla maggiore orga-nizzazione internazionale concerne, senza dub-bio, il mantenimento della pace e la continua azione per la soluzione negoziata delle contro-versie.

Non si può dubitare del fatto che se 26 anni sono passati dalla costituzione dell'Organiz-zazione delle Nazioni Unite senza una confla-grazione mondiale, una buona parte del merito vada a questo istituto. Che è, essenzialmente, luogo di incontro, di dibattito o anche di scon-tro, violento ma fortunatamente verbale. Cosi, anche se faticosamente, anche se fra aspre cri-tiche, si opera a servizio dell'uomo: finché c'è un tavolo intorno a cui riunirsi e finché si discute non volano i micidiali razzi intercon-tinentali e non scoppiano le bombe termonu-cleari.

« Il fatto stesso che l'ONU esiste e che conta un cosi gran numero di membri — ha detto il Segretario generale U Thant — è un aspetto incoraggiante del tempo che viviamo. Le na-zioni non avevano un simile luogo di incontro nel 1914; nel 1939 il dubbio, i dissidi e lo sco-raggiamento hanno soffocato gli inizi promet-tenti della Società delle Nazioni. Noi possiamo oggi affrontare all'ONU i problemi ed i pericoli essendo, almeno, abbastanza certi che t u t t i i paesi sono determinati a riconoscerne la realtà ed a cercarne una soluzione ».

Indubbiamente, non sono mancati i mo-menti difficili; si pensi alla Corea, si pensi al Congo. Però da ogni periodo di crisi l'organiz-zazione ha saputo uscire onorevolmente. E d al suo attivo ha potuto ascrivere, nel corso degli anni, la sempre più estesa rappresentatività (a San Francisco gli Stati firmatari della Carta erano 51, ora sono 127 ed il problema dell'in-gresso della Repubblica Popolare Cinese è de-stinato a soluzione); un gran numero di paesi è stato avviato all'indipendenza e la decolo-nizzazione ha costituito un fenomeno di pro-porzioni colossali; si è costantemente operato per il disarmo, la denuclearizzazione, la messa al bando delle armi chimiche è batteriologiche, il progresso economico e sociale dei paesi in via di sviluppo, la salvaguardia dei diritti dell'uomo.

Facile è la critica che in certe grosse que-stioni come il Vietnam o Israele in t a n t i anni non si sia potuto arrivare a soluzioni definitive. Ma, dice ancora U Thant, « l'Organizzazione delle Nazioni Unite non può essere che ciò che i suoi membri giudicano bene di farne ». Se questi membri non si accordano per accrescerne il potere politico e per limitare maggiormente la loro sovranità, la colpa non può essere attri-buita all'istituzione internazionale. Altrove sono i responsabili.

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Strettamente legato al problema della pace c'è il problema dello sviluppo economico ed è qui che le organizzazioni internazionali hanno potuto dare il meglio della loro azione.

Molto cammino è stato f a t t o dai tempi della dottrina del « laisser-faire », che trovava perfettamente normale che non si attuasse nulla per impedire al debole di soccombere. Allora i paesi coloniali, i popoli « arretrati », avevano la funzione di produttori di materie prime e di consumatori obbligati di m a n u f a t t i di qualità inferiore. T u t t o il resto, salvo il principio della disciplina e dell'obbedienza alla potenza do-minante non aveva, di regola, molta impor-tanza.

Sarebbe lunga l'analisi tendente a scoprire come le società più evolute ed all'avanguardia del progresso economico siano pervenute a rico-noscere non soltanto l'esistenza, ma anche i diritti dei popoli non ancora socialmente ed economicamente sviluppati.

Questo processo si è concretizzato ed ha dato i suoi f r u t t i essenzialmente per mezzo delle organizzazioni internazionali. Nell'ambito della Società delle Nazioni si comincia a parlare di «servizi tecnici»: questi, alla fine degli anni 30, avrebbero assorbito più del 60 % del bilancio dell'istituzione; l'aiuto alla ricostruzione au-striaca, il lavoro della Sezione d'igiene (con le sue missioni in Asia ed i suoi bollettini epide-miologici), l'assistenza alle popolazioni cinesi, il Rapporto sulla nutrizione del 1937, sono t u t t i fatti destinati a servire di base per gli sviluppi dell'azione futura.

L'Organizzazione internazionale del lavoro, che inizia la sua attività nel 1919, inventa, di fatto, l'assistenza tecnica multilaterale; il ter-mine di « assistenza tecnica » compare per la prima volta in un rapporto del 1920.

È però solo con le Nazioni Unite che i problemi economici e sociali prendono un'im-portanza predominante. Qualche anno di ten-tativi e di incertezze poi, prima della fine del 1949, l'Assemblea generale dà il via al Pro-gramma ampliato di assistenza tecnica ( P E A T ) . Si crea un fondo su cui gli stati membri ed altre istituzioni potranno accreditare i contri-buti finanziari annuali, si reclutano esperti, si invitano i governi a presentare i loro progetti operativi per differenti settori essenziali (pia-nificazione dello sviluppo economico e sociale, questioni fiscali e finanziarie, statistiche, mi-niere, trasporti, risorse idriche, energia, ammi-nistrazione pubblica, ecc.). Ogni paese che trae benefìcio da questo programma, contribuisce anche alla sua esecuzione, in modo che può con-siderarsi come un appartenente al « club dei donatori », f a t t o questo che può eliminare ogni idea di beneficienza o di opera caritatevole al-l'intero progetto.

Alla fine del 1964 il Programma aveva otte-n u t o da 108 paesi degli impegotte-ni fiotte-naotte-nziari tota-lizzanti oltre 466 milioni di dollari, ai quali dovevano aggiungersi 22 milioni di dollari di contributi speciali di governi beneficiari e di grossi apporti forniti sotto forma di servizi, di facilitazioni di credito e di investimento di capitali. Grazie a questi fondi il P E A T ha potuto venire in aiuto di 150 paesi e territori attraverso la concessione di borse di studio a 31 mila per-sone e l'invio in missione di 13 mila esperti, provenienti da 90 differenti paesi.

Ginevra - La sede dell'Ufficio europeo delle Nazioni Unite.

Nel 1959 nasce il Fondo speciale, che si affianca al Programma ampliato di assistenza tecnica e che assolve essenzialmente alla fun-zione di finanziare, di concerto con i governi dei paesi in via di sviluppo, degli inventari delle loro risorse, inventari che costano caro ma che sono indispensabili per avere un'idea pili giusta delle effettive ricchezze potenziali non utilizzate. Il Fondo speciale servi a molti paesi a conoscere meglio ciò che possedevano in risorse umane e naturali, per meglio prepa-rare i loro piani di sviluppi.

Quando ci si rese conto che una gestione divisa avrebbe p o t u t o nuocere al rendimento, il Programma ampliato ed il Fondo speciale furono fusi, nel novembre del 1965, nel Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo ( U N D P ) .

Tra mille difficoltà, i tempi si evolvono. Nel 1951 per lo sviluppo si erano spesi 4 mi-lioni e mezzo di dollari; questa cifra era salita nel 1970 a circa 226 milioni di dollari e si spera di p o t : r raggiungere nel 1975 i 500 milioni di

dollari. Impegni per più di 4 miliardi di dollari di investimenti sono stati ottenuti in parte a seguito di progetti studiati dal U N D P . Circa il 90% del personale della famiglia delle Nazioni Unite esercita delle attività che hanno un legame con lo sviluppo e più del 90% di t u t t e le spese sono rivolte a questa attività. Dati questi che dovrebbero far riflettere i critici delle organiz-zazioni internazionali.

L'obiettivo dell'UNDP è di aiutare i paesi a basso reddito a valorizzare le loro risorse umane e naturali, rimaste in gran parte inuti-lizzate Praticamente I ' U N D P e gli istituti spe-cializzati della famiglia delle Nazioni Unite of-frono la loro collaborazione ai paesi in via di sviluppo, a seguito di loro esplicita richiesta, per l'esecuzione congiunta di alcuni programmi prioritari nell'ambito del preinvestimento e del-l'assistenza tecnica. Tra i principali campi di azione figurano la pianificazione dello sviluppo, la p r o d u t t i v i t à industriale, la produttività agri-cola, l'educazione, le imprese di interesse pub-blico e cosi via.

Un esperto della FAO all'opera nel Dahomey.

Si dovrebbe poi ancora dire di un altro sforzo compiuto nell'interesse dei paesi meno favoriti: il primo ed il secondo Decennio delle Nazioni Unite per lo sviluppo.

Il primo Decennio, varato il 19 dicembre 1961, si proponeva lo scopo di raggiungere, in ogni paese in via di sviluppo, un aumento so-stanziale nel tasso di espansione, in modo che nel proporsi i propri obiettivi si avesse cura di prendere come base minima da conseguire alla fine del decennio un tasso annuale di sviluppo del prodotto nazionale lordo del 5%.

Come sono andate poi effettivamente le cose ? Taluni commentatori hanno parlato di un successo modesto, altri di uno scacco e di una delusione. Nel 1970 il tasso di accrescimento medio del reddito nazionale lordo dell'insieme dei paesi in via di sviluppo aveva virtualmente raggiunto la misura del 5%. Ma nello stesso tempo il volume dei contributi destinati al-l'aiuto da parte dei principali paesi donatori diminuiva in rapporto alla loro ricchezza cre-scente. Inoltre è in a t t o da decenni un'usura crescente e preoccupante. La parte dei paesi in via di sviluppo nelle esportazioni mondiali, elemento essenziale della loro economia, si era abbassata dal 31% nel 1950 al 21% nel 1960, per cadere ancora al 18% nel 1968. Nonostante t u t t i gli sforzi, solo una piccola frazione delle loro risorse naturali e del loro potenziale u m a n o è t u t t ' o r a messa in valore.

Il 25 ottobre dello scorso anno l'Assemblea generale approvava comunque la strategia inter-nazionale dello sviluppo per il secondo decennio, iniziatosi il 1° gennaio di quest'anno.

Tra gli obiettivi prioritari della strategia figura un tasso di incremento medio annuo del prodotto nazionale lordo dei paesi in via di sviluppo nella misura di almeno il 6 % , con la possibilità di superare tale cifra nella seconda.

metà del Decennio. Per ciò che concerne le disposizioni relative al finanziamento si è di-chiarato che i paesi economicamente progrediti dovrebbero destinare nel 1972 l ' l % del loro prodotto nazionale lordo ai paesi in via di sviluppo.

I problemi commerciali a loro volta conti-nuano a rivestire un carattere di importanza e di gravità, anche a seguito di recenti decisioni americane. Tappe importanti sono state le prime due sessioni della Conferenza delle Nazioni Unite per il commercio e lo sviluppo ( U N C T A D ) .

Si è già al lavoro per la preparazione della terza sessione che è stata convocata per l'aprile-maggio 1972.

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Tra gli strumenti della cooperazione, quelli finanziari hanno un'importanza predominante. Lo si è capito ben presto; la Banca interna-zionale per la ricostruzione e lo sviluppo ( B I R S ) ,

progettata alla Conferenza di Bretton Woods nel 1944, entrò in attività nel giugno 1946. Essa doveva portare un aiuto t a n t o alla rico-struzione delle economie europee devastate dalla guerra quanto allo sviluppo dei paesi del Terzo Mondo.

Le sottoscrizioni dei suoi 115 stati membri a m m o n t a n o approssimaiivamente a 1,9 miliardi di dollari; se a questa cifra si aggiungono gli utili accumulati, le risorse disponibili per dei prestiti a m m o n t a n o attualmente a 3,4 miliardi di dollari.

II capitale proprio viene tuttavia ancora accresciuto con dei prestiti sui principali mer-cati finanziari internazionali. Al 31 marzo 1971 la Banca aveva prestato un ammontare totale di 14.530 milioni di dollari e l'impegno dei prestiti in portafoglio raggiungeva i 9.577 mi-lioni di dollari.

L'Istituto di ricerche tecnologiche tailandese creato con l'assistenza del-l'UNDP e dell'UNIDO.

Compongono quello che viene definito il Gruppo della Banca Mondiale anche l'Associa-zione internazionale per lo sviluppo (IDA) e la Società finanziaria internazionale (SFI).

La prima presta dei fondi (che gli proven-gono principalmente dai contributi forniti dai governi di 18 paesi ricchi) a termine molto lungo (50 anni) e senza alcun interesse a paesi poveri, con solvibilità insufficiente per poter ottenere crediti alle condizioni di mercato.

La seconda ha per scopo la promozione dello sviluppo economico con il favorire la crescita di imprese private a carattere produttivo nei paesi membri, in particolare nelle regioni meno progredite. Oltre ad associarsi a investitori pri-vati, la Società partecipa al finanziamento di imprese ove queste siano suscettibili di contri-buire allo sviluppo generale, attira capitali pri-vati (sia esteri che nazionali) verso investi-menti che abbiano buone prospettive e, inoltre, dà la sua consulenza ai paesi membri meno progrediti circa l'adozione di misure idonee a creare un clima favorevole all'aumento degli investimenti privati.

Anche il campo europeo ha un suo effi-ciente organismo di finanziamento: la Banca europea per gii investimenti (BEI), fondata con il t r a t t a t o di Roma che ha istituito la Comunità economica europea. Si t r a t t a di un istituto di diritto pubblico indipendente, avente il com-pito di finanziare progetti di investimento nei paesi comunitari ed in quelli associati. Il pre-stito può essere attribuito a imprese private o pubbliche, di qualsiasi forma giuridica come pure ad enti e collettività pubbliche. I progetti da finanziare devono contribuire alla valoriz-zazione delle regioni sottosviluppate o permet-tere l'ammodernamento o la riconversione di imprese; altrimenti, per la concessione del pre-stito, si richiede che le opere costituiscano una iniziativ a d interesse comune per più stati membri. La lista delle ditte e degli enti italiani che hanno utilizzato prestiti della Banca europea per gii investimenti si fa sempre più fitta di nomi importanti della nostra economia.

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La materia t r a t t a t a è troppo vasta perché si possa anche solo brevemente dire di t u t t i i servizi forniti dalle numerose altre organizza-zioni internazionali di cui ancora non si è f a t t o menzione.

Qualcuno h a affermato che non c'è settore dell'attività u m a n a che non sia di competenza di qualche organismo internazionale avente vo-cazione universale o carattere regionale.

Un esperto dell'ILO a! lavoro in un'azienda manifatturiera in Tailandia.

Ogni ente cerca di jaortare il suo contributo allo sviluppo del mondo ed al benessere del-l'uomo. Le iniziative poste allo studio ed av-viate si susseguono ininterrottamente e sono numerose ed ardite.

L'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) lancia il Programma mondiale dell'im-piego, per combattere la piaga della disoccupa-zione e della sotto-occupadisoccupa-zione.

L'Organizzazione delle Nazioni Unite, per l'educazione, la scienza e la cultura ( U N E S C O ) conduce con ardore la campagna d'alfabetiz-zazione e buoni risultati vengono registrati in numerosi paesi. Più della metà dell'umanità ha oggi meno di 25 anni e la popolazione scola-stica e universitaria rappresenta qualcosa tra il 20 e il 25% della popolazione totale. Mai come ora si è sentito il bisogno di educazione di base e di formazione professionale.

A sua volta l'Organizzazione mondiale della sanità. (OMS) si batte nelle sue campagne di estirpazione della malaria, del vaiolo, del tra-coma e di varie altre malattie, avendo inoltre come obiettivo principale quello di mettere in piedi in t u t t e le nazioni degli efficaci servizi pubblici di sanità.

Verso la fine dello scorso anno l'Alto Com-missariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (HCR) fa un censimento delle persone che en-trano nella sua giurisdizione operativa. Due milioni e mezzo, la maggior parte in Africa ed in Europa. Poi arriva la lotta nel Pakistan Orientale. Ora le statistiche parlano di sette milioni di profughi pakistani in India e l'Alto Commissariato se li trova sulle braccia. Una tragedia nella tragedia.

A Vienna c'è un ente pressoché sconosciuto anche se i m p o r t a n t e : è l'Organizzazione delle Nazioni Unite per lo sviluppo industriale ( U N I D O ) ; a Montreal ce n'è un altro non meno essenziale: l'Organizzazione dell'aviazione civile

internazionale (ICAO); è anche grazie ad esso (che studia i problemi ed elabora le norme ed i regolamenti internazionali in materia aviatoria, compresi quelli relativi alla sicurezza) che si può volare tranquilli.

L'elenco degli organismi a carattere univer-sale potrebbe continuare a lungo. Ma sarebbe solo parziale. Poiché ci sono ancora gli enti settoriali come l'Organizzazione per la