F I N A N Z I A M E N T I D E L L A R I F O R M A F O N D I A R I A AL 30 S E T T E M B R E 1903: miliardi L. 657,7 S U P E R F I C I E ACQUISITA DAGLI E N T I D I R I F O R M A AL 30 S E T T E M B R E 1962:
migliaia H a
— espropriata 672,9
— acquisita con permute, acquisti, trasferimenti disposti per legge 94,1
Totale 767,0
ASSEGNAZIONE D E I T E R R E N I AL 30 S E T T E M B R E 1962:
— assegnatari di poderi N 44.533
— assegnatari di quote integrative » 45.485
— assegnatari di lotti (Sicilia) » 23.046
Totale N. 113.064
I N V E S T I M E N T I E F F E T T U A T I D A G L I E N T I D I R I F O R M A AL 30 S E T T E M B R E 1962 miliardi L. V
— per opere di trasformazione fondiaria 380,8 41,4
— per opere di colonizzazione 87,3 14,1
— per assistenza ad assegnatari 120,3 19,4
— per cooperative ed impianti industriali 31,9 5,1
Totale 620,3 100,0
P R O D U Z I O N E L O R D A V E N D I B I L E SUI T E R R I T O R I D I R I F O R M A
1953 1962
Valore complessivo in milioni di L 22.417 93.298
Valore unitario in migliaia di L./Ha. (ad ettaro di superficie produttiva,
boschi esclusi) 71,3 171,8
Composizione in % della produzione lorda vendibile:
— erbacee 83,0 1 57,8 )
— arboree 5,9 100,0 17,1 | 100,0
— zootecniche 11,1 ( 25,1 |
C O O P E R A Z I O N E :
Organizzazioni associative al 31 dicembre 1962:
— cooperative a scopo plurimo N. 618
— cooperative specializzate » 125
— m u t u e assicurazione bestiame » 172
— consorzi e federazioni » 25
Totale N 940
Principali impianti industriali al 30 giugno 1963:
— realizzati N. 107
— p r o g r a m m a t i » 101
Totale N 208
ASSISTENZA AD A S S E G N A T A R I :
miliardi L. %
Interventi degli E n t i al 30 settembre 1962:
— assistenza tecnica, economico-finanziaria e sociale 40,9 34,0
— fornitura di scorte . . . . 73,2 60,8
— istruzione e specializzazione 6,2 5,2
tore l'on. Segni, al quale oggi si rimprovera il gesto di miopia che ispirò la sua riforma stessa e il conseguente sperpero di denaro.
Stando alle risultanze, che peraltro risalgono al 1968, quella riforma sembrerebbe un capo-lavoro di ardimento e di lungimiranza, un ori-ginale tentativo di rinnovamento di una agri-coltura anchilosata, povera, statica.
Ma purtroppo a distanza di 8 anni la situa-zione si è profondamente mutata. Moltissime neo-unità poderali sono state nel frattempo abbandonate; alcune in Toscana (in Val d'Orcia) nel 1956 avevano già i moderni fabbricati erme-ticamente chiusi, avendo gli assegnatari preso armi e bagagli per altri lidi, persuasi di fare altrove fortuna.
La riforma veramente utile sarebbe stata invece quella di imporre alle grandi unità pode-rali di origine o di appartenenza gentilizia un ordinamento intensivo industriale che occupasse la maggiore manodopera possibile, retribuendola doverosamente a ritmo settimanale o mensile e rendendola anche compartecipe dell'incre-mento impresso alla produzione lorda vendibile.
Successivamente si disse e si scrisse, con scarsa cognizione di causa, che l'azienda
mezza-drile era in crisi per la precarietà della sua economia, anziché per la precarietà dell'affia-tamento familiare. Che quest'ultima ne fosse la causa prima e vera lo dimostra il fatto che l'esodo rurale ha diradato in eguale misura sia la popolazione colonica che quella autonoma, che altri chiama coltivatrice diretta.
L'ostracismo legale alla mezzadria reca il nome del Ministro dell'agricoltura che nel 1964 la firmò. L'allusione è all'on. M. Ferrari Aggradi e forse il parlamentare rimuoverebbe la sua firma volentieri se lo potesse, visto e conside-rato che essa ha mutilato agrariamente tanta parte del territorio nazionale. Lo ha vedovato d'un contratto che aveva nelle grandi tenute una sua validità e socialità meritevoli di essere conservate e, più che conservate, potenziate, perché la mezzadria era il risultato di un adat-tamento plurisecolare a immodificabili condi-zioni di ambiente territoriale e a condicondi-zioni non facilmente modificabili di demografia e di men-talità.
Che la mentalità contadina sia modificabile con estrema lentezza — non per nulla quando si dà alla riottosità una fisionomia umana il pensiero corre automaticamente alla figura del
La meccanizzazione collinare Ha una fondamentale esigenza: trattrici della potenza di 80-100 CV e doppia trasmissione. Sennonché bisognerebbe estendere alla motorizzazione collinare le agevolazioni creditizie di
estremo favore concesse all'agricoltura montana.
contadino inteso alla tradizione e all'empi-rismo — si rivela anche nella decisa opposi-zione dei superstiti mezzadri alla loro trasfor-mazione ope legis (cioè con l'aiuto della legge) in affittuari.
L'affittuario è un imprenditore che ha la virtù dell'audacia e la forza spesso robusta dei mezzi finanziari. Il mezzadro abituato a una gestione sociale cui provvederebbe a seconda dei casi un agente rurale, provvisto o meno di pieni poteri discrezionali, non può dall'oggi al domani affrontare da sé gli impegni, mancan-dogliene il tirocinio, non avendo l'abito mentale dell'organizzatore, al quale si perviene dopo un lungo esercizio, una dimestichezza con le esigenze della contabilità, della cooperazione, dei mercati.
Ci sono individui che nascono con la voca-zione dell'occupavoca-zione dipendente e ce ne sono altri che hanno, all'opposto, quella della libera occupazione o professione. Ora fare dei primi dei liberi operatori economici è come condan-narli al supplizio e al fallimento; fare dei secondi altrettanti impiegati o t r a v e t significa condan-narli alla stereotipia di un lavoro che ripugna al loro spirito di a v v e n t u r a e d'intraprendenza. Si disse e si scrisse anche che il podere mezza-drile non poteva conseguire una produzione lorda vendibile che potesse rimunerare equa-mente capitale, lavoro e organizzazione. Biso-gnava perciò — secondo i neo-riformatori — riservare la torta della produzione solamente al lavoro. Una specie di occupazione di fabbrica fu inventata e legalizzata. Ma la storia insegna che l'occupazione operaia delle fabbriche è un colpo micidiale inferto all'economia, la quale pone sullo stesso livello, nel fenomeno della produzione, il capitale, il lavoro e la tecnica. Piuttosto bisognava porre le plaghe
mezza-drili che operano in condizioni agronomicamente meno felici (terreni poveri, tenaci, acclivi, insi-diati dalla siccità che sacrifica ogni tre anni un raccolto estivo) in condizioni di poter di-sporre di trattori di potenza variabile fra gli 80 e i 100 CV, a doppia trasmissione, si da poter aumentare, più che raddoppiare, lo spes-sore del suolo e conseguentemente la sua capa-cità imbibitoria: cosa che pone praticamente al coperto le colture a sviluppo estivo dagli impla-cabili morsi della siccità. Bisognava cioè consi-derare — nell'ambito del debito agrario — le plaghe mezzadrili alla stregua di quelle montane. La generalizzazione dell'affitto cosi come è stata recentemente propugnata dai due rami del Parlamento, tramite una sospetta collusione politica, trova da un lato i coltivatori in gran parte impreparati, restii, ad assumere in pieno la responsabilità della gestione, e dall'altro i locatori fieramente avversi alla loro esautora-zione economica e morale. Per cui a mano a mano che i poderi verranno abbandonati, da chi si inurba oppur va in giubilazione, alla conduzione affittuaria subentrerà quella ad eco-nomia diretta e, nella peggiore delle ipotesi, avverrà la conversione dei seminativi in boschi specialmente nei casi in cui i proprietari siano finanziariamente disposti a sacrificare il pre-sente per il futuro, a piantare cioè alberi per « l'ombra dei figli dei figli ».
L'affitto rustico ebbe iti Italia meriti incal-colabili. L'agricoltura industriale, individuabile nelle plaghe agrariamente progredite, è figlia del compromesso felice fra proprietà locatrice e impresa coltivatrice; vale a dire fra il capitalista terriero detentore di un bene di ancoramento monetario e di prestigio sociale e il coltivatore inteso alla massima rimunerazione possibile del lavoro, dei mezzi di produzione, e del rischio. Si poteva — e nessuno lo esclude — rivedere i rapporti di retribuzione t r a il capitale fon-diario e l'impresa, minorando i primi a van-taggio dei secondi, ma non nella misura escogi-t a escogi-t a , e ancoraescogi-ta a una base caescogi-tasescogi-tale anacro-nistica e incongruente sotto ogni aspetto sia economico che giuridico e territoriale, la cui validità è dubbia perfino dal punto di A'ista topografico, date le grandi bonifiche da un lato e la vivisezione operata dalle reti logistiche, autostradali, dall'altro.
In agricoltura proprietà e gestione non sempre coincidono nell'unità fìsica di una per-sona o di una società.
Proprietà e gestione — ripetiamo — seno disgiunte nell'affitto che p e r t a n t o può consi-derarsi gestione di un bene patrimoniale alla quale il proprietario non ha tempo, modo, né volontà e vocazione, di dedicarsi, pur non
vo-lendo rinunziare alla disponibilità dell'immo-bile, sia perché lo considera un bene moneta-riamente di rifugio, sia perché elementi affettivi e di prestigio lo inducono a conservarlo. Né d'altra parte l'affittuario ha velleità di suben-trare a lui nella proprietà, preferendo rima-nere libero ed arbitro delle proprie determi-nazioni e decisioni quante volte gli pungesse vaghezza di approdare ad altri lidi professio-nali, o ad altre località residenziali, imposte da subentrate esigenze familiari o da una reazione a una situazione statica e povera, comunque priva di prospettive migliori.
Non è escluso che taluni potrebbero aspi-rare alla proprietà dell'azienda che conducono, ma li impaura il dubbio di non potersene in seguito più disfare, di non poterne più ricupe-rare il valore primitivo il giorno in cui fossero costretti a realizzarlo. I trasferimenti di pro-prietà sono legati al mercato, alla vibrante alta-lena della domanda e dell'offerta. Quello fon-diario è praticamente inesistente, nonostante gli sforzi intesi ad animarlo dalla Cassa per la formazione della proprietà contadina. Peggio perfino di quello azionario e obbligazionario che risente dell'agonizzante istinto al risparmio e della diserzione di quello più massiccio dei grandi reddituari verso altri lidi di impronta
straniera, di maggiore retribuzione e sicurezza. Acciocché il risparmio dei reddituari cittadini possa convogliarsi verso l'investimento terriero bisognerebbe che ne fosse attirato da un sistema di conduzione che non lo esautorasse, né lo inguaiasse con le più demagogiche riforme, con i non meno demagogici blocchi contrattuali. Come è possibile pretendere che anche il più ben disposto all'investimento terriero vi si de-dica ora che la riforma imposta alla locazione dei fondi rustici colpisce a morte il beneficio fondiario, cioè la rendita dei proprietari ter-rieri ? E, quello che è peggio, li assoggetta ad accollarsi — senza esserne nemmeno interpel-lati — la spesa dei miglioramenti fondiari?
Un economista senatore della Repubblica legato a una corrente politica che ha in odio la proprietà privata sostiene che la nuova legge sui fitti rustici ne commisura i canoni al 15% della produzione lorda vendìbile. Fosse vero ! Potrà esserlo per alcuni eldoradi, o nei casi in cui gli stimatori catastali furono di manica larga. Fuori da questi due casi limiti i nuovi canoni — equi visti da sinistra ed iniqui visti da destra — si riducono all'I,5-5% della pro-duzione lorda vendibile. Si riducono cioè alla misura in auge negli USA. Sennonché la terra coltivata oltre Atlantico non è il f r u t t o di
La defezione contadina dilata l'incolto produttivo, il quale, in aggiunta alle cicatrici provocate al territorio agricolo nazionale dalle città che si dilatano, dalle industrie che sfollano, dalla rete stradale e autostradale che si moltiplica, riduce ogni anno di più il territorio coltivabile.
Aspetto agghiacciante, quasi lunare, delle colline abbandonate. Le acque piovane incontrollate finiscono per eroderne selvaggiamente il terreno.
sacrilici capitalistici e di sudori di quella ita-liana. Là, comunque, la terra coltivabile è misurata in chilometri quadrati; da noi in ettari e perfino nei loro sottomultipli.
Gli enti morali o collettivi che sui vecchi canoni, oscillanti da lire 30.000 a 60.000 l'et-taro, avevano impostato i propri bilanci si troveranno, lucro cessante, nel danno emer-gente di accendere debiti per coprire la passi-vità di bilancio, a meno che non provveda a eliminarle l'intervento della finanza pubblica statale o parastatale.
Ma alle passività di bilancio dei privati chi provvederà? Chi dovrà o potrà sostituirsi ad essi nell'estinzione rateale dei mutui fondiari, dei prestiti agrari, accesi in periodi, se non di
euforia, di diversa situazione e valutazione politica ?
Il lavoro diserta le campagne sollecitato dalle prospettive ubriacanti dell'urbanesimo. Il capitale le disistima perché lo impaurano i nodi gordiani della conduzione economica. Il perso-nale agro-tecnico è costretto all'abiura perché non trova modo di esercitare opera di consu-lenza e t a n t o meno di direzione.
L'agricoltura perciò — t u t t o considerato -decade a livelli di precarietà e di miseria, e nella sua decadenza muore l'indipendenza poli-tica della nazione. Ma, quel che è peggio, muore il terreno, la cui stabilità fisica viene compro-messa, specialmente nei territori acclivi, dalle acque piovane ruscellanti.