Piera Condulmer
Dall'antico sentenzioso « vivere non est De-cesse, navigare necesse est », fino ai più avve-niristici progetti per inventare vie navigabili con i mezzi più incredibili, quello che l'uomo ha condotto con il suo elemento primordiale, fu ed è uno dei più affascinanti dialoghi.
Dialogo fatto di battute intime e cordiali con il dolce sciacquio d'acque appena mosse da un « vasello snci lètto e leggero », e di battute drammatiche e ruggenti, urlanti di j^otenza scatenata.
I rapporti acqua-uomo sono infiniti, lo sap-piamo, e non avrebbe senso il tentare di enume-rarli; però limitandoci ad una visione storica ed ai fatti più macroscopici di essa, noi vediamo l'uomo uscito dall'acqua, organizzarsi a vivere sull'acqua, sulle palafitte, camminare sull'acqua su tronchi d'albero, su canoe, su coini, su burchi, su paranze, su triremi, su velieri, su caravelle, su galere, su galeoni, su transatlantici, e con essi andare alla conquista dell'eterno vello d'oro.
L'acqua è stata testimone di miracoli divini e di efferatezze umane; è stata solcata da santi, da predoni, da scienziati.
Acqua che non è solo quella del mare, ma anche quelle acque che circolano nei canali linfatici della terra, e che dopo infinito vagare dal basso all'alto e dall'alto al basso, « intrant in mare, ... ad locum unde exeunt... revertun-tur, ... u t iterimi fiuant ».
E in ogni stadio che l'acqua attraversa, in ogni luogo in cui si trova a circolare o a rista-gnare, essa assolve funzioni infinite che sono fisiche, che sono chimiche, che sono cinetiche, e ogni processo che compie è sempre vitale, anche quando all'uomo può sembrare mortale. Dall'acqua la vita, sull'acqua la vita, con l'acqua la vita.
L'archeologia ci offre la palafitta prima della capanna, il remo prima della ruota, la canoa prima del carro; il ritmo e il grado d'incivili-mento dei popoli si può misurare in ragione di come hanno saputo interpretare l'elemento equoreo come veicolo di uomini, di merci, d'idee; le grandi civiltà sono t u t t e legate a gran-diose opere idrauliche, e i grandi eventi sono stati segnati da una vittoria o una sconfitta sul mare dei protagonisti di turno della storia.
I canali navigabili non sono una invenzione moderna, se nel secolo VI prima dell'era vol-gare i cinesi hanno costruito un canale di 1600 chilometri tra il Po-ho e lo Yang-tse-Chiang, e il taglio dell'istmo tra il mar Rosso e il Mediterraneo fu iniziato dagli Jttiti, j3oi abbandonato, poi ripreso a seconda delle con-venienze politiche, finché nel secolo XVI fu progettato ex novo dagli astuti e intelligen-tissimi mercanti veneziani, ma senza trovare una eco. Il tanto decantato canale del Rodano trova il suo primitivo letto in quella fossa
ma-riana, che Mario fece scavare dai soldati negli
intervalli delle sue campagne contro i Teutoni. I romani furono celebri costruttori di strade, ma non lo furono meno di canali, o fosse, o cavi, o filistine, come li si voglia chiamare, e fu solo la barbarie delle invasioni che fece scomparire e la fossa Padusa o Augusta, nel Ravennate, e la fossa Agrippa tra il lago Lucrino e il lago d'Averno, e la fossa Claudia, e la fossa Traiana (canale costiero). Senza dimenticare che fu Nerone a volere il taglio dell'istmo di Corinto, nonostante i pareri sfavorevoli degli scienziati (la sua iniziativa interrotta fu compiuta 1800 anni dopo da un garibaldino, il generale Stefano Turr).
L'eredità latina a questo riguardo non è ancora finita, perché la fossa Corbulans tra Reno e Mosa fu effettuata da Gneo Domizio Corbulone; nell'impervio nord germanico la flotta romana di Druso veniva spesso flagellata da bufere nel Weser, nelPEms, nel Reno, ed ecco allora la convenienza di un canale del nord, detto fossa drusiana, per far filare le navi al riparo nel lago Flevo, (Zwidersee).
Ma non basta, perché l'intensificarsi dei rapporti del nord-ovest d'Europa con Roma faceva sentire molto oneroso per mezzi, tempo e denaro, il lungo viaggio atlantico fino alle colonne d'Ercole per rientrare nel Mediterra-neo; ed ecco Tacito parlarci di un Antistus
Vetus che concepisce l'ardito progetto di una
via navigabile interna congiungente con un canale Saone e Mosella.
Poi si scatenò l'ispida procella d'ispide pol-ledre avare ed unne..., ed il fiume, il canale come opere d'arte e non di sola natura,
dete-Fig. I - Il re Eridano e allegoria del Po.
riorano o s'interrano, a p p u n t o perché private dell'arte.
Bisognerà attendere la fioritura dei Comuni per riveder risorgere l'attività commerciale e con essa le vie d'acqua. L'impostazione t u t t a v i a di queste vie di comunicazione sarà ben diversa da quella romana, che operava in u n ' u n i t à politico-geografica, in un contesto d'interessi unitari e centralizzati, nella visione di un grande insieme europeo ed extraeuropeo. Gl'interessi comunali prima, e poi signoriali dei principati, avevano la caratteristica dell'individualismo con forte rivalità d'interessi.
Questo non toglie che all'interno dei piccoli stati le iniziative e realizzazioni non siano state talvolta superbe, dando impulso a quella mera-vigliosa opera di ricostruzione iniziata nel Me-dioevo dai monasteri: gran parte dei fiumi si resero navigabili per imbarcazioni di piccolo pescaggio, si scavarono navigli (basta pensare a t u t t o ciò che fecero Venezia e Milano), si costruirono canali e si produsse la geniale in-venzione delle conche per superare i dislivelli molto sensibili. Non per nulla Filippo degli Organi, e Aristotele Fioravante, i geniali
pre-cursori delle conche vinciane, erano architetti ed idraulici, dei quali il Fioravanti porterà a Mosca la sua sapienza e la sua arte, depositando la sua firma nella basilica dell'Assunta, nella cattedrale di San Michele, nel Palazzo del Bel-vedere, sotto lo Zar Ivan I I I .
Noi italiani allora compimmo la grande rivo-luzione delle chiuse per la navigazione interna: ma anche nell'amministrazione delle idee può valere quanto il Machiavelli disse a proposito del principato, e cioè che è più facile conqui-starlo che mantenerlo; per cui oggi i frutti della nostra meravigliosa idea li vediamo so-p r a t t u t t o nelle colossali realizzazioni altrui, in Germania, in Francia, in Russia, nel Belgio, negli Stati Uniti, in tutti i continenti, mentre noi stiamo a contemplare la nostra gloria che passò, in una inerzia che ha del sortilegio.
È inutile addurre che la ferrovia fu la terri-bile concorrente vincitrice dell'idrovia, perché la. rete ferroviaria si è a t t u a t a in t u t t o il mondo e spesso prima che da noi; cosi inutile è invocare l'aereo dai cosi evidenti differenti servizi, e neppure le dernier cri dell'autostrada e super-strada. Sono realtà generali queste, che non hanno distolto gii altri dal perfezionare la più antica del mondo, alla quale venivano via via affiancate le nuove vie, assumendo ciascuna una propria funzionalità nel sempre più vasto complesso della civiltà industriale e consumi-stica. Se ad ogni nuovo noi dovessimo sempre sopprimere il vecchio, noi avremmo sostituzione non arricchimento.
E noi che eravamo i primi della classe in f a t t o d'idraulica e di navigazione fluviale nella scuola della storia, (quanti bei nomi potremmo ricordare oltre i citati, e Castelli, e Viviani, Albizzi, Michelini, Borelli, Guido Grandi, Za-notti, Bertone, Bidone, Michelotti, Noè e via via) ci troviamo ad essere relegati nel banco degli asini, di fronte ad una Europa unita che ha f a t t o sforzi giganteschi per raggiungere una reciproca parità di sviluppo idroviario; Comu-nità europea che già concepisce idrovie interne a carattere internazionale, allo stesso modo delle ferrovie e delle linee aeree.
Noi stiamo a guardare il sistematico rastrel-lamento che si sta facendo di gran parte del movimento commerciale che potrebbe avere i suoi porti in Genova, in Venezia e in Trieste, che stanno boccheggiando perché prive di una asta idroviaria alle loro spalle, lungo la quale smistare il traffico da e per l'Europa occiden-tale, centrale, orientale.
Nell'ambito della Comunità europea noi stiamo diventando quell'arteria obliterata che impedisce la libera circolazione dall'Atlantico al Mar Nero, dal Mediterraneo al Mar del Nord
e per Ja quale si predispongono altre vie dalle quali saremo esclusi.
Non che si sia privi d'idee, per carità, d'idee, promesse e progetti è lastricata t u t t a la nostra storia dal primo '800 ad oggi, e anzi penso sia interessante passarne alcune in rassegna, poiché è storia anche questa.
Per esempio Napoleone avverti subito
l'han-dicap rappresentato dalla non comunicazione
per via d'acqua tra il Po ed il Mar Ligure e tra questo e l'Adriatico. Stanzia ottocentomila lire per un grandioso progetto, e viene incari-cato il Chabral di stenderlo. La direttrice tirre-nica era Savona-Alessandria-Po di 99 chilo-metri, con una galleria appenninica di 300 me-tri. Approvato il progetto vengono stanziati 2.5.000.000 per la sua esecuzione, e furono solo i colossali eventi politico-militari culminati in Waterloo a farlo archiviare. Bel progetto, che del resto non era del t u t t o nuovo per il Piccolo
Piemonte, che nel settecento ne aveva studiato uno che prevedeva l'utilizzo del Letimbro, della Bormida, per giungere ad Alessandria, e poi un canale per giungere al Po. Questo perché la dinamica fluviale è semjire stata presente nella politica sabauda, che stipulava t r a t t a t i di com-mercio fluviale col ducato di Mantova e con Venezia, le cui galere approdavano a Casale. Il Piemonte stanziava molte somme per la manutenzione dei fondali. Nel '600 poi ave-vamo avuto l'ardito piano del marchese di Pianezza per facilitare il traffico tra Nizza e Torino, che prevedeva un sistema di canali, dei quali la morte gli consenti di costruire solo il primo, che fu il naviglio tra Carmagnola e il Po.
Dopo Napoleone, l'antica idea di avvicinare il mare a Torino f u ripresa dal Michelotti nel 1825, con un sistema di piani inclinati da Albenga lungo la Valle della Neva, una galleria sotto il colle del San Bernardo con sbocco a
Garessio e di li nel Tanaro fino a Bastia, di dove l'Ellero avrebbe j:>ortato fino a Mondovi; di là un canale fino a Fossano, e attraverso un altro canale nel Po vicino a Torino. Di qui s'iniziava il viaggio verso il Ticino, in parte su canale a conche, in parte sui navigli, in parte sul Po. Anche questo progetto svani per dar posto a quello Carbonazzi del 1836, con partenza da Voltri per Gorsezio, galleria sotto il Turchino a 530 metri di quota, sbucando a Masone, nella Valle dell'Orba fino ad Ovada; poi nel-l'Orba fino alla confluenza della Bormida, da questa nel Tanaro indi nel Po dopo 56 chilo-metri complessivi di percorso. Un secondo pro-getto Carbonazzi contemplava il tracciato Ge-nova-Polcevera-Giovi. Nel 1839 Carlo Alberto costituisce una Commissione di studi su questo progetto, ma gli eventi politici troncarono le iniziative.
Giungiamo cosi al famoso progetto Capuc-cio, 1S65, che per molti decenni fece testo, tanto che nel 1905 f u ripubblicato. L'autore lo illustrò in una pubblicazione dal titolo « Torino porto di mare ». Egli studia anche la produzione di energia elettrica di cui le opere idriche sarebbero fonte, sia per il proprio con-sumo sia anche per cederla a buon prezzo alle industrie che andrebbero stabilendosi lungo il tracciato. Studia anche la convenienza econo-mica di tale via di trasporto (1), e considera che nel 1858 esisteva una linea di dogane tra-sversale alla valle P a d a n a tra gli Stati Sardi, la Lombardia e i Ducati, lungo la quale si a t t u a v a un movimento di merci di 260.000 ton-nellate annue. Nel 1860, dopo l'unione della Lombardia e dell'Emilia al Piemonte, il movi-mento saliva a 440.000 tonn. all'importazione e 110.000 tonn. all'esportazione, cui si dovevano aggiungere le merci trasportate dal Tanaro, dalla Bormida, dalla ferrovia; per cui si po-teva calcolare su di un totale annuo di 1.050.000 tonnellate. Molte di queste merci sarebbero potute passare per il canale, specie il carbone, che dal 1822 al 1860 era passato da 980 tonn. a 270.000 (2). Inoltre i numerosi e ricchi mate-riali da costruzione della valle P a d a n a avreb-bero potuto acquistare maggiore dinamica col basso costo del trasporto, e nel contempo avrebbero soddisfatto le esigenze di carico dei n a t a n t i al ritorno. Questi materiali potevano essere il calcare di Casale, la calce idraulica, i marmi, il granito rosso di Baveno, il verde di Susa, il Bardiglio di Valdieri, il nero e giallo d'Ormea, il persichino di Garessio, ecc.
In una tabella il Capriccio ci indica il mo-vimento merci tra Genova e la valle P a d a n a nell'anno 1860 sul piano inclinato dei Giovi (tra l'altro all'importazione 150.000 tonn. di
carbon fossile, 50.000 di grano, 39.560 di colo-niali e tinte per concia, 29.288 di spiriti e vino, e all'esportazione 10.000 di grano, 1.000 di vino, 25.000 di riso nel raggio delle antiche province); mentre per quanto riguarda il trac-ciato, l'ing. Lanino, (che aveva studiato il modo di dare maggiore acqua motrice alle industrie di Torino), progettava un canale con inserzione nel Po alla confluenza con il Pellice, (pressappoco a Villafranca), che passava per Airasca, Orbas-sano e giungeva a Torino-Porta Susa, dove, nel-l'allora Piazza d'Armi, si poteva fare un bel bacino, da mettere in comunicazione con il Po. Il Capuceio dice che modificando legger-mente tale progetto si sarebbe potuto utilizzare questo canale, e dal suo inizio a Villafranca, o a Vigone, farlo procedere verso il Tirreno. A conche o a piani inclinati fino a Fossano, Mon-dovi, Lesegno, Garessio e con ponti e ponti-canali: dalla valle del Tanaro si sarebbe pas-sati a quella della Neva attraverso una galleria di q u a t t r o chilometri sotto il San Bernardo, giungendo cosi ad Albenga, a trazione funi-colare.
Continuando l'analisi della convenienza eco-nomica di t a h grandiosi lavori, il Capuccio con-sidera il movimento annuo di merci tra Venezia e Marsiglia in 60.000 tonn. di legname, pelli, tabacchi, macchinari, da est a ovest, e macchine e coloniali verso l'impero austriaco. Considera che queste merci percorrono una distanza ma-rittima di 2250 chilometri, mentre una linea interna Mediterraneo-Adriatico avrebbe la lun-ghezza di soli 1000 chilometri, e potrebbe smaltire un movimento di 1995 tonnellate al giorno tra il Tirreno e Torino, e 1340 da Torino all'Adriatico.
Il nostro autore commenta che se si potesse stabilire attraverso t u t t a l'alta Italia una navi-gazione diretta, ne avrebbe beneficio t u t t o il mezzodì d'Europa, e ai paesi posti sulla linea interna di navigazione ne deriverebbe una salu-tare rivoluzione economica. Anche in questo caso troviamo la costante europeistica nel pen-siero risorgimentale italiano e soprattutto pie-montese, che non ha mai avulso dal suo il risorgimento economico, oltre che politico, degli altri popoli con i quali sentiva di formare la famiglia europea.
Circa l'idrovia verso il Ticino egli la pro-pone mista; t u t t a in canale da Torino a Cerve-sina sopra Pavia, considerando la poca regola-rità del Po, la forte emunzione d'acqua per il canale Cavour, le irruenti deiezioni del Sesia
(1) Viene calcolata dell'ordine del 30, 40% in meno del trasporto ferroviario.
Fig. 3 - Progetto Capuccio (1865) - Torino porto di mare: linea di navigazione interna tra il Mediterraneo e l'Adriatico.
e del Tanaro; oltre Cervesina in alveo con oppor-tuni lavori di sistemazione del letto fluviale.
A Torino, porto fluvio-marino, ecco formare un bel bacino di 50.000 mq sopra la steccaia del canale Michelotti, a t t o ad ogni manovra, ed uno in borgo Vanchiglia a conche, in funzione di porto collegato allo scalo merci. Dall'esercizio di questo solo canale si potrebbe rendere dispo-nibile una forza motrice elettrica di 13.900 ca-valli vapore.
La spesa complessiva di t u t t i questi canali era prevista in 136.39S.000 effettivi, che da-rebbero un reddito presunto di 3.832.752 lire il primo anno, 4.509.665 il secondo, 5.270.115 il terzo, e 14.261.000 il decimo anno, non con-siderando t u t t o l'incremento che jjotrebbe deri-vare al commercio in generale.
Si rende evidente ormai l'importanza di non lasciarsi sfuggire il traffico europeo est-ovest e nord-sud, mentre vitale sarebbe per la Svizzera una via d'acqua che arrivasse diretta al Medi-terraneo attraverso il lago Maggiore, Torino, Genova.
I n t a n t o l'Europa trasformava il suo pae-saggio geografico con opere colossali di cana-lizzazione, di imbrigliamento di fiumi, di
crea-zione di bacini artificiali, come va esigendo la grande rivoluzione industriale, l'incremento de-mografico, l'ingigantirsi degli scambi, la sempre crescente esigenza di materie prime. Si ha un respiro piti ampio, occorre un sistema circola-torio più potente.
La Germania, vincitrice del 1870, program-ma un imponente sisteprogram-ma idroviario per n a t a n t i da 300 tonnellate, colleganti quasi t u t t i i grandi fiumi tedeschi, in modo da sviluppare al massimo l'hinterland dei porti sui grandi estuari. La Francia vinta, mette nel 1871 in cantiere lavori di canalizzazione per 1 miliardo di franchi, cominciando dalla canalizzazione del Rodano, (cui pare avesse già pensato il Colbert), che si protrarrà per decenni fino a congiungersi al Reno. La Francia del nord, il Belgio, l'Olanda vanno a gara per creare una maglia sempre più fitta di canali per rendere regolarmente navigabili molti fiumi, in modo che l'oceano entri ed esca gagliardamente dai loro territori.
E l'Italia ponza.
L ' a c u t a antiveggenza nei problemi econo-mici di Carlo Cattaneo, ai primordi della ferro-via, nel 1841, aveva affermato che due motori
V.r —
della massima prosperità di un paese e che debbono accoppiarsi sono i canali e le ferrovie. Ma non si procedeva con troppa alacrità.
Come riflesso di quello europeo, un vivo interesse si sprigiona in alta Italia per la navi-gazione alla fine del secolo. Si sforna a Torino un progetto Carbonazzi-Soldati per il canale Torino-Pavia, con porto al Lingotto, zona che il sindaco Frola vorrebbe sottrarre alla costru-zione, per non far perdere i pregi di quella posizione.
L'Amministrazione provinciale di Torino in accordo con quella di Novara e di Alessandria, studiano la realizzazione di un canale Torino-Casale fino a Valenza; a Milano si studia il collegamento del Po con l'Adda delineando la grande dorsale padana da cui si dovrebbe staccare il collegamento con il lago Maggiore ed il Tirreno. Le incertezze politiche annullano anche questo sforzo.
Nel 1906 viene nominata una Commissione governativa, il cui relatore, Romanin Jacur, sostiene purtroppo la navigabilità totale del Po.
A Torino allora si forma un Comitato locale per la navigazione interna presieduta da Paolo Boselli; subito si affiancano i Comitati di Ber-gamo e di Brescia, e redigono insieme un altro progetto di collegamento dei laghi con Milano, Torino e Venezia, esposto dall'ing. Faceanoni.
La linea del Po è messa in discussione come linea industriale; non è lungo il suo asse che si sono formati i grandi centri industriali, per ovvie constatazioni geografiche e morfologiche; le improvvise impennate di questo gran fiume che ha t u t t e le caratteristiche mediterranee, non possono garantire una vita tranquilla ai grandi insediamenti; è bensì lungo una linea più a nord, allo sbocco delle valli trasversali, nell'alta pianura che possono prosperare, ed una linea che li unisca ai mari, via d'acqua, sarebbe una soluzione ottimale alla loro efficienza. Sa-rebbe cioè il famoso canale pedemontano.
Fenolio e Chiaves elaborano il j^rogetto: da Savona, a Ceva, a Fossano, a Torino, al Lago Maggiore, con un enorme arco di 281 chilometri, una quota massima di 430 metri sul livello del mare, 120 conche da costruire. Una alternativa a questo tracciato sarebbe l'esclusione di Torino, e fare il percorso: Genova, Alessandria, Mortara, Sesto Calende, abbreviando la distanza, ma con un molto maggior numero di conche. Da questo canale se ne sarebbero poi potuti staccare altri verso Alba, verso Cuneo, verso Casale.
La rivista « Riforma sociale » del gennaio 1908 commenta che nel progettare canali non devono sgomentare né la loro altezza, né il numero e la vastità delle conche, né le gallerie
di scorrimento, se si pensa a quanto è stato a t t u a t o in Francia con la galleria del canale di San Quintino tra Escaut e Oise di 5670 metri, o a quella di Caudes tra Marne e Saóne, o a quella di Rove tra Marsiglia e Rodano (canale di sud-est).
Nel 1911 a Torino vi è un grande fervore