Renzo 1 illare
Le regioni italiane — la più grande riforma delle strutture amministrative del paese dal-l'unità in poi — sono una realtà (anche se non ancora completamente funzionante); che è però assai poco conosciuta dalla maggioranza degli italiani anche perché « la genesi dell' ordinamento
regionale, dal dettato costituzionale del dicembre 1947 alla lunga incubazione per più di un venten-nio, al precipitoso varo del 1970 » è stata quanto
mai complessa e confusa.
A fornire ai cittadini, ed a coloro che si occupano della cosa pubblica, gli elementi es-senziali per una più approfondita conoscenza della riforma regionale, è uscito in questi giorni il volume edito dalla A E D A (Autori editori associati) di Torino, « Italia Regioni » a cura di Giovanni Giovannini (si t r a t t a di un'opera possente di 500 pagine di grande formato), in cui, per la prima volta in Italia, risulta raggrup-pato, in un libro armonico e coerente, t u t t o ciò che riguarda, appunto, le regioni.
Per ognuna delle venti regioni, infatti, (le quindici a statuto ordinario e le cinque già esistenti a statuto speciale: Friuli-Venezia Giu-lia, Sardegna, SiciGiu-lia, Trentino-Alto Adige e Valle d'Aosta) l'opera propone un ampio saggio, affidato a specialisti di vasta documentazione, a cui si aggiungono, sempre per ognuna delle regioni, i risultati delle elezioni del 7 giugno 1970, con i voti e i seggi toccati a ciascun partito, i nomi dei consiglieri regionali, i capi-gruppo, l'ufficio di presidenza del Consiglio, la composizione della Giunta regionale e i pre-sidenti delle Commissioni.
Di grande interesse — a nostro giudizio -l'età e la professione riportata per ciascun con-sigliere, f a t t a eccezione soltanto per la Sicilia dove si è votato il 13 giugno scorso. Il che consente di trarre, attraverso qualche conto, alcune interessanti considerazioni sulla parte-cipazione degli uomini alla nuova s t r u t t u r a amministrativa. Si rileva, ad esempio, che dei 912 consiglieri (tenendo conto anche della Sicilia il totale è di 1002), 763 hanno oltre 40 anni di età, mentre soltanto 143 si collocano fra i 30 e i 40 anni ed appena sei hanno meno di trenta anni. Da cui si deduce che le regioni sono appannaggio dei « signori di mezza età ».
Ancora altre riflessioni. Dagli elenchi di « Italia Regioni » risulta che i consiglieri regio-nali appartengono, soprattutto, a tre gruppi professionali e cioè: professionisti della poli-tica, sindacalisti o rappresentanti di categoria a cui si aggiungono avvocati, insegnanti e im-piegati. Tutti insieme coprono oltre il 70% dei consigli regionali. Se ne deduce che poco spazio è riservato agli operai (quelli, almeno, rimasti tali e non diventati funzionari di partito o sindacalisti), agli agricoltori, ai contadini, agli imprenditori, ai commercianti ed agli artigiani. Un « identikit » che l'opera permette in modo preciso, proprio attraverso la pubblicazione del-l'età e della professione dei consiglieri e che richiama alla mente quanto ebbe una volta ad osservare il presidente della regione lom-barda, Piero Bassetti, come sempre non tenero nelle sue definizioni: «.Fare la rivoluzione delle
riforme con un esercito di maestri elementari e di burocrati non è l'ideale ».
Perché il volume sia stato studiato, impo-stato e realizzato lo spiega, nell'introduzione, il coordinatore dell'opera, Giovanni Giovannini. che ne è stato anche instancabile animatore. Le elezioni del 7 giugno 1970 non hanno segnato l'entrata in funzione delle quindici regioni a s t a t u t o ordinario (le altre cinque — come si è detto — esistevano da tempo), ma semplice-mente l'inizio di un processo di attuazione.
« Questo concetto — dice Giovannini — ovvio per gli specialisti (ed egli è uno specialista: è sua
la campagna condotta con energia su « La Stampa » sul ritardo nel trasferimento dei poteri)
non è affatto chiaro all' assoluta maggioranza dei cittadini; si spiega cosi un nuovo rifiorire dello scetticismo alle soglie del '72 per queste regioni
' che non si sa che cosa siano ' ».
In realtà esse non sono ancora. Dopo essersi date Consigli e Giunte, i nuovi organismi si sono impegnati a fondo nella difficile opera di elaborazione dei propri statuti e sembra giusto riconoscere che hanno assolto al compito con entusiasmo e capacità, cosi come va dato one-stamente a t t o al Parlamento di essere giunto alla approvazione degli statuti nella prima-vera scorsa con mentalità, metodi, rapidità in-consueti.
Le cose si sono però fatte più difficili — so-stiene l'introduzione di « Italia Regioni » — quando si è cominciato a parlare di trasferi-menti effettivi di poteri e funzioni dall'ammi-nistrazione centrale a quella dei nuovi orga-nismi. I relativi decreti delegati hanno avuto un iter estremamente laborioso per cui si è rischiato di non arrivare in tempo con le sca-denze. Per emanarli il Governo ha tempo — è vero — fino al 6 giugno 1972 (in tal caso, però, le regioni non potrebbero esercitare le proprie attività amministrative fino al 1° gennaio 1973), ma si è « fermamente riproposto » — come ha dichiarato il Presidente del Consiglio — di provvedere entro il 31 dicembre prossimo. In questo caso l'esercizio delle attività ammini-strative regionali decorrerà dal 1° gennaio 1972.
« Le regioni — sono ancora parole dell'on.
Co-lombo — sono un grosso fatto politico e la loro
attuazione è voluta dalla stragrande maggioranza del Parlamento, in corrispondenza del programma politico del governo ». Forse però — come
so-stiene il sen. Eugenio Gatto, ministro per l'at-tuazione delle regioni, nella prefazione del-l'opera — « non era stato capito del tutto, e
forse taluni ancora oggi preferiscono non capire, che si tratta della più importante rivoluzione che il nostro Stato unitario ha vissuto dopo l'avvento della struttura repubblicana, doppiamente impor-tante perché si tratta di una vera e propria
rivoluzione benefica e perché si è inserita in
un momento del tutto particolare per lo sviluppo della società italiana, sia dal punto di vista economico, sia da quello strettamente civile e sociale ».
« Quello che devono impostare le regioni — si
legge ancora nella prefazione del sen. Gatto —
è un dialogo che in tempi brevi, potrà anche non dare risultati appariscenti o spettacolari, ma che è invece fondamentale e largamente richiesto. Ed anche questa pubblicazione — conclude il
mini-stro — è uno degli strumenti, tra i più validi per
attuare un simile avvicinamento ».
« Italia regioni », infatti, oltre a fornire un indispensabile strumento di lavoro, delinea an-che un quadro ben preciso di questa Italia an-che si trasforma, attraverso i venti saggi (uno per ogni regione) redatti con accuratezza e com-petenza e si propone — riuscendovi — di vincere quella diffidenza t r a cittadini e pubblica amministrazione che ancora permane, avvici-n a avvici-n d o gli uavvici-ni all'altra, chiaro obiettivo dell'ordi-n a m e dell'ordi-n t o regiodell'ordi-nale « La regiodell'ordi-ne — scrive il sen. Gatto — e un livello intermedio, capace di
un'autonoma azione politico-amministrativa, non troppo vasto per essere dispersivo e incontrollabile, ma neppure troppo limitato per essere ritenuto di scarsa importanza ».
L'utilità di «Italia Regioni» sta proprio in questo: delineare una radiografia del nostro paese che si evolve ed insieme dare al lettore, in un profondo intento conoscitivo, il quadro della regione in cui vive insieme alle opinioni dei maggiori esponenti regionali, rendendo non solo educativa, ma estremamente piacevole la lettura poiché si toccano, veramente, i risvolti più nascosti (e più delicati) di determinate situa-zioni. Ogni saggio porta, accanto al nome della regione, un suo titolo in cui viene riassunta un po' la storia della regione stessa: è cosi che si trova al capitolo dedicato alla Calabria, il titolo « La rabbia repressa »; a quello dedicato al Friuli-Venezia Giulia, il titolo « Il diavolo
con l'acqua santa »; al Lazio, il titolo « La vittima di Roma »; alla Puglia « Vitalità del Mezzo-giorno »; alla Sicilia « La riscossa dei Proconsoli »;
alla Lombardia « Il prezzo del boom »; al Pie-monte « Partecipazione e Piano », t a n t o per citarne alcuni. Da essi si può capire facilmente come il volume entri in profondità nei problemi di ogni singola regione.
Si legge, ad esempio, nel saggio che Dome-nico Garbarino ha dedicato al Piemonte: « Questa
vasta regione, che è la seconda in Italia e la cui popolazione (ai dati del 31 dicembre 1969) è il 12,2% di quella nazionale, ha avuto nel 1968 un prodotto lordo di 4291,1 miliardi di lire, cioè il 10,4% del relativo valore nazionale. Le sue forze di lavoro erano, sempre alla fine del 1969, composte di 1.730.000 individui di cui 916 mila occupati nell'industria, 284 mila nel-l'agricoltura, 530 mila in altre attività ». Uno
squilibrio che balza evidente, ponendo alla azione dei legislatori regionali un indirizzo ben preciso. Del resto le sei province piemontesi hanno ciascuna i loro problemi ed in una analisi accurata il termine « sottosviluppo » ricorre di frequente: nonostante l'elevato reddito prò capite di Torino che, nel 1969, è stato di 1.093.748 lire, secondo soltanto a Milano (1.273.385 lire).
Sostiene giustamente l'economista Ricossa (ed il brano è riportato nel saggio di Garbarino) che si hanno almeno « cinque Piemonti. Per
cominciare abbiamo il Piemonte torinese che com-prende la capitale della regione, con attorno una cintura di 23 Comuni ed una seconda di 29. Complessivamente vi vivono circa 2 milioni di abitanti, circa due quinti dell'intera popolazione piemontese e una proporzione ancora maggiore degli occupati nell'industria. L'altro Piemonte industriale, non torinese, si sviluppa lungo un arco nord-occidentale con le officine meccaniche del Canavese, le manifatture tessili biellesi, gli impianti chimici del Novarese, assai vario e ripartito. La sua prosperità non è affidata
sol-tanto all'industria. Un terzo Piemonte è quello dell' agricoltura evoluta, le zone di pianura fertile, risicola e non risicola, e le zone di collina viticola pregiata. Vi è poi il Piemonte delle aree depresse, concentrate marginalmente a sud e a est, nel Cuneese, nelle Langhe, nell'Acquese, nel Mon-ferrato; salgono fino a toccare il Vercellese e il Novarese. Infine ecco il Piemonte non piemon-tese in senso stretto: il Novarese orientale, le propaggini dell' Alessandrino verso Piacenza e soprattutto verso Genova e Savona, le marche di frontiera con la Francia e la Svizzera ».
A ben studiarlo, questo Piemonte, — si legge ancora nel volume — sconosciuto per la commissione economica di Bruxelles che lo classificò fra le aree semi-industriali italiane, lasciando il titolo di industriali alle sole Lombardia e Liguria, lo è in buona parte anche per i piemontesi. Solo ora si comincia a sco-prirlo, a scoprire, come scrisse l'on. Pella, che
« la sua espansione richiede la soluzione di pro-blemi fondamentali: infrastrutture tecniche e so-ciali, case, istruzione professionale. È indispen-sabile, per realizzarla, una vera collaborazione fra enti pubblici (a tutti i livelli, comunale, pro-vinciale, regionale) e settori privati ». Con
l'espan-sione economica si darà anche al Piemonte, come sostiene il presidente della Giunta, Cal-ieri, « un volto più umano ».
Non meno interessante il « flash » dedicato da Gian Paolo Pansa alla Lombardia. In una precisa fotografia della City milanese, sfuocata dallo smog e dal gelo invernale, ma viva nel
carosello del Cordusio, nelle vetrine illuminate, nei tram che passano carichi di gente, lasciandosi alle spalle baffi di nebbia, si staglia la figura
e la storia di una regione che porta sulle spalle il pesante prezzo del boom economico ita-liano e che soffre, più di ogni altra forse, delle
malattie da benessere.
Il triangolo dei dané, coi vertici a Milano, Varese e Como, qualche isola di benessere nelle città di Bergamo e Brescia, grandi indu-strie pubbliche e private, fabbriche, piccole aziende, l'esercito dei capannoni e delle offi-cine, le centrali dei servizi e dei commerci, la tetra distesa degli alveari di cemento che, a poco a poco, copre i boschi, i campi, le marcite e il verde spento dei giardini, mentre su t u t t o si distende la nuvola nera dello smog... Questa è la Lombardia ricca (esiste anche una Lom-bardia povera), con al centro il problema dei suoi problemi, Milano, con i suoi bisogni
enormi, con il suo sviluppo scoppiato
nel-l'irrazionale ragnatela periferica, con il caos urbanistico, con le sue malattie da benessere.
Malattie per le quali il futuro (un futuro dal nome orrendo: ecocatastrofe) appare pieno di neri presagi. Neppure t u t t i i dané della Lombardia ricca potranno, infatti, ricom-prare il verde distrutto negli anni della frene-sia edilizia; l'aria, è probabile, diventerà più inquinata... quanto all'acqua la difesa si farà sempre più difficile... Eppure la regione dovrà fare qualcosa « ma dovrà fare presto se non vorrà
operare in un deserto allucinante, pieno di soldi ma soprattutto di veleni ».
Sono realtà che devono far meditare, poiché si t r a t t a di realtà che interessano t u t t i e che t u t t i siano chiamati a combattere, affrontan-dole con coscienza e nei giusti termini. Anche in questo senso « Italia Regioni » ricopre un preciso ruolo educativo. Quello cioè di far conoscere ad un più ampio pubblico un processo che può e deve portare non soltanto a più efficienti strutture amministrative, ma anche e soprat-t u soprat-t soprat-t o ad una maggiore parsoprat-tecipazione democra-tica alla vita del Paese accompagnata ad una evoluzione sociale che non sacrifichi però, al mag-gior benessere, le condizioni essenziali della vita.